Vito Roberto Palazzolo, 65 anni, considerato il cassiere di Cosa Nostra, esperto riciclatore di denaro, molto vicino ai principali narcotrafficanti italo-americani nonché tesoriere di Bernardo Provenzano e Totò Riina, condannato con sentenza definitiva del 2009 a 9 anni di reclusione per associazione mafiosa, aveva recentemente avanzato richiesta di revisione.
Dal 1986 Palazzolo viveva in Sudafrica, conosciuto come importantissimo uomo d’affari tra i principali contribuenti del paese e con amicizie molto altolocate, dal mondo politico ai vertici delle forze di polizia, a quelli militari. Ricco commerciante di pietre preziose con la “Van Palace Diamond Cutters”, allevatore di struzzi, gestore di lussuosi night club e proprietario dell’azienda che imbottiglia l’acqua “Le vie de Luc”, nel 1996 viene accusato di aver dato asilo a due ricercati mafiosi di Partinico: Giuseppe Gelardi e Giovanni Bonomo, che sarebbero stati segnalati proprio nelle sue proprietà tra il Sudafrica e la Namibia. La procura di Palermo inizia quindi una complessa attività rogatoria e nel 2004 i pubblici ministeri Domenico Gozzo e Gaetano Paci vanno in Sudafrica per chiedere l’estradizione di Palazzolo che viene però negata: a garantire per lui ci sono anche due generali dell’esercito sudafricano.
Una lunga storia quella del 65enne originario di Terrasini, il cui nome emerge per la prima volta nell’indagine di Giovanni Falcone denominata “Pizza Connection”, un’indagine sul traffico di droga tra Italia e Stati Uniti avviata il 12 luglio 1979, che portò allo smantellamento di un vasto traffico di droga e riciclaggio di denaro. Secondo gli inquirenti, i proventi del traffico di stupefacenti vennero in larga parte riciclati dallo stesso Palazzolo. In tale indagine Palazzolo viene segnalato come vicino al boss Francesco Di Carlo e ai Cuntrera-Caruana, all’epoca i più grandi narcotrafficanti del mondo.
La morfina, proveniente dai paesi mediorientali, giungeva nel palermitano. Lì c’erano le raffinerie di droga che la trasformavano in eroina destinata al mercato americano, newyorkese in particolare. L’indagine durò 4 anni; ma la svolta nella lotta alla micidiale eroina, si ebbe quando la “commissione” (la famosa cupola dei capi creata da Lucky Luciano) decise di eliminare il boss Carmine Galante, in contrasto con la commissione stessa perché voleva tenere sotto il suo controllo l’intero business della droga Sicilia-New York.
Dopo questa uccisione le indagini ebbero una svolta sorprendente come individuazione degli obiettivi da combattere: sia alla fonte (Totò Riina e i suoi “Corleonesi” che nel frattempo avevano preso il controllo delle raffinerie di eroina di Palermo) che alla destinazione, le insospettabili pizzerie aperte o rilevate dai siciliani fatti arrivare in quantità da Carmine Galante, come i fratelli Miki ed Antony Lee Guerrieri, parenti dell’ex boss milanese Giuseppe Guerrieri, che a New York gestivano tutto l’import e lo smercio all’ingrosso dello stupefacente per John Gotti, allora capo della famiglia Gambino.
Seppur marginalmente, nell’indagine denominata “Pizza Connection”, compare anche il nome di Silvio Berlusconi. Ed è proprio ad un personaggio molto vicino all’ex premier, che Palazzolo cerca di rivolgersi per tentare di ripulire la sua fedina penale, quando nel 2003 la sorella, Sara Palazzolo, tenta un incontro con Marcello Dell’Utri.
“L’oggetto dell’incontro con il senatore del Pdl sarebbe stato quello di “risolvere, magari i problemi di Roberto che sono anche quelli di Marcello”, dice al telefono Daniela Palli, amica dei Palazzolo, che doveva fare da tramite con Dell’Utri e che è finita sotto processo a Palermo per favoreggiamento aggravato. “Dell’Utri non devi convertirlo, è già convertito” spiega Palazzolo alla sorella, intercettato dagli inquirenti. Dell’Utri ha spiegato che Sara Palazzolo “era interessata ad avere un consiglio da me sugli avvocati da scegliere per il fratello. Non mi parlò di questioni specifiche. Io ho ormai maturato una lunga esperienza da imputato. Le ho dato la mia disponibilità. Ma l’incontro non si è più svolto. Ancora sto aspettando” (Wikipedia).
Nel 2010, dinanzi la richiesta di estradizione da parte delle autorità italiane, l’Alta corte del Sudafrica si era pronunciata a favore di Palazzolo negando l’estradizione.
Palazzolo per sfuggire a una richiesta d’arresto temporaneo si spostò a Hong Kong e poi in Tahilandia dove, a seguito di un’operazione dell’Interpol, il 30 marzo 2012 venne fermato dalla polizia locale all’aeroporto di Bangkok.
Il tribunale penale di Bangkok, ha dichiarato l’ammissibilità della richiesta di estradizione del presunto mafioso, sulla base del fatto che l’accusa è penale e non per ragioni politiche.
L’avvocato dell’uomo ha già anticipato che impugnerà la decisione avverso la quale farà ricorso.
Palazzolo, che da tempo ha anche cambiato nome facendosi chiamare von Palace Kolbatschenko, afferma di essere un cittadino sudafricano.
Un’estradizione quella di Palazzolo, che potrebbe portare a nuovi sviluppi dei processi che si stanno attualmente svolgendo in Sicilia e che vedono coinvolti personaggi di primo piano del mondo politico e istituzionale del Paese, come nel caso di quello sulla trattativa mafia-Stato.
Gian J. Morici