Ti dò un giorno, un giorno di tempo. No, ci ho ripensato, ti dò un’ora, un’ora per aggiustarti dentro, per rifarti la testa, scuotila, scuotila. Intanto fatti una doccia, e non dire che fa freddo, e lavati quei capelli, sembri intinto nel sego. Guardati, sei un uomo perso, sporco. Cos’è quello strappo nei pantaloni? Il cane. Il cane dietro al cancello. Il cancello che volevi forzare. Tante cose volevi forzare e ti è andato tutto male. Ti dò meno di un’ora, vai a cercare l’acqua. Cammina. Non ci riuscirai mai, devi solo diventare cattivo, ma una cattiveria convinta. Se solo la smettessi di girare con quel senso di abbandono, che se ne sente la puzza lontano un miglio e ti mollano ancor prima di raccoglierti. Di là non entro, c’è il morto. Il cane mi ha strappato i pantaloni, lui ha sparato al cane, ho inciampato sul cane, lui è venuto verso di me ed è partito un colpo, mentre cadeva. Si è sparato al cuore. Se fossi cattivo me ne rallegrerei. Non volevo rubare, né aggredire. Volevo solo diventare cattivo, ma già al primo morso del cane sapevo che non ce l’avrei fatta. E ora? Dov’è il bagno qui?
Non ci provare a pensare che ti dispiace, non ti deve dispiacere, altrimenti di questo ti sentirai in colpa tutta la vita. Ricordati che sei cattivo e non hai nemmeno bevuto. Piuttosto, questo qui viveva solo? Devo cercare delle foto, magari tra un po’ rientra la famiglia e io sono sotto la doccia.
Sono cattivo, o perlomeno, lo sto diventando. Ha un bel bagno questo qui, l’acqua funziona. Mi spoglio. Il morso non è profondo. C’è uno specchio, grande, ma preferisco non guardarmi. Non guardare l’aspetto di un uomo cattivo. E poi ho poco tempo, meno di un’ora. C’è dello shampoo di marca, il getto della doccia è forte. Non sento più niente, solo l’acqua nelle orecchie, e un profumo che non mi resterà sulla pelle, né sull’anima. Ieri ho deciso di diventare cattivo. Un criminale, per la precisione. Di assaltare una villetta, spaventare qualcuno, per il gusto di farlo, perché qualcuno finalmente avesse paura di me e non il contrario. Neppure il cane ha avuto paura. Sbagliato! Neppure il padrone del cane ha avuto paura. Sbagliato! Si sono fatti del male da soli, che cattivo sei? Spero che questa storia non abbia una morale, altrimenti ho fallito. Spero di farla franca, anche senza averci pensato su, senza strategia. Ecco, voglio essere un cattivo senza strategie, uno che ha culo per il solo fatto di essere naturalmente perfido. Ora basta tutta questa pulizia, esco dalla doccia e vedo se posso sfasciare qualcosa, così, tanto per ribadire. Sarebbe bello che questo qui avesse una bella moglie, che torna e dopo un po’ di scene di sgomento, confessa che non ne poteva più del marito, e mi ringrazia dichiarandosi mia schiava. Accidenti, il morso duole, era meglio tenerci su un po’ di sporcizia, faceva meno male. Avrei preferito che tutto si fosse svolto nella confusione, e invece è avvenuta la realtà: silenzio, il tac improvviso della mascella del cane che mi azzannava, non l’ho sentito né visto arrivare, l’uomo che mi assaliva dal fondo della casa, come se ci avesse dormito con quella pistola. Pensavo, ora morirò, e poi, non è possibile che io muoia. Nessuno crede nella propria morte. Neanche lui ci credeva, mentre cadeva e il polso gli si rivoltava verso il cuore.
