Vent’anni dopo la scena è sempre la stessa. Il processo di auto-riformismo si ripropone affondando le radici in quel “cambiar tutto per non cambiare nulla” di gattopardiana memoria. Un copione già visto vent’anni fa, per chi ha memoria solo dei fatti più recenti, ma che ben conosce chi legge la storia e si è imbattuto nel dopo conferenza di Yalta, nella guerra ai sindacalisti siciliani, nel banditismo di Giuliano e nei tanti misteri che avvolgono fedeli servitori dello Stato, di uno Stato che “fedele” non è, pupi, pupari, comparse e spettatori.
I primi anni Novanta rappresentano un ottimo spunto per chi vuol leggere questi fatti. Instabilità politica, mancanza di fiducia nelle istituzioni e nelle classi dirigenti del Paese, voglia di cambiamento causato da un diffuso malessere (o forse ben orchestrato?), che hanno trovato risposta nel trasformismo di collaudate dinamiche di potere.
Sono trascorsi vent’anni e sembra ieri. Dall’inchiesta Mani Pulite e dal lancio di monetine, siamo arrivati alla trattativa Stato-mafia, all’anti-casta, alla protesta del web.
Dal “corvo” della Procura di Palermo di quel lontano 1992, alle recenti rivelazioni di un altro “corvo”” che narra della scomparsa dell’agenda rossa di Borsellino e di altri fatti che dovrebbero essere conosciuti soltanto da chi all’interno di certi palazzi su quelle carte ha lavorato.
Erano gli anni in cui Paolo Borsellino diceva che “la politica e la mafia, sono due poteri che occupano lo stesso territorio, o si fanno la guerra, o si mettono d’accordo. E d’accordo sembra che si misero. Quantomeno stando alle indagini, ai testi, ai pentiti. Stando a chi, come Massimo Ciancimino, figlio dell’ex sindaco di Palermo, ha ricostruito più o meno correttamente quegli anni. Gli anni di silenzio dello Stato, gli anni di silenzio della stampa, gli anni di silenzio della politica, gli anni dell’urlo delle sirene, del deflagrare delle bombe.
Anni senza nome e senza volto, tranne che quelli di piccoli ingranaggi sacrificati sull’altare di interessi inconfessabili, con l’accusa di essere le menti e il braccio del periodo stragista di Cosa Nostra.
E insieme a loro, pezzi più o meno consapevoli di uno Stato deviato. La ragion di Stato genera mostri. Più o meno veri, come le piccole bestie che di sangue credono di alimentare il loro potere; veri, come pezzi consapevoli – e quindi deviati – di uno Stato che Stato non è. A volte meno veri, se non falsi, come quei pezzi di Stato sacrificati perché si potesse dare un nome al male, nascondendo agli occhi di tutti che quel nome, o meglio quei nomi, erano e sono quelli di sempre. Quelli che ben indica un detto tanto caro ai mafiosi siciliani: “cumannari è megliu di futtiri!” (comandare è meglio di fottere!).
Non è semplice dare un volto a quei nomi, né spetta a noi farlo. Se quella stagione iniziò con le condanne per mafia della fine degli anni Ottanta, questa sembra iniziare con i grandi processi.
Se allora si fece strada il federalismo leghista, o di più recente l’autonomismo siciliano di Lombardo, non va dimenticato quello che accadeva nella Sicilia dell’immediato dopoguerra quando il separatismo fu paravento di logiche ed interessi che andavano ben oltre i confini isolani e persino della nazione.
Un’idea più o meno giusta – o giustificata – ma che affondava le proprie radici in progetti eversivi concepiti da menti superiori che utilizzarono fenomeni come banditismo e mafia a proprio uso e consumo.
Dalla Prima Repubblica passammo poi alla Seconda. Tra massoneria, mafia e intrighi politici ed internazionali, arriviamo ad oggi.
Instabilità, malessere, “Corvi”, nuove Tangentopoli. Ancora scritti anonimi indirizzati alla Procura di Palermo, simili a quello arrivato nel ’92, tra la strage Falcone e la strage Borsellino, a cui fece seguito quello indirizzato a diverse autorità giudiziarie e politiche – ma anche alle redazioni dei principali giornali – nel quale si riferiva di un accordo tra lo Stato e la mafia. Un argomento abilmente trattato dalla giornalista Luisa Pace nel corso dell’intervista a Bruno Contrada, della quale abbiamo pubblicato le prime puntate, alle quali faranno seguito approfondimenti e opinioni.
