Ero abbastanza stanco di tramonti e gite in barca. Di corteggiare, di mostrarmi gentile, di comprimere la mia natura. Sono un uomo non un pupazzo, non siamo gli orsetti delle donne, ridotti a farci infiocchettare, a collaborare in casa, a gioire per il cucciolo del vicino, a farci frastornare da qualche ragazzino maleducato. Sono un maschio, se gli ormoni mi pressano sarei capace di prendere a calci le pareti e farci dei buchi senza preoccuparmene troppo. Ma non avevo un soldo in tasca, e francamente non mi girava di procurarmelo con il solito onesto lavoro, ma nemmeno di mettere il culo a rischio con qualche collaborazione part time con la malavita dei dintorni.
Una nullità, diceva la mia ex moglie, mentre raccoglieva i cocci della sua vita piuttosto devastata e scuoteva la polvere della nostra casa dai suoi calzari.
Cominciai a smontare casa per cercare qualche soldo,e infine ne trovai, non molto. Per questo mi venne in mente di andare da quella donna dove aveva lavorato mia moglie e rigirarla un pò, che non mi sembrava di dispiacerle.
Ma dopo settimane di luna di miele, il mio carattere cominciava a scalpitare, avevo bisogno di aria.
Non nego che i suoi gusti mi risultavano abbastanza insoliti, in realtà mi ero sempre accontentato degli spiccioli, ragazze volenterose che lavoravano nei Mac, o in qualche supermercato dozzinale. La signora era invece una che sapeva vivere. Solo che mi aveva coinvolto in un turbinio di attività e la cosa mi cominciava a disturbare. Inoltre comprendevo che la finzione del maschio innamorato e comprensivo sarebbe finita presto. Ero agli sgoccioli, ogni volta che mi chiedeva per favore di portarle una bibita, o di preparale un sandwich avevo voglia di tirarle un tavolino in faccia. Ma aveva tanti soldi, per un po’ mi sarei sacrificato. Quando, con lo schifoso tatto dei ricchi mi fece capire che ero da ripulire, e mi portò in uno di quei negozi per vecchi mosci, feci uno sforzo per non reagire. Mi scelse dei bei pulloverini di cachemire, quelli che mi facevano venire l’orticaria, e dei guanti senza dita per guidare la sua Pucci, una Lamborghini Miura che andava come un razzo.
La vedevo confabulare con il commesso, con la sua solita amabilità inflessibile, quella tipo: sono una signora, ho i soldi, e se sgarri ti faccio cacciare a zampate. Quando mise sulla pila di abiti pure il cappello da pescatore in pelle ero pronto a prenderla a schiaffi davanti a tutti, così, tanto per vedere come reagiva il pubblico, compreso il commesso che avanzava a novanta gradi. Ma in quel momento stava tirando fuori le sue carte di credito e questo mi rese più mansueto. Ancora per poco, mi dicevo, aspetta, ci sarà un momento, il solito momento, per tirare giù la maschera e vuotarle le tasche. Lei era abbastanza diversa. Abituata alla gentilezza, magari di maniera, non potevo abbrutirle di botto, avrei avuto una reazione subitanea, dovevo aggirarla. Appena fuori il negozio misi il muso. Ma lei non ci cascò, continuò per la sua strada, e cioè quella di farmi riprovare a casa tutti i capi appena acquistati e ridere dicendo che mi ero imborghesito, ma che non ci dovevo provare a mettere su un filo di pancia, che mi avrebbe mollato all’istante. Finì come doveva finire, in quella specie di letto giapponese per ricchi raffinati e minimal.