Mi sto riprendendo bene, non ci devo troppo pensare altrimenti sono fregato. Ritorno me stesso, quel cacasotto che si è sempre preoccupato di misurare parole e azioni in vista del bene. Ma quale bene, il bene di chi? Sono ancora nudo, ben asciugato. Dov’è quello specchio? Sono un bell’uomo, meglio di un’ora fa, gli uomini cattivi sono belli. Non sono più curvo sotto il peso della responsabilità, del fardello della mia coscienza col naso a punta e il braccio teso ad indicare la strada, tutte strade chiuse dove farmi impallinare. La coscienza diceva, tira via, mi è scivolata sul polpaccio e il cane ha morso, forse l’ha ingoiata ed è subito morto. Coscienza mia, portavi proprio sfiga.
C’è dell’altro nello specchio, nell’angolino a destra, dove prima c’era la porta. Ora c’è un vuoto, come se la porta fosse stata spalancata, ed in basso fosse sorta una piccola bambola, una piccola donna, una bambina.
Mi guarda. Cosa farebbe ora, un uomo cattivo? Lo sa, lei, che sono un uomo cattivo? Non si muove. E’forse impietrita dalla paura? Cerco di capire, guardandole gli occhi attraverso lo specchio. Mi sono coperto con l’asciugamano. Questo un uomo cattivo non lo fa e lei lo sa. Non parla, non parlo.
Poi sussurra: Il cane è morto. E le si incrina la voce. Dov’è mio padre? E le escono delle lacrime, e invece di diventare rossa, è sempre più bianca. Sto per dirle che il padre sta esattamente dov’è il cane, ma sono cattivo e i cattivi non danno di queste informazioni. Ma almeno si dovrebbero rendere conto che una informazione gliel’ha data la bambina. Già, dov’è suo padre? Non era morto?
Dov’è tua madre? Chiedo allora io, che sono più furbo e più cattivo. Ma lei scuote la testa. Non piange più. Vuoi vedere che è orfana, vuoi vedere che ho la grande occasione di diventare cattivo sul serio? Allora mi infilo velocemente nei miei vecchi pantaloni, quelli che appartenevano a un uomo buono, praticamente rovinato, che si era insinuato in una villetta con la scusa di diventare malvagio. Vado verso la bambina e sento una voce, che tiene dietro ad una pistola, quella di prima:
-Non toccare mia figlia, stavolta non sbaglio bersaglio- Stavolta sorrido, di sollievo. Sono felice di stare nel mio vecchio vestito. Mi spiace per il cane, davvero.
-Sei ferito? Non volevo far male, volevo mangiare-
-Non ci credo. Sei una belva, potevo essere morto e non te ne sei occupato-
E’ vero, penso, ma facevo le prove per diventare cattivo, e poi era rimasto secco come un sasso.
-Fiorella, vieni da papà- grida. La bambina non si muove e scoppia a piangere. Fiorella è più cretina di me. Poteva quasi quasi essere mia figlia, anche se suo padre, non è che brilli.
-Non la tocco, vado via.-
Supero la bambina, che ancora piange, e mentre sono sulla porta mi supplica:
-Non andare via, non è mio padre, mi hanno rapita!-
Non dovrei fermarmi, l’ora che mi ero concessa è quasi finita. Sono cambiato, sono cattivo, ho il pelo sullo stomaco. Sono un criminale. Sto per aprire la porta e lasciarla là, a quella demente. Ma in qualsiasi modo sia, “papà” mi sparerà. E infatti. Colpisce la porta di quercia, perché io mi sono buttato per terra, tra le zampe del tavolino, da dove vedo i passi della bambina precipitarsi. Mi si butta vicino. Non piange più, e “papà” la insulta. Non so niente di pistole, per me quella può sparare all’infinito. La bambina si stringe a me e io mi stringo alla bambina. Ora ci credo che posso morire. Allora l’afferro, mi tiro su, spalanco la porta e la butto fuori, come fosse un cardellino e grido: vola vola vola.
Sento bene il colpo successivo e penso: almeno sono pulito.