Questi alcuni passaggi dell’intervista realizzata dalla giornalista Pace*, che vi proponiamo integralmente, con i riferimenti a similitudini tra ciò che accadde in quegli anni e quanto si sta verificando oggi:
L. Pace: E sulla vicenda del Corvo? Le similitudini sono tante… Si torna a parlare di “qualcuno che parla”… della “trattativa Stato-mafia…
B. Contrada: Questa famosa trattativa Stato-Mafia è stata oggetto di un procedimento penale a Palermo che ha visto a giudizio di 12 persone… mafiosi di alto rango, ex ministri come Calogero Mannino, ufficiali dei carabinieri, come il Generale Mori, il Generale Subranni e il Colonnello De Donno
L. Pace: Lei ha conosciuto Mori e Subranni?
B. Contrada: Sì. Subranni più di Mori. Con Subranni ho avuto rapporti più stretti, abbiamo anche collaborato quando lui era lui era comandante del Reparto Operativo di Palermo ed io ero capo della Squadra Mobile. Poi l’ho incontrato più volte a Roma quando è stato nominato comandante del ROS. Mori di meno. Non ho mai svolto alcuna attività significativa con lui, però lo conoscevo. E’ venuto anche al mio processo a testimoniare per la vicenda Tognoli.
L. Pace: Ritiene possibile ci sia un ritorno a quegli anni?
B. Contrada: Gli anni delle stragi? Bisogna dare per assodato che in quegli anni, cioè nel ’92-’93 c’è stata una trattativa con lo Stato – Ma poi chi? Lo Stato? Lo Stato è un concetto molto astratto. Lo Stato chi? Magistrati? Ufficiali dei carabinieri? Funzionari di polizia? Ministri? Uomini politici? Il Parlamento? Il Governo? E quale mafia? Totò Riina, Bernardo Provenzano, o altri 1000 mafiosi? Una trattativa con tutti attorno a un tavolo a discutere? Tu mi devi questo ed io ti do quest’altro.. cioè se voi non fate più stragi, non uccidete più magistrati, non uccidete più politici noi vi diamo questo… vi rifacciamo i processi; annulliamo la sentenza di cassazione che ha confermato gli ergastoli per il maxi processo, eliminiamo il 416 bis dal codice penale; eliminiamo il 41 bis che stabilisce il carcere duro per i mafiosi pericolosi? Questa sarebbe una trattativa… Ci si incontra, si discute, si arriva a un compromesso oppure una parte soggiace a un’altra parte accettandone le richieste; rinuncia alle proprie contro richieste… Tutto questo bisogna provarlo se è avvenuto. Altrimenti non si può definire “una trattativa tra lo Stato e la mafia”.
L. Pace: E’ possibile secondo lei che oggi sia in atto uno scontro interno tra poteri giudiziari?
B. Contrada: Basta leggere i giornali per capire che ci sono. Non parlo di scontri frontali, ma di dissapori, contrasti di vedute, opinioni diverse … Guardi per esempio questa discesa in campo politico di due magistrati noti come il capo della DNA (Direzione Nazionale Antimafia) Dott.re Grasso o del Procuratore Aggiunto di Palermo Dott. Antonio Ingroia (ricordiamo che l’intervista è del mese di gennaio, prima delle elezioni politiche – ndr) – Uno è nella lista del PD l’altro di un nuovo aggregato politico, che non capisco bene da chi sarebbe formato, nel cui simbolo c’è la rappresentazione stilizzata di un famoso quadro di un socialista della fine degli anni 800 (Pelizza da Volpedo), che ha suscitato una protesta da parte dei socialisti, i quali sostengono che non poteva appropriarsi di quell’immagine per inserirla nel suo simbolo. C’è un articolo sul giornale “Il Fatto Quotidiano” del 2 gennaio, dal titolo “Quarto Stato, polemiche sul logo. I socialisti ad Ingroia: Roba Nostra. Presentato nei giorni scorsi il simbolo della lista guidata da Ingroia, riprende il quadro di Pelizza da Volpedo.”. Lei parlava di contrasti nella magistratura. Questa partecipazione politica o questa scesa in campo di Ingroia è stata criticata dagli stessi magistrati. Dall’Associazione Nazionale dei Magistrati… dal CSM, le dichiarazioni di Vietti..
