Sale la tensione alla Procura palermitana che, dopo le minacce al pm Di Matteo, deve adesso fare i conti con un altro magistrato nel mirino dei boss.
Da intercettazioni effettuate in carcere si è infatti scoperto che i boss detenuti fanno il nome del pm Francesco Del Bene.
“Quel Del Bene è troppo zelante. Deve buttare sangue, deve morire”. Parole che unitamente ad altre conversazioni dello stesso tenore, non lasciano agli inquirenti alcun dubbio in merito alle intenzioni di Cosa Nostra.
Del Bene è autore di indagini che effettuate insieme ad altri colleghi hanno portato alla cattura di boss di primo piano della mafia siciliana, l’ultima delle quali ha visto sgominata la nuova cupola di Cosa Nostra, con l’arresto di 37 uomini d’onore.
Una tensione che riporta alla memoria i fatti antecedenti all’epoca delle stragi del ’92, quando Cosa Nostra (ma non solo…) dichiarò apparentemente guerra ad uno Stato che non era più in grado di garantire adeguata protezione alle consorterie mafiose.
Strana l’allusione contenuta nelle lettere che riguardano il progetto dell’attentato al pm Di Matteo, ai “comici” e i “froci” che la mafia non vorrebbe al governo. Cosa c’entrano i “comici” e i “froci”, che la stampa ha individuato in Beppe Grillo e Rosario Crocetta, con le minacce ai magistrati e una nuova teoria del terrore mafioso?
Per comprendere quali possano essere gli interessi a colpire – quantomeno politicamente – i due oggetto della missiva, è necessario fare un salto indietro nel tempo, quando un golpe silente riuscì a sovvertire il risultato del voto espresso dagli italiani nel 2006.
A narrare come dietro la caduta del governo Prodi ci fossero i timori degli Stati Uniti che vedevano messi a rischio il rafforzamento della base Nato di Vicenza e l’installazione del MUOS di Niscemi, l’ex senatore De Gregorio, nel corso del processo per corruzione a Silvio Berlusconi, che, con dovizia di particolari, ha raccontato di un incontro riservato avvenuto nell’estate del 2007, che avrebbe visto, oltre alla sua partecipazione, quella dell’allora ministro Clemente Mastella, dell’italo-americano Enzo De Chiara e di un presunto agente della CIA.
Se il MUOS era così importante per gli Stati Uniti, a tal punto di dovere in qualche modo “manifestare perplessità” verso alcuni componenti di maggioranza del governo Prodi che potevano rappresentare un ostacolo alla realizzazione del radar, come non accorgersi che ora l’ostacolo maggiore al progetto della marina militare americana sono l’attuale governo regionale siciliano e i deputati regionali del M5s?
La Sicilia, ancora una volta, potrebbe trovarsi al centro di grandi interessi strategici internazionali quali quelli narrati da Nico Miraglia, figlio del sindacalista Accursio ucciso nel ’47, di quando dopo il patto russo-americano (conferenza di Yalta), vi fu una sorta di patto tra l’allora governo americano, quello italiano, lo Stato Pontificio e la mafia. Secondo quanto riportato da uno dei documenti dei servizi segreti americani, veniva palesata la necessità di agire senza aspettare che De Gasperi cacciasse i comunisti dalla Sicilia. “Decideremo noi, dove, come e quando agire” veniva dichiarato. Era il 1947, l’anno in cui veniva ucciso Accursio Miraglia. L’anno della strage di Portella delle Ginestre, di quella di Partinico, alle quali fecero seguito un’interminabile serie di delitti mafiosi, tra i quali quello di Placido Rizzotto e quello del sindaco Guarino di Favara.
Dichiarazioni, quelle di Nico Miraglia, che, arricchite da queste pagine originali di documenti della CIA del ’47 e del ’48 – unitamente alle più recenti dichiarazioni di esponenti dei servizi statunitensi, secondo i quali nel ’48, se le elezioni non fossero andate secondo i desiderata degli USA, gli stessi sarebbero stati pronti ad un’occupazione militare -, rendono l’idea delle strategie che possono essere poste in essere da nazioni la cui sicurezza è minacciata da scelte politiche di altri paesi.
Gian J. Morici