YEM ART
ASSOCIAZIONE SCRITTORI ED ARTISTI AGRIGENTINI
AL PROF. ENRICO TESTA
FRA I PIU’ AUTOREVOLI POETI E SCRITTORI ITALIANI
IL “PREMIO INTERNAZIONALE TRISKELES 2013” ALLA CARRIERA
ED IL TITOLO DI “AMBASCIATORE DELLA CULTURA ITALIANA NEL MONDO”
L’illustre Autore è Docente di Storia della Lingua Italiana all’Università di Genova
“Yem Art”, Libero Ateneo Internazionale di Studi Superiori sulle Culture della Multimedialità, fondato e presieduto dal Prof. Nuccio Mula e con sede ad Agrigento, ha deliberato d’assegnare al Ch. mo Prof. Enrico Testa, Ordinario di Storia della Lingua Italiana all’Università di Genova, nonché poeta e saggista fra i più autorevoli nel nostro Paese, il Premio Internazionale “Trìskeles” alla Carriera, giunto alla sua terza edizione, conferendo, altresì, all’illustre intellettuale, il titolo di “Ambasciatore della Cultura Italiana nel Mondo”.
Nato a Genova nel 1956, scrittore acuto, profondo ed affabulante, letterato e studioso di grande rinomanza per qualità e numero di pubblicazioni sempre molto apprezzate da fruitori e critica, dopo Le faticose attese (San Marco dei Giustiniani, 1988), il Prof. Enrico Testa ha pubblicato, per Einaudi, tre raccolte poetiche, In controtempo (1994), La sostituzione (2001), Pasqua di neve (2008) nonché L’esistenza. Tutte le poesie 1980 – 1992 (2010). In più ha dato alle stampe, tra l’altro, e sempre per Einaudi, i saggi Lo stile semplice. Discorso e romanzo (1997), il Quaderno di traduzioni di Giorgio Caproni (1998), Montale (2000), Eroi e figuranti. Il personaggio nel romanzo (2009) e l’antologia Dopo la lirica. Poeti italiani 1960-2000 (2005). Fra le sue numerose opere edite da altre prestigiose Case Editrici, Per interposta persona. Lingua e poesia nel secondo Novecento (Bolzoni 1999) ed Una costanza sfigurata. Lo statuto del soggetto nella poesia di Sanguineti (Interlinea 2012). La sua più recente raccolta di poesie, intitolata Ablativo (Einaudi, marzo 2013), ha replicato il grande successo fra i lettori e gli unanimi consensi dei più prestigiosi protagonisti della critica.
Per la cronaca, venerdì 4 marzo 2011, a Canicattì, presso la Sala Convegni di Palazzo Stella, al Prof. Enrico Testa è stato espressamente dedicato, e per la prima volta in Sicilia, un importante “Incontro con l’Autore”, a cura dell’Associazione Scrittori e Artisti Agrigentini, presentato dalla giornalista Deborah Annolino (che ha anche intervistato l’illustre Autore); evento promosso e coordinato da Federico Li Calzi, poeta ed operatore culturale canicattinese, Dirigente del sodalizio ed Autore di due “best-sellers” poetici pervenuti a notorietà nazionale. In quella circostanza, e dinanzi ad un pubblico particolarmente numeroso e qualificato, il poeta e scrittore genovese è stato presentato dal docente universitario Prof. Nuccio Mula, scrittore e critico internazionale d’arte e letteratura, Componente dell’International P.E.N. Club e Presidente dell’Associazione Scrittori e Artisti Agrigentini; ed è stato insignito del titolo e della dignità di “Accademico d’Onore” nella Classe di Lettere dall’Accademia Internazionale degli Empedoclei di Agrigento, un esclusivo sodalizio cui si accede solo per chiara fama. Nella stessa serata, anche Federico Li Calzi, che ha fortemente voluto il Prof. Testa a Canicattì, ha voluto approfondirne la poetica con un ampio intervento, molto apprezzato dall’Autore.