L. Pace: Lei è un esperto di mafia, c’è un livello superiore della Cupola di Cosa Nostra composto da insospettabili? Quando Riina disse “Borsellino lo uccisero loro” si riferiva a chi o a cosa?
B. Contrada: Quella fu l’espressione di Riina per allontanare da sè l’accusa di aver organizzato la strage. Siccome la stampa parlava di servizi segreti, di super cupola, di altri interessi, dello Stato, lui si inserisce su questa scia… Non bisogna attribuire un valore a qualsiasi parola che un lestofante o un pendaglio da forca o un criminale dice… o prendere uno spunto di indagine da un articolo di giornale, da un’intervista… L’attività investigativa, l’attività giudiziaria, è una cosa molto seria. Lei dice “esperto di mafia”. Io ne ho fatte tante di indagini, su mafiosi, sulla mafia, ho studiato a fondo il problema, ho conosciuto tanti mafiosi, ho avuto a che fare con una infinità di mafiosi… Conosco la loro mentalità… 20 o 30 anni di questa attività non passano invano nell’esperienza di un uomo. Bisogna attenersi sempre ai fatti, a fatti concreti. Non si possono elaborare teorie e teoremi e poi cercare in tutti i modi di dare consistenza alle supposizioni.
L. Pace: E’ possibile che fossero uomini come Riina e Provenzano a gestire quella che per fatturato pare sia la più grande azienda italiana (la mafia – ndr)?
B. Contrada: Quando si parla di mafia non è quella che nel XIX secolo, ma anche nei primi anni del XX, era la mafia siciliana “cu a coppula” (con la coppola)… l’uomo “inteso” nel paese, il capomafia della zona. Adesso si parla di mafia internazionale, di mafia cinese, di mafia giapponese, di mafia russa, di mafia sudamericana. Tutta la criminalità organizzata viene denominata mafia. La criminalità organizzata che è esistita sempre e purtroppo continuerà ad esistere finché ci saranno uomini sulla faccia della terra. Ci saranno 5, 10, 100 uomini che si accordano per commettere delitti… traffico di droga, traffico di armi, il traffico degli schiavi/immigrati e così via… Non dobbiamo confondere le cose. C’è in Italia un settore della criminalità organizzata che opera in Sicilia e che si chiama mafia, Cosa Nostra… La mafia come criminalità organizzata è invece presente ovunque… sta in Campania, come sta in Lombardia e come sta in qualsiasi altra regione d’Italia. In Lombardia non si parla anche di ‘ndrangheta? Oltre che in Calabria adesso se ne parla pure in Lombardia. Una mafia globale. Che si possa pensare che Totò Riina e Bernardo Provenzano fossero a capo di tutta questa organizzazione sarebbe veramente assurdo…
Fin qui l’intervista della giornalista Pace a Contrada. Siamo certi che gli ingredienti di quegli anni ’90 non ci siano tutti? Manca solo la risposta armata di una criminalità organizzata pronta ancora una volta a mettersi in gioco. Sarà nuovamente la Sicilia il punto di partenza? Quella Sicilia che è attualmente centro di notevoli interessi, non solo economici, le cui scelte politiche potrebbero mettersi di traverso rispetto interessi internazionali, così come accadde dopo la Conferenza di Yalta, quando il tutto venne risolto in maniera “pacifica” con le raffiche di mitra e le granate dirette contro chi rappresentava in quel momento l’ostacolo al controllo militare dell’isola. 118 pagine di un documento della CIA che tracciano un quadro ben preciso di chi fossero i nemici da combattere, che presto metteremo in rete…
Gian J. Morici
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Luisa Pace, France Representative della European Journalist Network, membro del comitato dell’Association de la Presse Etrangère, giornalista free-lance molto apprezzata, scrive per diversi quotidiani e periodici svizzeri, italiani e francesi: La Regione Ticino, Focus In, La Révue Défense.