Dopo aver divulgato notizie in merito all’attività della NSA (National Security Agency) che avrebbe spiato sedi diplomatiche europee a Washington e all’Onu a New York, con il coinvolgimento di almeno sette paesi europei che avrebbero collaborato con l’agenzia americana, non è più online la pagina del Guardian che aveva riportato le dichiarazioni di Wayne Madsen, gola profonda che avrebbe millantato trascorsi nell’agenzia con ruoli di primo piano.
Secondo il Telegraph – come riportato dal quotidiano “la Repubblica” – alla base della rimozione l’inaffidabilità della fonte che, a quanto sembra, tempo fa sostenne che il presidente Barack Obama fosse gay.
Ma erano veramente del tutto false le affermazioni di Wayne Madsen, o la scelta di renderle tali ha una precisa logica di strategia politica che permette alle diplomazie degli stati coinvolti di attivarsi per poter ricucire lo strappo?
Domanda legittima, visto che il quotidiano italiano, nel riprendere quanto pubblicato da PrivacySurgeon.org, riportava che “la maggior parte del materiale di Madsen è già nota, soprattutto negli ambienti dello spionaggio, ma le sue “affermazioni devono ricordare alle agenzie di intelligence che ci sono migliaia di contractor in giro in grado di alzare il velo sull’apparato”.
Se “la maggior parte del materiale di Madsen è già nota, soprattutto negli ambienti dello spionaggio”, si dovrebbe poter presumere che totalmente false le informazioni non lo siano ma, ancor più interessante è il riferimento a “migliaia di contractor in giro in grado di alzare il velo sull’apparato” e sugli accordi raggiunti tra Stati Uniti e alcuni Stati europei a partire dal dopoguerra.
22 agenzie che collaborano con quelle ufficiali americane, un vero e proprio esercito composto da 12.000 uomini, per una storia in realtà nata prima che terminasse la seconda guerra mondiale, quando la covert action era appannaggio della CIG (oggi CIA).
1996 – A parlare di Piano Marshall, delle difficoltà di un paese industrialmente distrutto dalla guerra, dell’apertura di credito da parte della Bank of America, del finanziamento all’Italia di circa un miliardo e mezzo di dollari sui 15 miliardi di dollari stanziati per tutto il programma, è Gianni Agnelli, che ricorda come la Fiat valesse quaranta o cinquanta milioni di dollari, sufficienti ad ottenere un credito revolving per acquistare nuovi macchinari, potenziare la produzione e ripartire nuovamente.
E se tutto ha un prezzo, il prezzo da pagare a un paese che aveva vinto la guerra e che aveva il 50% del PIL mondiale fu il “forte sentimento” filo-americano che nacque in Italia, in modo particolare tra imprenditori e politici. Un “legame psicologico” dettato da gratitudine, che spingerà la Fiat a non offrire occupazione a lavoratori o dirigenti comunisti, specie quando si aggiudicò le commesse per la realizzazione di motori di aviazione per la NATO.
Per l’Italia del dopo Patto di Yalta, così come per il resto d’Europa, il Piano Marshall fu l’incubatrice della politica atlantica dalla quale nacque la NATO.
I sovietici avevano ottenuto l’approvazione di una confederazione del lavoro che avrebbe dovuto operare in molti paesi democratici, oltre quelli comunisti, organizzando le lotte sindacali. A Parigi nasceva il WTFU, la Federazione Sindacale Mondiale, a cui avrebbe fatto da contraltare il TUC britannico e il CIO americano, il Congresso delle Organizzazioni Internazionali. Il Italia, operava la Cgil FSM. Sindacato-partito che nei documenti dei servizi segreti americani viene definita “arma rivoluzionaria” del comunismo o “strega Cgil”.
Erano gli anni dei partiti di massa comunisti in Francia e in Italia, laddove gli americani ritenevano “pericolosa” la situazione. Figure di primo piano della nuova geostrategia, Hoyt Vandenberg e Roscoe Hillenkoetter, responsabile della CIG. L’America si preparava alla grande sfida del 1948, per evitare che il Partito Comunista Italiano, che nel 1947 era il più grande partito comunista del mondo al di fuori del Soviet e dei partiti comunisti sovietici dei paesi satelliti, potesse vincere in Italia, rendendo di fatto vani gli accordi di Yalta.
Preoccupato per le mire espansionistiche sovietiche e per i pessimi risultati ottenuti alle elezioni comunali nel ’46 e nel ’47, dalla Democrazia Cristiana, partiti clericali e partiti laici centristi, era George Marshall che temeva l’affermarsi del comunismo, dettato da un sentimento antifascista, dal miraggio di un’uguaglianza sociale e dalle capacità politiche di uomini come Togliatti e Devittorio, grande leader del mondo del lavoro e trascinatore di folle.
