Questo è quanto si evince dalla sentenza emessa oggi dalla Corte di giustizia dell’Unione europea, secondo la quale i richiedenti asilo omosessuali possono configurare un particolare gruppo sociale, esposto al rischio di persecuzione a causa dell’orientamento sessuale.
L’esistenza, nel paese d’origine, di una pena detentiva per atti omosessuali qualificati come reato può, di per sé, costituire un atto di persecuzione, purché tale pena trovi effettivamente applicazione.
Nella sua odierna sentenza, la Corte considera anzitutto che è pacifico che l’orientamento sessuale di una persona costituisce una caratteristica così fondamentale per la sua identità che essa non dovrebbe essere costretta a rinunciarvi. A tale riguardo, la Corte ammette che l’esistenza di una legislazione penale che riguarda in modo specifico le persone omosessuali consente di affermare che queste costituiscono un gruppo a parte, percepito dalla società circostante come diverso.
Tuttavia, affinché una violazione dei diritti fondamentali costituisca una persecuzione ai sensi della convenzione di Ginevra essa deve raggiungere un determinato livello di gravità. Non tutte le violazioni dei diritti fondamentali a danno di un omosessuale richiedente asilo raggiungeranno pertanto necessariamente tale livello di gravità. Pertanto, la mera esistenza di una legislazione che qualifica come reato gli atti omosessuali non può essere ritenuta un pregiudizio talmente grave da far ritenere che costituisca una persecuzione ai sensi della direttiva. Una pena detentiva che sanziona gli atti omosessuali può invece, di per sé, costituire un atto di persecuzione, purché essa trovi effettivamente applicazione.