Hoederer: “Allora perché sei venuto tra noi? Se non si amano gli uomini, non si può lottare per loro”.
Hugo: “Sono entrato nel Partito perché la sua causa è giusta e non ne uscirò che quando essa avrà cessato di esserlo. Quanto agli uomini, non mi interessa quello che sono, ma quello che potranno diventare”.
Hoederer: “E io li amo per quello che sono. Con tutte le loro porcherie e i loro vizi. Amo la loro voce, le loro mani calde che prendono, e la loro pelle, la più nuda di tutte le pelli, e il loro sguardo inquieto, e la lotta disperata che portano a uno a uno contro la morte e l’angoscia. Per me conta, un uomo di più o di meno nel mondo. È prezioso. Tu, ti conosco bene, ragazzo, sei un distruttore. Gli uomini li detesti, perché detesti te stesso; la tua purezza assomiglia alla morte, e la rivoluzione che sogni non è la nostra: tu non vuoi cambiare il mondo, vuoi farlo saltare”.
(Jean-Paul Sartre, Le mani sporche, Quinto quadro, scena terza, in Morti senza tomba
Al di là di tutto, questo vecchio mi fa ridere. Io non li amo gli uomini, e soffro a stare in mezzo a loro, alla loro pelle, che spesso puzza, o è profumata da far schifo. Non li amo, provo per loro qualcosa solo se possono essermi utili. Degli altri non so, forse chiamano amore qualcosa che non ha nulla a che vedere con questo mito. Qualcosa che si vuole perfetta e mai si raggiunge. Per me, per quel che mi riguarda, non c’è. Anch’io parlo di amore, e attuo i miei disegni in funzione dell’amore così come tutti lo intendono. Stai pur certo che ne ho il mio interesse. Mi adeguo all’oggetto del mio desiderio, o anche al soggetto, pur di ottenere quel che voglio potrei verseggiare come Ariosto.
Non ho avuto traumi, vi vedo, vi vedo che cominciate a congetturare qualche scusa che mi salvi, o mi perda, a seconda. Mia madre era amorevole, voleva che diventassi il bambino che aveva sempre desiderato, si prodigava solo per questo credo, per mostrare al mondo il perfetto uomo che la sua religione cultura o sottocultura avevano già scelto per me, e siccome da lei dipendeva la mia vita per un certo tempo l’ho accontentata. Ogni volta che non ne avevo voglia, o che ubbidirle andava proprio al rovescio dei miei interessi, assumeva uno sguardo amareggiato, il labbro si piegava all’ingiù, e diceva che amarmi così come mi amava lei e neppure la carità di un po’ di devozione. No, no, non l’amavo, non credo, mi serviva bene, finchè ha potuto. Quando ha incrociato la mia strada in maniera da mettere a repentaglio le mie decisioni, è stata spazzata via, c’è sempre un luogo dove ficcare chi non ci serve più. Per fortuna sono uomo, e figlio unico, sono stato tanto compatito nella mia scelta, ma d’altronde, come avrebbe potuto fare un uomo solo. E infatti abbracciai questa tesi, mi faceva molto comodo, e scaricai mia madre in un cronicario. Ascoltare le sue ultime volontà mi interessava, c’erano dei beni con una amministrazione confusa, e quindi mi rivide altre due o tre volte. Ero in fondo tranquillo, niente mi turbava. Avevamo avuto quello che ci spettava, lei il figlio da coccolare fino ai tre anni e io la madre che mi aveva messo in piedi, nutrito, e fatto studiare. Mi sembra un bel pareggio, di amore non parliamo. Certo, ci furono momenti, mentre in clinica raccoglievo le sue cose da portare via, che so, la sua collana di granati che, quando ero piccolo e lei veniva a salutarmi, prima d’uscire alla sera per qualche cena fuori casa, brillava al suo collo giovane, era del colore delle sue labbra, le braccia si chiudevano intorno a me e lei mi baciava, ed era profumata. Si, la pelle, non si dimentica. Ma questo ricordo, questa nostalgia, non mi farà dire che io l’amavo. Questo sarebbe sentimentalismo.
Di mio padre ricordo poco, ma quel che ricordo è fondamentale: viveva alle spalle di mia madre e non si dava pena né per lei né per me, e mia madre era felice, si,l’ha resa felice, una martire come voleva essere. Le volte che mi portava con sé era per giustificare qualche suo affare, in genere losco, ma anche abbastanza innocuo. Ho conosciuto tutte le sue amanti che mi dicevano carino. Una sola mi guardò con occhi rossi di rabbia, gli fece una scenata e lo lasciò immediatamente, “ci” lasciò presso quell’argine di fiume, dove mio padre raccattava le sue conquiste. Da quel giorno non mi calcolò più, almeno per quell’utilizzo. Finalmente poi è andato via, con qualcosa di meglio a cui giurare questo eterno amore. Cattive esperienze? No, ero così anch’io, lo sentivo. Ad un certo punto, sai chi sei. A volte ti ribelli, a volte cerchi di cambiare, di conformarti, di provare qualcosa, ma non accade.