Federico Li Calzi, che, a breve, farà ritornare nella nostra Provincia il prestigioso docente, poeta e saggista per la cerimonia ufficiale di consegna del Premio Internazionale “Trìskeles”, è stato fra i primi a recensire Ablativo con un saggio, alquanto gradito dal Prof. Testa, che sarà pubblicato su diverse riviste di Poesia e che alleghiamo al presente comunicato stampa per gli eventuali ed opportuni stralci a libera scelta dei “media”.
YEM ART
ASSOCIAZIONE
SCRITTORI ED ARTISTI
AGRIGENTINI
Ablativo di Enrico Testa. Poetica dell’eufonia e dell’assenza
il lampo che candisce
alberi e muri e li sorprende in quella
eternità d’istante
Eugenio Montale
La poesia di Testa da sempre rivela i suoi termini di comunicazione nell’essenzialità del linguaggio, nell’espressione asciutta, nella terminologia ponderata, priva di eccessi, in un’armonia di suoni calibrati, di effetti scenografici saldi e soppesati, senza orpelli di ridondanze retoriche o, peggio, inutili barocchismi e superflue cesellature.
Il libro è tessuto nella trama del minimalismo e della semplicità, in una dimensione tra perdita e assenza, si snoda in un tono di malinconica attesa e mancanza.
I versi sono liberi da briglie di preconcetti, incontaminati da approcci plurilinguistici: non c’è da stupirsi, allora, se a condurre questo testo sia un docente di storia della lingua italiana.
Temi umili, con uno stile che, per riferimenti ed ambientazioni, rimanda al Montale di “Satura” e degli ultimi libri, ma anche al Sereni di “Strumenti umani”; testi che, secondo diversi schemi (ma sempre collaudati), giungono puntualmente al punto di vista e all’effetto desiderato dal regista che, in genere, coincide con la fine dei componimenti.
“Ablativo”, già dal titolo, indica l’atto di portare via, esprime valore di allontanamento, di una scissione tra attesa e l’illusione della speranza, che si fa impalcatura e regge il filone delle diverse chiavi di lettura, voci, presenze, ombre ad avvicendarsi in questo corposo canzoniere, che lascia senza respiro gli amanti della poesia, quella vera, quella che, come diceva Montale, nasce quasi per miracolo.
Un registro che sembra venire da lontano per entrare “in medias res” da una dimensione remota e vicina al contempo, che porta con sé i segni distintivi e i presupposti di classicità, di componimenti destinati a sfidare il tempo (ma non di un pedissequo versificare in retaggi culturali) dove è possibile scoprire, invece, strutture inedite, dense di materia e realtà (“dopo averlo piegato più volte”), l’ingresso di un linguaggio parlato e di forme nuove condotte fino ai limiti di una tecnica consumata e della possibilità compositiva (“tu scrivi solo perché pensi di non doverlo fare mai più”) ma sempre con un verso lineare e un lessico adeguato, mai debordante.
In questa direzione si notano ritmi sincopati, cambi di registri linguistici, neologismi, reperti sonori primordiali, ma mai soffocati nel solco della tradizione, fino ad arrivare ad una “phoné” totale, come nel testo conduttore di questa opera (“la litania dei casi recitati al ginnasio”) non a caso scelto come copertina, dove la sinfonia si fa fluido vitale ed equilibrio, nell’eufonia di termini scelti con sapienza, dosati con maestria, proporzione e la misura di cui si parlava.
Si trovano allora casi di “enjambement” tessuti in uno stilema predigerito e mai d’impulso, in cui la materia viene dominata e modellata con grande disinvoltura, che vira al recupero di un dire mai limitato al troppo semplice o allo storto di un io traboccante, mai piegato a capitolazioni di sorta, ergo senza controfigure, smarrimenti, ma sempre in prima persona, con uno svolgimento in discreti ossimori e penetranti antitesi, dove anche il vuoto creato da questi è comunicazione, fino a rovesciamenti di senso irreali (“di preghiera in preghiera”), che saziano l’anima del lettore, il quale, verso dopo verso, trova sempre ciò che lo spirito desidera.
