Si abbassa il polverone di un gioco al massacro che non conviene a nessuna delle parti in causa. Dopo aver rivelato le notizie in merito alla rete di spionaggio degli Stati Uniti che monitoravano anche le conversazioni di leader dei cosiddetti paesi amici, suscitando la reazione da parte di questi ultimi costretti a simulare delusione e risentimento verso gli “spioni” americani, l’ex contractor della Nsa Edward Snowden, ha aperto il cassetto dei “lavori sporchi” di Germania, Francia, Spagna e Svezia.
Unici a uscirne indenni i servizi italiani, giudicati dall’intelligence inglese troppo “litigiosi e incapaci” per poter partecipare a progetti di carattere internazionale. Pronta la risposta italiana secondo la quale i nostri servizi segreti “sono più garantisti” di quelli di altri Paesi e “non sono disponibili ad andare al di là di quanto previsto dall’ordinamento”.
Una risposta che rende onore all’Italia, se non fosse che l’ombra dei nostri servizi ha sempre alitato sui più gravi fatti che hanno sconvolto il nostro paese. Dalle stragi dei sindacalisti in Sicilia nell’immediato dopoguerra, per arrivare alla cosiddetta “trattativa mafia-Stato” e alle stragi del ’92.
Storie vecchie quanto Noè, tanto da portarci più volte a scriverne senza meravigliarci più di tanto, ricostruendo il periodo successivo alla conferenza di Yalta quando si arrivò a una sorta di patto tra l’allora governo americano, quello italiano, lo Stato Pontificio e la mafia. Un patto scellerato ben deducibile dai documenti dei servizi segreti americani che evidenziavano la necessità di agire senza aspettare che De Gasperi cacciasse i comunisti dalla Sicilia: “Decideremo noi, dove, come e quando agire”. Era il 1947. L’anno della strage di Portella delle Ginestre, di quella di Partinico, alle quali fecero seguito un’interminabile serie di delitti mafiosi, tra i quali quello di Accursio Miraglia, Placido Rizzotto e quello del sindaco Guarino di Favara.
Una strategia di guerra contro inermi cittadini che trova riscontro nei documenti originali dei servizi americani pubblicati nel nostro articolo del mesi di aprile.
Dalle stesse dichiarazioni rese nel 1996 da Gianni Agnelli a proposito del Piano Marshall, si evince l’influenza americana sulla nascita dei governi italiani, facendo esplicito riferimento alle operazioni coperte da parte dell’intelligence americana. Operazioni che non si sarebbero certamente potute realizzare senza il coinvolgimento dei nostri apparati, ma anche operazioni che vedono coinvolta in contrapposizione l’intelligence sovietica e la classe politica della sinistra italiana.
Perché dunque far finta di scandalizzarsi per quello che da sempre è sotto gli occhi di chiunque voglia vederlo? Perché non scandalizzarsi invece della recente autorizzazione da parte del Governo americano ai propri servizi a poter uccidere cittadini che possano compromettere la sicurezza nazionale? Omicidi che fino a poco tempo addietro venivano commessi nel corso di operazioni coperte e che oggi vengono legalizzati in nome di una sicurezza che potrebbe finire con il nascondere mire politiche o interessi personali.
Un mondo complesso quello della National Security Agency di Fort Gordon, le cui intercettazioni sono gestite da stazioni in patria e all’estero e dalle cui migliaia di documenti classificati emerge una centrale di capacità sbalorditive nell’intercettare i segreti di buona parte del mondo, ottenendo vantaggi diplomatici ed economici anche in danno di paesi alleati.
Della capacità dei servizi americani nell’intercettare e vagliare messaggi di comuni cittadini ne avevamo già scritto in tempi non sospetti quando nel novembre del 2011 in un nostro articolo riportavamo come al vaglio della sola CIA passassero quotidianamente 5 milioni di soli tweets, senza contare i messaggi su Facebook, analizzati in centri la cui ubicazione è top secret e poi fatti confluire ad un unico centro, ancor più segreto degli altri uffici, dove i dati vengono elaborati, confrontati, messi in relazione.