Ritengo di essere un uomo lucido, non un mostro. Non esiste l’amore, esiste il bisogno. Amare qualcuno per quello che è, sono frasi complicate adottate per confondere il vuoto dell’asserzione. Uno cos’è se non anche quello che offre? Ecco, queste cose non le avevo mai dette, me ne ero guardato bene, le tenevo per me, non devo mica fare il filosofo io. Ma oggi per caso è capitato Sartre, qui in classe, non lo scrittore, ma la sua opera. Qualcuno qui di questi allievi fronzoluti, si è portato il suo bravo testo rivoluzionario. Sono giovani, bisogna lasciarli stare, che crescano in mandria, se così sono felici e non mi disturbano. Sono pieni di sacro fuoco, basta niente, altro che, nonostante l’aria negletta e tutto il resto, e quel fare di scimmie. Hoederer forse si sarebbe illuso di amarli, magari solo ad annusare quelle gelatine che si spiattellano dappertutto sulla testa, o quell’alito di gomma, quella puzza che non è puzza, non c’è decomposizione ma solo vita. Carla che legge al primo banco, che mi sollecita. Bello, vero professore? E allora, ecco, Carla, con i diciotto anni, il corpo, la vita in costruzione, ecco Carla, sono turbato. Bello che? Il giovane gelido puro che ama gli altri che gli permettono di vedere se stesso, gli altri non per quello che sono ma per quello che gli permetteranno di fare, o il vecchio caldo che cerca tra i vizi degli altri, la fragilità degli altri, di buttarci in mezzo anche la sua per l’assoluzione? Oggi non mi controllo. Forse perché fa caldo. Questa domanda l’ho espressa. Altre volte tacevo, ridevo, mi interessa l’analisi del testo, dalle buffonate degli umani mi ritraggo. Sebbene ora non mi ritrarrei da Carla, che vuole convincermi che l’amore esiste. So bene di essere irresistibile per una diciottenne che si beve il fascino, tutto inventato da lei, del professore che non crede all’amore. E’ la sola cosa su cui sono sincero, in fondo. Per il resto voglio quello che voglio.
Allora uno alza la mano:
-E’ bello che questo qui ami la gente, la gente come lui. Che sa cosa vuol dire – poi tace e si appoggia allo schienale di quella sedia scassata che lo accoglie da tre anni. Guarda come sei amato tu, che a scuola hai quel relitto per sedia. Penso io. Ma non sorrido. No, magari l’amore non esiste, ma il confine si. E io mi fermo sulla soglia dell’illusione degli altri. E’ un posto loro, un territorio non mio. Un altro tira su un dito. E’ il medio, gli altri ridono. –Parla pure- faccio io, e lo guardo con molta serietà.
-Lui dice una cosa importante, che nella storia non si è mai sentita-
-Sarebbe?- ma so quel che mi dirà. L’ho pensato anch’io alla sua età, e pi mi sono dato dell’imbecille.
– Dice che ogni uomo è prezioso. Che non se ne può perdere nemmeno uno.-
E lo sapevo. Fa molto effetto questo, soprattutto quando si è freschi di storia, tutta una storia dove il singolo vale quanto una figurina da scambiarsi tra sodali.
-Hoederer è un vero capo- aggiunge Isabella. Che non si sa perché si danno i nomi ai ragazzini quando sono in fasce. Bisogna aspettare che crescano, e dare un nome adeguato. Isabella poteva magari chiamarsi Cassandra, ma portare sul capo un nome con quella desinenza men che mai.
– Perché dici così?- Fa uno che si stropiccia continuamente le mani, perché, perché mi prudono professore.
– Perché un vero capo non è uno che si alza e comanda-
-Ah no?- chiedo io
Isabella non si fa impressionare. Spero non mi dica che un vero capo è uno che ama, perché la boccio.
– Per un vero capo la vera causa è l’uomo, non la causa-
-Il suo benessere? E che ne sa un capo del benessere degli uomini?Lo dimentica appena ha preso il potere, perché la sua condizione cambia, e il disagio degli altri non gli appartiene più. E’ un ricordo fastidioso, e farà presto a convincersi che la condizione che ora ha raggiunto è frutto della sua intelligenza, della sua superiorità. Di un disegno divino. Ecco, lui e Dio sono quasi la stessa cosa, anche se Dio si tiene stretti i suoi segreti, ma non gli manca poi tanto per spodestarlo.-
Fa troppo caldo, sale il mezzogiorno dalla strada e invade la classe. Mai stato una testa calda, la mia testa è fredda e al contempo arroventata. Carla mi guardava, ed è stato per questo, per un insano desiderio di quarantenne che tenni una lezione che la incatenò per sempre a me.