La precisione compositiva e la misura nell’uso di termini appropriati, nel significato e nell’eufonia, fanno la vera chiave di volta di questo libro. Il rigore intellettuale e la perfezione, senza sussulti e sfasature sul piano tecnico, creano una situazione stilistica e una comunicazione che attira l’attenzione.
Viaggi senza tempo, concreti ma anche ideali come “il vento di ponente sui tufi del Caos” che va a toccare uno dei livelli di essenzialità più alti e sublimi di tutto il canzoniere nei versi (“ricordati che ti amo/sta inciso su una spada d’agave”). Componimenti, che spaziano sulle bellezze naturali percepite dall’uomo e dai deturpamenti che lo stesso produce.
Testa possiede il dono, raro, dei grandi poeti, di raccontarci, a bassa voce, un mondo invisibile ma dignitoso, semplice e mai ovvio, silenzioso e contraddittorio, che vive in ognuno di noi e che viene giornalmente offeso e soffocato dal costante e arido valore della pecunia.
Un mondo, quello di Testa, che ha perso (per ritornare al discorso iniziale del titolo di quest’opera: “Ablativo”) l’illusione da cui si è staccata la speranza e che implode su di esso, quasi ad imitare la crudeltà dell’ordine della natura, dove tutto viene travolto e cancellato, dimenticato dal tempo che scorre inesorabile sulle vicende umane (come nell’esempio già citato, “dopo averlo piegato più volte”, oppure in “quando a sera dopo cena raccolgo” ), in cui anche una pienezza esistenziale viene confusa fra le pieghe anonime e incuranti della natura, ma sempre sullo sfondo di una bellezza classica, propria dell’arte, che punta al ruolo di archetipo ancestrale di mito.
Un testo che si apre alla scoperta dell’arcano, che emula l’equilibrio e l’essenzialità che la natura ha raggiunto in milioni di anni di evoluzione, attraversato da delicate visioni, talvolta visto con il disincanto dei bambini, fra elementi e vocaboli che non vogliono stonare e disturbare la falsa quiete della natura, ma esigono inserirsi in essa come elementi del creato.
Scandito in sezioni, il canzoniere affronta sussulti dello spirito, sempre umile e mai ginocchiato: e in questa dimensione si muove la poesia di Testa: a cogliere, scavare, incidere il rumore e il fragore di sottofondo delle cose sottili e la “pietas umana”, la potenza illuminatrice del sogno (“ a distanza abbaiare di cani”) e la fragilità dell’essere materia che si rigenera vanamente; ed in questo ricambio immutabile, cosciente, egli annota, senza timore, coraggiosamente, la bellezza fuggevole della vita e dell’esistenza.
La poesia, in ultima analisi, si fa strumento per superare il tempo (inteso in ogni forma e dimensione), per comunicare, entrare in contatto, in un assemblato monologo di idee empiriche condivise con un interlocutore cui non è più data possibilità di controbattere, come nel testo dedicato a Edoardo Sanguineti, in cui vengono appuntati dettagli di incontri cortesi, di “poche parole” , che diventano, simultaneamente, passato, presente e futuro. La poesia, allora, può mettere in luce le vicende umane, le debolezze e gli inganni, collettivi ed individuali, di un uomo che vuole distruggere il suo habitat.
Rendere la limpidezza della realtà con uno stile così diretto, fatto di attimi, di luce, di immagini, di intuizione è la virtù di Testa, la cui poetica presenta una struttura controllatissima: nulla è lasciato al caso, allo sfogo, l’emozione entra in veri e propri inserti capaci di esaltare i pregi di una parola che assume, talvolta, un peso insostenibile nella sua significazione icastica, elevata in una tensione tra l’amore per la vita e la consapevolezza della morte.
Federico Li Calzi