E’ il mattino. Il momento migliore. Apre gli occhi e pensa alla giornata che l’aspetta. La preghiera è breve, è come se non l’avesse interrotta con il sonno. Si pettina e infila l’abito. Poi va alla colazione e infine in classe, aspetta gli alunni di quinta. L’ultimo anno, poi andranno via. Sistema per la lezione. E’ una bella classe, è una bella scuola di lusso, in una zona di media ricchezza. Arrivano i ragazzini e inizia la lezione. L’abito li incuriosisce, la cuffia, i suoi occhiali, già da quando erano piccoli. Ora ci hanno fatto l’abitudine. Si fa l’abitudine a tante cose, pensa, non è poi giusto. Nell’ultima ora si distrae, ha parecchie attività da sbrigare dopo il pranzo. Intanto sente una mano che le sfiora il velo. Si gira. C’è una bambina che le chiede: ce li hai tu, i capelli?
Certo, risponde lei e scosta il velo per farglieli vedere. La bambina le tocca i capelli con la punta delle dita. Perché noi suore siamo sempre misteriose, pensa.
-Allora domani, suora?-
-Domani-
-Ma ci metterà paura?-
-No, perché paura, non c’è da avere paura-
-Dovremo pregare?-
-Se volete-
Loro corrono via, verso le madri, i nonni, qualche padre uscito prima dal lavoro. Suo padre non l’andava a prendere a scuola, era il macellaio del paese, e lavorava tutto il giorno. Alla sera quel che era rimasto, i suoi fratelli lo andavano a distribuire. Si cenava insieme, intorno ad un tavolo, lo stesso tavolo da anni. Poi i suoi fratelli, diventati grandi, ne avevano comprato uno nuovo. Lui era già più anziano, i figli gli avevano chiesto se il tavolo nuovo gli piacesse. Voleva sapere quanto fosse costato. Ottantamila lire.
Bello, aveva detto, ma con ottantamila lire chissà quanto bene si poteva fare.
Sorride, mentre raccoglie in una busta degli abiti ben ripiegati. Era andata in convento a diciassette anni. Lui la veniva a trovare, camminava con lei, le teneva la mano. Prima di andare via le chiedeva:- Piangi qualche volta?- E lei:-Si, la sera- Stava un tempo breve con il capo chino poi le diceva: Va bene, i fiori non sbocciano senza la pioggia.
Sospira contenta, tirando su il sacco pesante con gli abiti puliti. Li porta in una stanza vicino alla portineria, lì l’aspetta una ragazza.
-Suora, c’è una delle so’ matte- le aveva annunciato la suora. Le “matte” le conosceva d’estate, nel periodo delle ferie che trascorreva alla Casa della Giovane, in Stazione. Lì arrivava di tutto. D’estate toglieva l’abito e andava vestita normale in quel posto affollato e triste.
Voi parlate così, ma voi avete avuto una famiglia che vi ha voluto bene. Tante di loro sulla strada ce le hanno portate i padri- diceva. La ragazza prende i vestiti, ringrazia, sosta accanto alla suora, racconta brevemente di una qualche vita migliore, di un po’ di respiro. Ora, va meglio, pensa la donna, ora, accanto a questa suora. Quando si lasciano, che bei fiori che avete in questo giardino, la mia scuola non era così, perché solo le suore hanno questi bei giardini?, lei rimane a pensare ai fiori, perché le altre scuole non ne hanno? Si gira a guardare la ragazza che si allontana con il suo pacco di panni puliti, il passo gracile, c’è vento, lei sembra una foglia. Pensa all’indomani, porterà i bambini a un funerale. Le madri sono preoccupate: ma perché un funerale, gli altri portano i bambini allo zoo, alle giostre, al circo, lei suora, al funerale? Perché?
Le aveva guardate, erano così belle, così ansiose.
Perché mi chiedono della morte.
Ma visto che la sofferenza arriverà, non è meglio evitarla finchè si può?
Le fanno le domande ma poi insieme si rispondono:
-E’ meglio capire cos’è, è meglio vedere, è meglio sapere, così poi non si ha così paura, non ci si dispera-
Così le dicono di si, di portarli a vedere un funerale. Che il morto abbia in chiesa quelle colombe.
L’indomani i bambini si mettono in fila dietro la sua sottana e vanno alla chiesa, a vedere la gente con le lacrime agli occhi, la gente inginocchiata con il viso tra le mani. A vedere i fiori, così diversi sono da quelli del giardino, e dai ciuffi di margherite adagiate sull’erba fresca del prato. Avevano pregato, la suora spiegava tutto, con la sua voce simile ad un sussurro, nella chiesa fredda, illuminata da una luce grigia e piovosa che trapela dalle vetrate. Erano poi tornati indietro, alla loro classe. Non avevano avuto paura, davvero, solo una malinconia, un sentirsi strani. Lei risponde alle loro domande e pensa che le stesse domande se le sarebbero poste fino all’ultimo giorno.
Poi, la giornata aveva avuto tante occupazioni. Verso sera, lungo la strada, incontra una chiesa, e vi entra. E’ l’ora bella come quella del mattino, l’ora assoluta, sospesa, vibrante come una stella morente. Solo le candele illuminano l’altare e il resto è in ombra. Si siede e guarda in alto.
Allora, Signore, che mi dici?, anche se, pensa, chi si ama, può stare in silenzio.