Si, c’è stata l’investitura di Matteo Renzi a Premier di un nuovo governo con tempi e modi assolutamente non ortodossi, ma è anche vero che ormai lo scontro Renzi – Letta balenava nell’aria ed i due prima o poi erano destinati all’urto. Non si sapeva quando, ma era inevitabile. Ci ha lasciato le penne Enrico Letta, che per molti rappresentava una sorta di continuazione del governo Monti costato molto caro agli italiani. Se vogliamo acqua passata che non macina più.
Ma adesso, con l’ormai ex sindaco di Firenze definito da qualcuno “Premier di rottura col passato”, nonostante l’approvazione della legge elettorale che potrebbe avvenire entro la prossima settimana, l’andazzo di questi giorni pare non sia mutato. Si è assistito alla solita querelle proprio sulla legge elettorale che ogni partito ha tirato dalla sua parte, alle accuse di nomine governative di gente impresentabile come Gentile, alle proposte di rinvio della riforma del Senato, ai tentativi di varare assieme legge elettorale e riforma del Senato, ai calcoli di convenienza dei partiti a far cadere o meno il governo ed a quant’altro riconducibile ad un certo teatrino della politica ormai indigesto agli italiani. Si dimentica facilmente che forse Renzi rappresenta l’ultima chanceper salvare il salvabile, rischiando di tradire le speranze di chi vuole che le cose cambino e cambino in meglio. “Cambiamento” è la parola che viene evocata quando si vuole voltare pagina o registro, a volte foriera di nuovi accadimenti, ma nella nostra terra è ormai inflazionata. Cosa pensano gli italiani dopo i governi Berlusconi, Monti e Letta? E soprattutto i meridionali che dalle dichiarazioni programmatiche di Renzi hanno rilevato che nessun cenno è stato fatto al meridione? E’ diventato un tema anacronistico che non fa più notizia, cancellato dalla coscienza e dalla memoria nazionale e solo occasionalmente Napolitano ne ha citato l’importanza di doversene ricordare. Oggi a fare notizia sono le interpretazioni date alle mani tenute in tasca dal presidente incaricato durante l’intervento, segno (pare) di debolezza, fino a scomodare quel Gianni Agnelli che amava tanto tenerle dentro facendone fuoriuscire solo i pollici, segno di forza e concretezza. Discussioni inutili che non interessano nessuno, ma che fanno parte della spettacolarizzazione della politica ai tempi d’oggi.
Purtroppo resta però il dramma del Mezzogiorno. Sull’argomento si è scritto tanto con i libri, solo per citare i più noti, di Pino Aprile e Gian Antonio Stella con “Se muore il sud” per esempio. Chi ci vive lo conosce bene e più di bravi giornalisti. E’ un ammasso di diseconomie: le mafie, la corruzione, il clientelismo, la burocrazia, la giustizia che non funziona, gli interessi personali, le lobbies, la mancanza di infrastrutture e sicurezza. Il divario attuale col resto d’Italia è maggiore di quello del dopoguerra. Poco o nulla è cambiato negli ultimi decenni, basta porre delle semplici domande a cui si implorano risposte. mezzo secolo fa chi percorreva la tratta ferroviaria Bari – Agrigento impiegava ventiquattro ore: perchè ancora oggi si impiega praticamente lo stesso tempo? Cosi come la Trapani – Catania: perché da sempre non è bastevole un giorno intero per percorrerla? La vicenda di Ignazio Cutrò, giorni addietro ospite di “Che tempo che fa” su Rai tre, che significato assume? Siamo sicuri che non esistono più i comitati d’affari che hanno caratterizzato la prima Repubblica con le tangenti che rappresentano il lubrificante indispensabile per dar corso ad attività economiche non solo private? Può lo Stato centrale dar corso all’esborso di diversi milioni per pagare la penale della mancata costruzione del ponte sullo stretto? Non bisognava forse avere certezza dell’attuazione dell’opera prima di conferire l’appalto? Su questo Stato malato potremmo continuare all’infinito, avremmo voluto che il neo Premier parlasse della Salerno – Reggio Calabriaincompiuta per eccellenza, di investimenti infrastrutturali nel Mezzogiorno e del suo ruolo per il rilancio dell’economia, di aggressione dei patrimoni criminali, del varo di politiche che possono ridurre il gap tra nord e sud, della perenne migrazione e di quant’altro riguarda non solo il sud ma tutto il Paese. I dati sulla disoccupazione, i fallimenti, i concordati preventivi, le imprese che chiudono forse non hanno più bisogno di commenti, sappiamo penalizzano per come è strutturato, per il passato e per le prospettive soprattutto il sud. Per il momento Renzi su questi temi ci ha deluso. Il sud non può continuare ad essere solo mero serbatoio di voti, va riconsiderata la sua valenza. I capi di governo che lo hanno preceduto si sono fermati solo all’enunciazione dei buoni propositi, ed hanno fallito miseramente. Non commetta lo stesso errore. Dimostri di non essere inchiavardato al potere, sfidi i partiti, senza distinzioni, a dare le risposte giuste. Sarà ripagato dalla storia e dagli elettori.
Rogero Fiorentino