Stanotte il cielo era viola. Come nelle notti da bambina quando aspettavo la Befana. Vedevo il cielo viola.
Forse il cielo è sempre viola di notte e io non lo so, perché sono io che non alzo più gli occhi a guardarlo. Perché so che la Befana non esiste.
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Odio il rosa. Da quando ero bambina. Non riuscivo a indossarlo, a guardarlo, a pensarlo, neanche a toccarlo. Nei miei disegni tiravo fuori il colore della pelle mischiando i colori di altri pastelli, sfiniti da esperimenti e tentativi maldestri e infruttuosi. Eppure oggi mentre ti abbraccio e piangi e sei quasi un uomo sei rosa. E mi accorgo che è quello il colore che ho dentro gli occhi da quando sei entrato nel mio mondo, le dita piccole a stringermi un solo dito, la testa morbida sul seno ad ascoltarmi il cuore, la pelle sulla pelle a tingermi del tuo colore i giorni, i mesi, gli anni, a stingermi ricordi e gioie e dolori e affanni, a cancellarmi in un respiro i sogni e le promesse e il viaggio a rendermi le spalle forti a reggerti, a regalarti i miei pastelli per colorarti il mondo con i colori tuoi. Sono rosa io adesso mentre ti stringo e piangi, le mani grandi a porgermi un dolore, che non sai difenderti, che non posso prenderti, mentre le mani chiudi per difenderti per diventare grande.
Azzurro. Il lago di ghiaccio degli occhi tuoi smarriti stanotte mentre mi pregano di non parlare che non vuoi ascoltare. Né me né te. Mentre mi chiedo se io sono rosa dentro gli occhi tuoi, che implorano silenzio e braccia a stringerti il mondo che ti cambia gli occhi; se lo sono ancora, se lo sono stata mai.
Azzurro il cielo che ti ho colorato mille volte quando le mani erano piccole e il foglio troppo grande; azzurro il mare che era mio soltanto ed è stata dura, anche se è stato bello, dividerlo con te. Azzurra la tua stanza. Puntasti i piedi, ti ricordi? Che forse già cercavi dei colori nuovi a cancellarti il rosa che ero io, il mondo tuo.
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Giallo. Si dice che chi nasce in questa città di mare e fuoco ha il sole dentro gli occhi e il cuore. Dietro gli occhiali scuri guardo questo giorno nuovo che, come ogni giorno, non riesco a far entrare. Col rosa di stanotte addosso mi chiedo quando ho visto l’ultima volta il sole giallo, il prato verde, il cielo azzurro.
E lo so.
So che i tuoi occhi erano così neri e profondi da sprofondarci dentro e non tornare più. Invece tu mi sei venuto a prendere. E con quel nero dei tuoi occhi dentro agli occhi miei anche la notte nera era sorrisi bianchi e labbra rosse e ogni parola diventava sole e prato e cielo e terra e l’aria così densa e calda da camminarci sopra e attraversare il mare per starti vicino, per starmi vicino. E le carezze e i baci di una notte sola, di un mattino caldo che troppo presto è ritornato sera, erano fiumi vivi pieni di colori a tingerci d’argento e oro le pareti vuote dei nostri respiri, piene di sospiri, di desideri, di ali grandi per volare e credere di non cadere mai.
Dietro gli occhiali scuri il mondo grigio è l’unico mondo che io so guardare. Che non mi fa male. Il mondo senza la musica e le parole tue che vengono a dipingerlo. Dove sono caduta. Il mondo senza tempo, senza giorno, senza notte, senza sole, senza luna, dove l’unico tempo è il ritmo sempre uguale del mio cuore che ripete il tuo che non lo puoi sentire.
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Bianco. Bianco che viene fuori con la gomma quando cancelli il grigio della mina. Bianco che puoi riempirlo di tutti i colori, che si fa riempire. Bianco quando apri un libro, quando fai il primo passo, quando dai il primo bacio, quando cominci a amare. Anche il silenzio è bianco. Come i denti, come le ossa, come la morte che cancella tutto: la rabbia, i dissapori, le amarezze, l’ansia, la paura. Il silenzio lo puoi riempire. O puoi stare lì ad ascoltarlo per ore. L’assenza no. L’assenza è piena. E’ così piena che non puoi provare a alzarla, che non puoi spostarla, non puoi dividerla, non puoi farla a pezzi. Puoi non guardarla. Tradirla, ingannarla, nasconderla, nasconderti; lei resta lì, ti trova sempre. Come i ricordi. Come il latte bianco che è il bianco degli occhi al mattino da quando eri piccolo. Eppure quando nasciamo è il rosso del sangue che ci colora gli occhi. E quando facciamo sesso è il rosso del fuoco sotto la pelle che ce li brucia. Chissà quand’è che diventiamo bianchi.
Doveva essere pieno di fiori bianchi quando sei morto. Io non riesco a ricordarmelo. Sono sicura però che c’era tanto bianco. Come le nostre facce. Bianche dei sogni che avremo perso scambiandoli con incubi, delle speranze che non avremo più sperato, delle battaglie che non avremo più dovuto combattere. E nessuna lacrima era venuta a lavarcele.
Dovrei odiare il bianco e invece lo amo. E’ il colore che mi manca di più sotto tutto questo grigio. E’ il colore che cerco di più. Riempio i miei silenzi di latte e di latte nutro l’assenza che mi divora.
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Mi sono chiesta che colori hai visto nei nostri occhi prima di morire. Se la paura che riempiva i tuoi sapendo di lasciarci era la nostra. O se vedevi noi bambini, noi ragazzi, noi adulti, noi vecchi e la tua non era paura ma era speranza. E attesa. Sogno.
Mi sono chiesta che colori hai visto nei miei occhi mentre te ne andavi. Se quei colori che hai lasciato a me ci sono ancora dentro gli occhi tuoi. Se ti ha fatto male. Trovarmi ad aspettarti con gli occhiali scuri sopra un mondo grigio che non era quello che mi avevi colorato tu. Se mi aspettavi. E tutto il grigio che hai trovato ti ha spento gli occhi e i sogni, chiedendoti di non sognare più.
Mi sono chiesta quanto il rosso dei tuoi occhi dopo il pianto colorerà di rosso i giorni tuoi. Dopo il rosa, dopo l’azzurro. Dopo i colori che ti ho disegnato. So che è giusto. So che sei tu che devi disegnarti il mondo adesso, che io i pastelli te li ho dati subito. Per colorarci i sogni, le promesse, il viaggio. Mentre la fretta e l’ansia di riempire il tempo ti spingono a lasciare i tuoi disegni in bianco, da colorare quando poi saranno troppi e sarà troppo tardi. Ed è giusto anche questo. Nessuno ci insegna a colorare l’attesa.
Stanotte il cielo era viola.
Il viola deve essere il colore dei sogni. E dell’attesa. Per me evidentemente.
Viola. Pensavo di non vederlo mai più.
La mattina che tornerai ancora e tu non sarai ad aspettarmi avrò gli occhi stanchi quando ti verrò incontro. Avrò gli occhi stanchi e viola. Pieni del cielo di una notte di sogno e di attesa. Di coraggio. Questa volta dovrai dirmelo tu che la Befana non esiste.
Cinzia Craus
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