Insomma, ero stufo, mi si stava ingorgando nelle vene una certa violenza, e per non mettermi nei guai, decisi di tagliare la corda per qualche tempo. Andai a cercare la mia ex per torchiarla un po’, avevo bisogno di quattrini, e si sa, i ricchi non ne hanno, mentre i poveracci, a rigirarli qualcosa gli rotola sempre via dalle tasche. Con i soldi mi portai via anche un silenzio, triste. La mia ex mi diede i soldi senza parlare. Non aveva altro. E non le andava di discutere. Non la guardai più di tanto e me ne andai. Passai tre giorni come piaceva a me, tra slot, donne come si deve, e ubriacature. Alla fine la casa era un pantano e cambiai aria. Tornai alla villa, dalla signora. Che mi aspettava in lacrime. Quello era il momento di cambiare registro. La consolai per due giorni, dopo dettai le mie condizioni. Sono un uomo, mi ripetevo, mentre demolivo la cucina, e non un pupazzo, ed è esattamente quello lo sguardo che voglio vedere, voglio una faccia china e silenzio. Da allora in poi la sua grande consolazione era di vedermi uscire di casa con in tasca i suoi soldi, al volante della sua ex Pucci, un po’ sfiancata, ma di figura. Passai un bel periodo, davvero, il tipo di vita che volevo io. Mi ero giocato bene le mie carte, ero soddisfatto di quel salto di qualità. La signora aveva chiuso con tutti i suoi amici, credo, solo ogni tanto la beccavo al telefono con gli occhi gonfi di pianto, ma riattaccava subito, e questo mi dava soddisfazione. A rovinarmi tutto fu lei, la mia ex.
La rividi un giorno, per puro caso. Ero fermo con la Pucci rombante ad un semaforo. Era un orario pessimo, tanto traffico e parecchia gente che usciva dagli uffici e dai negozi per andare a pranzo. Io mi ero svegliato da poco. Doccia rapida nel bel bagno della signora, colazione servita. Me ne andavo a fare un giro di slot e poi si sarebbe visto. Sulle prime non l’avevo riconosciuta. Era sempre stata una bella donna, molto vitale e piuttosto in carne. Davanti a me attraversava la strada una ragazza magra, un po’ curva e indifferente. Non so perché, ma le suonai un colpo di clacson. Trasalì e si guardò intorno. Fu allora che ci rimasi veramente male. C’era qualcosa nella sua faccia di incredibilmente spento. La cosa mi incuriosì. Quando scattò il semaforo la seguii e infine la vidi entrare in una di quelle botteghe che acquistano l’oro. Lasciai la macchina in una strada laterale e mi infilai anch’io nel negozio. Lei era al banco, la commessa dietro al separè di vetro alzò gli occhi e mi squadrò preoccupata. Ma io le sorrisi e lei ricambiò. Sono davvero stupide le donne, per fortuna. La commessa armeggiava su una medaglia d’oro che le aveva allungato la mia ex.
-Non posso darle molto, è oro basso- diceva. L’altra rimaneva in silenzio. Aveva le spalle magre e i capelli lisci, biondi, legati con un elastico.
-Può darmi un documento? E’ già venuta qui vero?- e intanto andava al computer e cercava il nome della mia ex.
-Sa- diceva ammiccando- Non tutti vogliono far sapere che vengono qui.-
A quel punto lei rispose.
– Non sto rubando, non mi devo vergognare-
Le sue solite cretinate. La ragazza la pagò, le fece firmare una ricevuta. E quando lei si voltò finalmente alzò gli occhi per guardarmi. Non ci vidi nessuna sorpresa, mi sembrava solo stanca.
-Come stai?- le chiesi
-Male- rispose- Sto per morire.- Poi avanzò per uscire e io le andai dietro. Non volevo impressionarmi troppo, lei faceva sempre queste sparate.
