Quanto sono lunghi tre minuti? Me lo sono chiesto mentre guardavo il video integrale della decapitazione del giornalista americano Steven Joel Sotloff . Tre minuti, un’eternità. Un’eternità di sconcerto per me che guardo il gesto di una mano, di un pugnale che taglia una gola. Un’eternità di dolore per Sotloff. Un atto barbaro che suscita orrore, inquietudine, voglia di rispondere alla violenza con altrettanta violenza.
Quella violenza che usa l’estremista islamico nel decapitare Steven Joel Sotloff. La stessa violenza delle parole che pronuncia quando nel videomessaggio dice “sono tornato, Obama, e sono di nuovo qui a causa della vostra politica estera arrogante verso lo Stato islamico, a causa della tua insistenza nel continuare i vostri bombardamenti nonostante i nostri avvertimenti. Come i vostri missili continuano a colpire il nostro popolo, il nostro coltello continuerà a colpire il collo del tuo popolo”.
Basterebbero queste parole, pronunciate mentre ci appresta ad una barbara esecuzione, a scatenare rabbia, odio, sete di sangue, di vendetta. Saremmo tentati di reagire come loro, di minacciare di morte chiunque appartenga ad un’organizzazione legata all’estremismo islamico. Altra violenza, altro sangue. Li accusiamo di non avere alcun rispetto per la vita umana, di non rispettare la Convenzione di Ginevra, come se fossero soldati di un regolare esercito, e poi saremmo pronti ad emulare le loro stesse gesta.
Non voglio entrare nella facile polemica su chi ha armato la mano dei terroristi dell’ISIS. Un terrorista è sempre un terrorista! Inutile cercare complotti e nemici ombra. Loro sono nostri nemici e su questo non può esservi alcun dubbio. Sì, ma come combatterli? Violenza, minacce? Ha un senso reagire come il marine americano che dinanzi ad episodi di inaudita ed animalesca ferocia come quelli che ci mostrano i video dell’ISIS, risponde loro che negli Stati Uniti ci sono circa 21,2 milioni di veterani armati fino ai denti, che non verranno applicate le Convenzioni di Ginevra e non ci sarà nessuna pietà per i terroristi?
Forse la minaccia potrebbe funzionare da deterrente con chiunque, ma non con chi è pronto a farsi saltare in aria perché crede di essere compensato nell’aldilà per il suo martirio. A cosa serve minacciare di morte chi della morte non ha paura? Cosa fare dunque? Come difendersi?
Domande che mi riportano indietro nel tempo. A quell’ormai lontano 11 settembre del 2001, quando ci si chiedeva come ci si dovesse difendere dal terrorismo di carattere religioso-fondamentalista. Fu durante quei giorni che qualcuno, non ricordo più chi fosse, mi disse: “Qual è l’obbiettivo di un terrorista se non quello di diffondere il terrore? Se vuoi sconfiggere il tuo nemico devi usare le sue stesse armi. Visto che non hanno paura di morire poiché grazie al martirio raggiungerebbero il paradiso, se qualcuno gli prospettasse la dannazione eterna, come reagirebbero? Prova ad immaginare se un gruppo di fanatici come loro, ogni qualvolta un terrorista islamico muore durante un conflitto o per portare a termine un attentato, ne prendesse il corpo, lo smembrasse, lo facesse a pezzi e dopo averlo infilato dentro la carcassa di un grosso maiale lo seppellisse così, lasciando che le loro carni imputridiscano insieme, che uomo e maiale divengano un tutt’uno per l’eternità. Cosa accadrebbe se la notizia e i video arrivassero agli altri con la promessa che ad ognuno di loro toccherà in sorte l’essere sepolto dentro un maiale e, secondo il loro credo religioso, scaraventato all’inferno?”
Non ricordo più chi fosse l’uomo che mi disse quelle parole, ma tutt’oggi ricordo l’orrore che suscitarono in me. Per un attimo pensai a quello che avrebbero potuto fare servizi segreti ed agenzie occidentali… Gli diedi del terrorista… Gli dissi che era peggiore di coloro i quali voleva combattere. No, noi non possiamo usare questi metodi. E sapete perché? Perché noi non siamo come loro…
Gjm