A finanziare in nero il sindacato-partito, con cifre ragguardevoli – oltre 8 milioni di dollari al mese – l’elite sovietica di Villa Abomelek a Roma. Per contrastare l’attività sovietica, gli americani misero in campo le migliori risorse umane, l’intelligenza segreta reclutata da agenti all’estero. Il generale Marshall chiamò i suoi più stretti consiglieri, il segretario O’War, Robert Patterson e Allen Dulles, un avvocato di New York in stretto contatto con gruppi nazisti e fascisti. Il banchiere James Forestal e George Kennan completavano il primo gruppo di uomini che avrebbero determinato le sorti del comunismo in Italia e, per molti decenni ancora, la politica del paese. Del resto, i primi passi erano già stati fatti nel ’43, quando alcuni agenti legati ai servizi nazisti e fascisti, di stanza in Italia, erano già passati a servizio degli americani. Una storia poco conosciuta, che vide tra i protagonisti un generale tedesco e un funzionario di polizia italiano, figura poi di primo piano negli anni delle stragi di sindacalisti.
Il gruppo voluto da Marhsall si mise al lavoro, per fare qualcosa che l’intelligence americana non aveva mai fatto: ‘acquisto delle forze politiche in campo, per assicurarsi l’appoggio del nuovo governo e la sconfitta del comunismo. Sostegno economico e studio delle strategie politiche in favore delle forze che appoggiarono De Gasperi e Saragat, sovvenzionando la Democrazia Cristiana e tre partiti laici, quali erano i socialdemocratici, i repubblicani di Pacciardi, e il partito liberale.
Le elezioni del ’53 avrebbero poi insegnato agli americani che non bastavano i sacchi pieni di dollari per aggiudicarsi il risultato, se non si segue passo passo la crescita dei partiti in uno stato democratico. Ma nel ’48, tra soldi ed azioni che devono ancora passare al vaglio della storia, il risultato lo ottennero.
Lasciando all’oscuro anche James Clement Dunn, Ambasciatore americano in Italia, la CIA comprava il risultato delle elezioni in un paese democratico.
Il tutto, senza correre eccessivi rischi, visto che i comunisti non potevano denunciar nulla poiché da villa Abomelek uscivano i soldi che i sovietici elargivano loro a piene mani. Saltuariamente qualche accenno o qualche storia veniva pubblicata da riviste come l’Espresso o Panorama, quando agenti dei servizi segreti, come l’ex-CIA Philip Agee, decidevano di saltare il fosso e raccontavano delle operazioni sotto copertura.
Persino il Vaticano, pur non prendendo direttamente parte alle operazioni politiche, lasciò fare, consapevole del fatto che la vittoria di forze politiche filoamericane avrebbero garantito un clima di serenità tra la Chiesa e l’onnipotente America.
Persone come Philip Agee, che disertò dalla CIA, o come Aldridge Ames, non condivisero il modus operandi della neonata CIA e denunciarono all’opinione pubblica le operazioni coperte delle quali erano a conoscenza. Poca cosa rispetto la dimensione reale del progetto politico e strategico degli Stati Uniti.
‘Datagate’ non meraviglierà certo gli operatori del settore, i quali, a seguito delle continue fughe di notizie, oltre a cercare soluzioni idonee a coprire lo scandalo, stanno certamente tentando di capire cosa sta accadendo ai giorni nostri, nell’era post-WikiLeaks, che vede molte gole profonde legate a vario titolo ai servizi segreti. La spiegazione a tutto ciò sta nelle mutate condizioni operative. Se da un lato è vero che la tecnologia ha favorito le operazioni di spionaggio consentendo un maggior controllo nelle comunicazioni e nel monitoraggio a distanza dei luoghi e delle persone, altrettanto vero è il fatto che tra gli operatori dei servizi è venuto a mancare il senso di appartenenza al gruppo. Quel vincolo di attaccamento che porta l’individuo ad identificarsi con il gruppo con il quale opera, con cui condivide scelte e strategie.
Ma perchè questo avvenga, è necessario che i membri di un gruppo finiscano con il riconoscersi e si sentano tra loro legati dallo stesso vincolo. I servizi statunitensi, quel colosso formato da agenzie ufficiali, agenzie a servizio e contractor, non aveva fatto i conti con i ‘ragionieri dell’intelligence’.
I lupi cacciano in branco, esattamente come gli uomini. A volte accade che un uomo possa ‘rompersi’ e non condividere più le scelte del gruppo, ma difficilmente lo stesso consegnerà la testa dei compagni di squadra con i quali ha condiviso ideali, adrenalina, paure, gioie e altro ancora. Ancor più difficile che questo accada nel caso in cui abbia verso gli stessi un debito di gratitudine.
Lo stesso può dirsi per chi da solo, dinanzi al desktop di un computer, vive di bit e pixel senza condividere quel senso di appartenenza che vive anche della fisicità dei componenti del gruppo, della loro capacità di affidarsi e/o proteggere gli altri membri, del comune sentire di quel “noi” che rende tanto diversi dagli altri?
A breve, un nuovo progetto editoriale ci permetterà di offrirvi approfondimenti di molti degli argomenti che abbiamo trattato su questo giornale. Dalle storie di mafia, terrorismo, spionaggio, ai drammi che vivono intere popolazioni. Cronaca, opinioni, analisi e documenti. Un nuovo modo di fare approfondimento che siamo certi troverete di vostro interesse e gradimento.
Gjm