La sezione misure di prevenzione del Tribunale di Agrigento ha ordinato la confisca di beni, tra cui sei aziende per la produzione di materiale edile, per un valore di circa 500 milioni di euro, appartenenti ai fratelli Rosario Cascio, 77 anni, e Vitino Cascio, 69 anni. I fratelli originari di Santa Margerita Belice da decenni hanno le loro attività nel trapanese. Rosario, indicato come uno dei prestanome del boss Matteo Messina Denaro, era stato arrestato col fratello nel luglio 2008 per mafia, nell’operazione “Scacco Matto”: in primo grado nel febbraio 2011 è stato assolto mentre Vitino è stato condannato a 12 anni e sei mesi. Rosario, però, era già stato condannato a sei anni di carcere per associazione mafiosa con sentenza diventata definitiva il 18 gennaio 2007 mentre in un altro processo, sempre per mafia (relativo al periodo ’92-’97), venne assolto. Tra i beni confiscati vi sono il compendio aziendale e il capitale sociale della “Calcestruzzi Belice srl”, “Siciliana conglomerati srl”, “Calcestruzzi srl”, “Atlas cementi srl”, “La Inerti srl”, “Vini cascio srl”. Altri beni, che insieme a quelli confiscati formavano un tesoro di circa 550 milioni di euro, che erano stati sequestrati ai familiari di Rosario Cascio sono stati dissequestrati. I beni erano stati sequestrati nel ’93, dissequestrati nel 2001 e nuovamente sequestrati nel 2009 e nel 2010 con un provvedimento “fotocopia” che mirava a non far rientrare l’indagato nella disponibilità del patrimonio che comprende, oltre alle società, 200 appezzamenti di terreno, che si trovano nelle province di Agrigento e Trapani, 90 fabbricati, 9 stabilimenti industriali tra cui diversi silos e 120 automezzi, 80 tra ville, appartamenti, palazzine e magazzini, e un’imbarcazione da diporto. Nel ’92 venne arrestato per mafia nell’ambito dell’inchiesta dei Carabinieri del Ros su mafia e appalti che coinvolse anche Angelo Siino, il cosiddetto ministro dei lavori pubblici del boss corleonese Totò Riina. Cascio venne più volte condannato e assolto, nei diversi gradi dello stesso giudizio, il reato di associazione mafiosa venne derubricato in associazione per delinquere finalizzata alla turbativa d’asta ma alla fine venne condannato a sei anni per mafia. Il tribunale agrigentino ha anche applicato la sorveglianza speciale per 4 anni, con obbligo di soggiorno nel comune di residenza, ai due fratelli. Nelle motivazioni del provvedimento di sequestro si legge, tra l’altro, che il colonnello dei Carabinieri Giuseppe Russo, ucciso col suo amico Filippo Costa il 20 agosto 1977 a Ficuzza (frazione di Corleone), venne ucciso per essersi interessato degli appalti per la costruzione della diga Garcia, in Sicilia. E lo scrivono nell’ordinanza di confisca dei beni dei fratelli Rosario e Vitino Cascio, i giudici del tribunale di Agrigento. Il legame tra il delitto di Russo e le indagini del carabiniere sulle spartizioni dei subappalti, centinaia di miliardi di lire, che ruotavano attorno alla diga, è emerso più volte negli atti investigativi. I giudici agrigentini ora legano l’omicidio ai rapporti tra Russo e Cascio. L’imprenditore, che era finito nel calderone degli indagati per l’omicidio del colonnello, sarebbe stato in confidenza con Russo. L’impresa vincitrice dell’appalto della diga la ”Lodigiani” – scrivono i magistrati – fu costretta a seguito di minacce e attentati a cedere subappalti a Giuseppe Modesto, imprenditore vicino ai corleonesi di Riina. Rosario Cascio, scrivono i giudici, che avrebbe dovuto essere l’unico aggiudicatario, attraverso le sue imprese Imac e Calcestruzzi Belice si rivolse al col. Russo che conosceva da tempo e col quale aveva instaurato un rapporto confidenziale, affinchè perorasse la sua causa con i responsabili della ‘Lodigiani’. L’interessamento dell’ufficiale a questa vicenda portò i corleonesi a decretarne la morte. La sua attività cominciò nel 1960 come imprenditore agricolo e negli anni ’90 Cascio era già tra i contribuenti big siciliani dichiarando miliardi di reddito. Sue erano le ”miniere d’oro” dell’edilizia in Sicilia occidentale, le società che producevano calcestruzzo, cemento, inerti, la base delle costruzioni. E l’imprenditore sarebbe anche ”un miracolato”, un sopravvissuto alla sentenza di morte del boss corleonese Totò Riina. Nel ’97 Giovanni Brusca, killer, boss e poi collaboratore di giustizia, disse in relazione ai lavori effettuati nella diga Garcia che Riina gli aveva raccomandato di eliminare Cascio in qualunque momento, anche dopo 10 anni, e che la sentenza non sarebbe stata eseguita forse per l’intervento di Matteo Messina Denaro, o del padre Francesco, o per i suoi legami con la potente famiglia trapanese degli Accardo. Dopo la revisione del processo, che cancellò la condanna all’ergastolo dei pastori Rosario Mulè e Vincenzo Bonello, e a 27 anni per Casimiro Russo (dopo che per 16 anni erano rimasti in carcere), per l’omicidio del col. Russo vennero condannati all’ergastolo Riina, Provenzano, Bagarella. Dell’omicidio si autoaccusò Brusca chiamando in causa anche Pino Greco e Filippo Marchese (entrambi erano già morti).
(Fonte: Grandangolo)