La presi per un gomito:
-Ti offro un caffè, parliamo un po’-
-Vuoi dei soldi? Prendi questi, sono gli ultimi, tanto morire ora o poi non fa molta differenza-
-Smettila, non ho bisogno di soldi, non dire sempre cretinate- Il suo polso era magro, la condussi verso un bar di lusso della zona, un bel bar di strozzini e lenoni che conoscevo bene. Ordinai da bere, ma lei disse che non voleva niente, perché aveva la nausea. Volevo dire qualcosa, tanto per offenderla e vederla reagire, ma non mi venne nulla. Ero nervoso perché mi sentivo confuso, in genere lei mi aveva sempre fatto questo effetto, anche se me ne sbattevo di interrogarmi su cosa sentissi o non sentissi. Sapevo solo quello che volevo, e cioè che non mi rompessero con qualche complicazione. La osservavo mentre bevevo, sembrava tranquilla, piuttosto concentrata a superare la sua nausea.
-Che ti è successo? Le domandai infine
-Ho poco tempo, e non mi va di sprecarlo con te- Mi alzai pieno di rabbia, lasciai i soldi sul tavolo, di fronte a lei, e me ne andai. Appena fuori sputai per terra, perché mi vedesse. Presi a calci la Pucci sotto gli occhi esterrefatti di quelli che ci si erano radunati intorno, massa di pezzenti senza storia.
-E’ una Lamborghini- mormorò uno, per poco non prendevo a calci pure lui. Feci il giro della zona, una volta, due volte, tre volte, alla fine era chiaro pure a me che la stavo cercando. Non abitava più al vecchio indirizzo, e il drug dove lavorava aveva chiuso da mesi. Tornai alla villa, cenai in silenzio e ottenni quel che volevo dalla signora. Una liquidazione, per lasciarla in pace. Il giorno dopo la accompagnai in banca. Sembrava un’altra quando le restituii la Pucci e me ne andai via con la mia vecchia moto. Cercai in giro di vendere i maglioni di cachemire, le scarpe di Gucci, e i mezzi guanti di Balenciaga. Al diavolo. Avevo pure la scorta d’oro che le avevo fottuto.
Dopo aver riaperto il mio vecchio alloggio e averlo ripulito imprecando e ubriacandomi, presi qualche catenina dal malloppo e andai nella bottega dove avevo incontrato la mia ex. Li giravo tutti quei posti, sperando di vederla, mi appostavo come un gatto che fa gli agguati a un topo disperato. Ma forse lei non aveva più niente da vendere.
Nel frattempo avevo iniziato a disprezzarmi, a fare dei ragionamenti idioti, e perfino piangere nel sonno. Ce l’avevo a morte con lei, con la sua faccia smunta e quei capelli biondi, opachi, che le pendevano smorti dal capo. Venne lei. Incredibilmente, una mattina, mi suonarono alla porta. Era la vicina, con una faccia scura, gli occhi lucidi:
-C’è una visita per te. Non volevo venirti a chiamare, ma lei ha insistito. Siamo proprio sceme, noi donne. Che fai? Vestiti, non vorrai presentarti mezzo nudo, no?-
Lei era seduta nella cucina di quella casa decente. Era davvero pallida, e ridotta molto male. Mi tremavano le ginocchia, non avevo mai visto nessuno mutare così. Eppure era lei, con le palpebre abbassate su quegli occhi blu, inalterati. Si lasciò portare in casa nostra e mettere a letto. La vicina mi aiutò, lei le chiese di sistemare le sue cose, e io le lasciai fare. Poi rimanemmo soli. Avevo un’ora prima di andare a lavorare, le dissi.
-Lavorare- mormorò.
-Si, aiuto un mio amico, all’officina-
-Sei sempre stato bravo-sussurrò. Con i motori ero un asso. Vederla così mi faceva venire voglia di spaccare tutto, non ero cambiato, sarei sempre stato lo stesso, ma in qualche modo ora mi vedevo e qualche volta riuscivo a fermarmi.
-Ti ho cercata- le confessai. Lei annuì e chiuse gli occhi.
-C’è del lesso in pentola, e delle patate arrosto. Se dopo hai fame-
Ma lei non riaprì gli occhi, sorrise solo e si girò su un fianco. La lasciai dormire. Me ne andai al lavoro. La giornata era fredda e limpida. Forse si poteva ricominciare. Ci si poteva ritrovare. Chissà.