Cominciarono a contrastarmi. Non li amavo, non c’è amore, né mi facevano pena. Mi davano noia con la loro fatica mascherata di sicurezza, erano francamente antipatici e supponenti, e qualche volta disarmati, stanchi, depressi. Ho chiesto loro di nominarmi un bravo capo, un condottiero che non avesse preso gli uomini e manovrati per i suoi disegni. Elencarono qualche mito, e dimostrai loro che altro non erano che sanguinari imbonitori. Li rifornii di scenari in cui loro stessi avrebbero dovuto prendere decisioni, investiti di qualche autorità.
Carla fu ferma. Avrebbe agito secondo le massime dell’eroe di Sartre. Erano disgustosi, falsi, mentivano a loro stessi. Per quel giorno li lasciai al loro destino, ed evitai di immaginare che in futuro mi avrebbero detto che avevo assolutamente ragione. Sarebbe in fondo stato un evento triste e non desideravo evocarlo.
Piuttosto, da quell’istante, ottenni Carla.
A questo punto, mentre sono qui, anch’io su quell’argine in cui mi portava mio padre, è molto diverso ora, ci sono le panchine, una elegante passeggiata di brecciolino chiusa da staccionate, ogni qualche metro un cestino per i rifiuti, piazzole per cani, piazzole per bambini cane, e così via, a questo punto mi chiedo, è riuscita lei a convincermi che possiamo desiderare il bene dell’altro senza nulla pretendere, che l’amore non sia solo la ripulitura delle nostre porcherie, del confonderci in una massa che ha solo bisogno di darsi un motivo per non considerarsi maledetta, o io ho convinto lei che non c’è azione che non persegua un benessere esclusivamente personale? Che in fondo l’unico amore categorico non è che per se stessi?
Ancora ieri, è venuta a trovarmi. Abito ora in una vecchia casa senza ascensore, e non è bene per me. La finestra della mia camera guarda verso il fiume che taglia in due questa piccola città in cui sono arrivato tanti anni fa. Vedo perfino la scuola con i nuovi padiglioni. La scuola è stato il tuo ultimo argomento, ieri. Ma non vedi, mia bella, che anche tu hai i capelli bianchi, e che la nostra unione è fallita, perché altro non poteva essere sai, i tuoi occhi avrebbero smesso di brillare come stelle, e il niente che ti offrivo ti avrebbe scandalizzata. Eppure continui a dirmi che ho torto, questo è il tuo amore, il bisogno di piegare il mio pensiero al tuo. E quindi l’ultimo debole argomento è il fatto che io fossi stato un professore, un bravo professore. Non si può insegnare senza amare. Può essere, ne abbiamo parlato tanto quando ti tenevo per mia, nella mia casa, come un gioiello. A cosa serve un gioiello: ad essere guardato, indossato, esibito, solo per il proprio piacere. Che tu fossi felice, non me ne sono mai curato.
Ancora con questa storia, dici di avermi visto lottare per questo o quell’allievo, dici che ogni lezione con me era una cosa viva, solamente per quel disprezzo che non vi raggelava ma invece vi determinava. Non so, non me ne sono mai accorto, mi piace che tu me lo dica, conforta la mia vanità, quel bene supremo che sono per me stesso.
Che vuoi ancora da me. Che io confessi che ti ho amata? Ma che ti importa, perché questa falsa smania, questo empireo, questo assoluto niente a cui stuoli di umani consacrano le loro energie, non c’è che fame e cibo, e desiderio e soddisfazione del desiderio. Questo muove apparentemente dei sentimenti, ma non è che questo, fame e sazietà. Anche di sapere, non crederai di tendermi ancora trabocchetti. Si, è vero, io penso troppo, ma perché tu mi obblighi a farlo. Vai cara, lasciami solo, e possibilmente senza ricordi. E così è andata via. Sono rimasto a guardare in strada, verso il suo passo, che si allontanava, fino quasi a confondersi con il verde foglia del fiume.
Sorrido. Non ci siamo convinti. Mi chiederà ragione di noi fino al mio ultimo respiro. Allora, allora mi alzo dalla panchina e comincio a camminare. Sono agitato. C’è qualcosa in questo fluire di pensieri che mi ha infastidito. Il fiume è sonnolento, l’aria pigra. Tu mi perseguiterai, ed io cercherò di sfuggirti. Ma non sarà possibile. E’ forse questo? Un cormorano si getta in acqua e subito ne risorge con una preda. Tu mi manchi. Non sono sfuggito a questo dolore. Spero solo che verrai a pescarmi nel giorno del mio passaggio. Sono sicuro che avrai tra le mani come breviario, le parole dissennate di Hoederer, che ripeterò con te. E penserai di aver vinto. Di questo, sono già felice.
Sara Milla