Si terrà domenica 11 maggio il referendum separatista indetto dai filorussi nell’Ucraina orientale. Un referendum analogo a quello tenutosi in Crimea, che portò alla successiva richiesta di annessione della penisola alla Federazione russa. Senza entrare nel merito della legittimità dei referendum secessionisti e degli interessi di nazioni terze, proviamo ad analizzare le differenze tra quanto accaduto in Crimea e quanto fra due giorni dovrebbe accadere in Ucraina orientale.
Secondo sondaggi condotti a livello nazionale prima degli episodi di violenza nell’est ucraino, la maggioranza (75%-78.6%) della popolazione ucraina, nonostante il governo centrale non goda di ampi consensi, riteneva che il paese dovesse rimanere unito. A fronte di questa netta maggioranza, soltanto il 12% circa dei cittadini riteneva che alle regioni dovesse essere consentita la possibilità di indire referendum in materia di secessione. Percentuali diverse se analizzate per regioni geografiche, visto che nell’ovest ucraino e nell’area centrale il fronte dell’unità della nazione superava il 90%’ mentre al confine con la Russia superava di poco più il 70%.
Un dato che stando ai rapporti di intelligence dopo i fatti di Odessa si sarebbe modificato consegnando ai filo-separatisti una maggiore percentuale (circa 1.50-2% in più rispetto i sondaggi del mese di aprile). Una percentuale che comunque non permetterebbe ai filo-russi di poter incassare il risultato referendario, sempre che le votazioni si svolgano in maniera regolare consentendo a tutti i cittadini di poter esprimere la loro preferenza senza subire minacce né violenze come accadde in Crimea.
Il fallito tentativo di Putin di far slittare la data del referendum, troverebbe dunque una spiegazione valida visto che se dovesse fallire, com’è presumibile che accada, il referendum secessionista, la Russia difficilmente potrebbe giustificare un intervento in Ucraina che violerebbe la sovranità della nazione e del popolo che a maggioranza avrebbe legittimato così il proprio governo.
Se gli ucraini non sono soddisfatti della leadership del paese, ancor meno lo sono delle ingerenze da parte delle potenze straniere. A livello nazionale, quasi il 70% dei cittadini guarda con sospetto la Russia e la sua interferenza negli affari interni del paese. Il 38% (alla pari con chi ritiene corretto il comportamento) giudica in maniera negativa anche l’operato degli Stati Uniti, mentre il 45% si esprime positivamente in merito agli interventi da parte dell’Unione Europea.
Assolutamente negativa la figura di Putin, la cui fiducia è crollata dal 56% del 2007 al 23% di oggi, anche se nell’area orientale riesce a mantenere un consenso stimato tra il 35 e il 39%. Più di quanto comunque non ottenga Obama, il quale a livello nazionale gode di quasi il 20% di simpatizzanti, ma il cui consenso scende sensibilmente nelle regioni russofone dove raggiunge a malapena il 14% circa.
Se in Crimea Mosca ha avuto gioco facile (a prescindere dalle minacce e violenze contro i nazionalisti ucraini), visto l’ampo consenso di Putin (oltre il 90%) su Obama (4% circa), così non è a livello nazionale in Ucraina e neppure nelle regioni orientali dove è presenta una comunità russofona che, seppur in minoranza, conta un buon numero di cittadini residenti.
Il consenso verso Putin è certamente diminuito a livello mondiale (tolti i paesi storicamente vicini a Mosca) ma in compenso è aumentato presso i russi i quali ritengono corretto l’intervento di Mosca in Crimea (oltre l’80%). Più della metà della popolazione russa ritiene sia stata una tragedia lo scioglimento dell’ex Unione Europea e condivide l’idea che sia necessario recuperare alla Federazione russa i territori che andarono perduti. Oltre il 60% di loro, non esclude neppure la possibilità di far ricorso ad interventi militari qualora le circostanze lo richiedessero.
Qualora le operazioni di voto dovessero svolgersi regolarmente, cosa farà Putin? Questa è la domanda che si pongono un po’ tutti e forse anche lo stesso Putin…
Gjm