A tal proposito significativa e premonitrice la dichiarazione della portavoce della CIA Jennifer Youngblood: “L’attenzione del OSC è rivolta all’estero”.
Un interesse rivolto non solo a messaggi ma anche ad articoli di giornali, blog, trasmissioni radiotelevisive, tanto da indurci a pubblicare come durante i primi giorni della rivolta in Libia il nostro giornale avesse ricevuto ben più di 400 visite dal solo sistema intranet “US Army”, tante centinaia provenienti dagli Stati Uniti e circa 800 non identificabili provenienti dalla Russia.
James R. Clapper Jr. , direttore dell’intelligence americana che ha più volte respinto gli addebiti mossi da altre nazioni che allo stesso modo avevano organizzato la propria rete di spionaggio, ha finito comunque con l’ammettere come i servizi statunitensi con 35.000 addetti e 10,8 miliardi di dollari l’anno di stanziamento sono i più efficienti del pianeta.
Dove sta dunque il problema, in una questione di diritto o nell’efficienza dei servizi di un paese rispetto quelli degli altri?
Se la NSA sembra essere l’orecchio che ascolta il mondo, non bisogna dimenticare la C.I.A. che dalla notte dei tempi utilizza agenti stranieri infiltrati per raccogliere informazioni. Informazioni che raccolte anche con metodi tradizionali vanno ad arricchire la banca dati dell’agenzia.
Ma il fiore all’occhiello degli spioni è la tecnologia telematica. Un innocuo avventore di un qualsiasi internet point in realtà potrebbe essere uno dei tanti agenti sparsi per il mondo che, grazie alla sofisticatissima tecnica “Polarbreeze”; attinge a computer vicini spiando conversazioni e dati da inviare alla potente centrale. Ma non solo di spionaggio di obiettivi identificati si tratta.
A volte i servizi realizzano autentici specchietti per le allodole attirando in trappola le loro prede, come nel caso dell’operazione Orlandocard, quando la NSA riuscì a raccogliere 77.413 visite, individuando tra queste ben 1.000 provenienti da “computer interessanti” all’interno dei quali piazzare spyware che ne potessero seguire le operazioni. Attività che hanno portato l’Agenzia a sventare attentati prima che venissero portati a termine, anche in altri paesi.
Ma se questo è l’aspetto pulito del lavoro di servizi che collaborano tra di loro, esiste il rovescio della medaglia: gli interessi economici! Prova ne sia un documento del G.C.H.Q., il servizio britannico, che facendo riferimento alle informazioni raccolte che potrebbero favorire l’economia nazionale riporta testualmente: “Il benessere economico di riferimento non può essere condiviso con qualsiasi partner straniero .”
Neppure dunque con gli Stati Uniti, nonostante gli stessi negli affari degli 007 siano i principali alleati degli inglesi.
Oggi l’hacking è lo strumento più utilizzato dalla potente agenzia americana per spiare alleati e nemici. Uno strumento che ha permesso di spiare anche pericolosi nemici degli Stati Uniti, come il gruppo libanese Hezbollah che grazie al programma denominato Spinaltap è finito nella rete statunitense.
A volte capita di seguire una pista e ritrovarsi a spiare avversari ed alleati. È questo il caso dell’operazione Ironavenger, quando gli uomini della NSA seguendo servizi di paesi amici, riuscirono a penetrare nei sistemi di un governo ostile all’America.
Questione morale, diritto o soltanto una questione di capacità dei servizi segreti dei vari Stati? Se NSA, CIA e altre Agenzie ufficiali, coadiuvate dalle 22 private che collaborano con loro, hanno formato la più potente rete di spionaggio al mondo, verrebbe da dire che i soldi dei contribuenti americani sono ben spesi. Peccato che basti uno Snowden qualsiasi a dimostrare come il diavolo fa le pentole ma non i coperchi…
Gian J. Morici