Quanta verità nelle parole dei nostri vecchi, che sostenevano che bisogna sempre ascoltare due campane per conoscere la verità, o perlomeno farsi un’idea sulla stessa.
Noi non abbiamo avuto modo di ascoltare le due campane in merito alle vicende legate alla nomina del Procuratore della Repubblica di Catania, e alla contrastata nomina di Giuseppe Gennaro.
A rimediare alle tante lacune in materia d’informazione su una vicenda per la quale ha suonato una sola “campana”, ha provveduto Grandangolo, il giornale di Franco Castaldo, con l’articolo dal titolo “Procura Catania: l’attacco a Gennaro passa da Agrigento”, che offre ai lettori una ricostruzione veramente interessante e ricca di particolari assai curiosi.
“Da circa un decennio – si legge nell’articolo -, ovvero da quando nel dicembre del 2000 l’allora presidente del Tribunale per i minorenni Giovanbattista Scidà (morto recentemente) venne sentito dalla Commissione parlamentare antimafia (di cui erano componenti Beppe Lumia e Roberto Centaro), si usa parlare – da parte degli organi di stampa – di “Caso Catania”, intendendosi dire con questa espressione che – presso gli uffici della Procura della Repubblica di Catania (allora retta da Mario Busacca e procuratore aggiunto Giuseppe Gennaro) – esistevano incrostazioni e logiche di potere che impedivano il serio svolgimento di indagini, specie antimafia, a carico di potenti. In particolare, ci si riferiva al processo sull’appalto per la costruzione del nuovo ospedale Garibaldi (ove si annoverava tra gli indagati Ignazio Sciortino, cognato dell’allora sostituto procuratore Carlo Caponcello) ed alle indagini sull’imprenditore Sebastiano Scuto (sulla posizione del quale erano sorti accesi contrasti tra alcuni sostituti procuratori). Della vicenda si occuparono, come noto, il Csm (che con risoluzione del marzo 2001 archiviò il caso) e la Procura di Messina, che pure – dopo approfondite indagini – chiese ed ottenne l’archiviazione della vicenda da parte del Gip. E’ altrettanto noto che il processo per l’ospedale Garibaldi (pendente attualmente in appello) si concluse con diverse assoluzioni e con pronunzie di non doversi procedere per intervenuta prescrizione (per esempio proprio nei confronti dello Sciortino, che venne regolarmente processato e per il quale fu comunque esclusa l’aggravante di aver favorito associazioni mafiose) mentre il processo a carico di Scuto si è concluso in primo grado solo nel 2011, con la condanna dell’imputato in virtù del contributo fornito dal pentimento – sopravvenuto solo nel 2010 – di Pippo Laudani ed Eugenio Sturiale (a riprova che nel 2001 i “contrasti” tra sostituti avevano un certo fondamento giuridico sulla valutazione degli elementi allora conosciuti) e con la confisca (non si comprende bene come si sia arrivati a questa conclusione) del 15% del suo patrimonio. Molto si è enfatizzato sulla “mafia di San Giovanni La Punta”, luogo di influenza del clan Laudani notoriamente originario di Canalicchio in territorio di Tremestieri Etneo, come se tutto quanto gravitasse presso quel minuscolo centro, ove aveva iniziato le sue attività Scuto al tempo in rapporti col costruttore prestanome dei Laudani, Carmelo Rizzo, determinasse le sorti di Catania e provincia. Le indagini messinesi (archiviate) interessarono in particolare l’acquisto di una villetta da parte di Gennaro, asseritamente costruita dal Rizzo. Gennaro ha sempre negato la circostanza, ha fornito le sue spiegazioni, ma ciò non è valso a nulla. L’assioma mediatico era ed è stato fino ad oggi il seguente: Gennaro conosceva bene Rizzo, ha da lui acquistato la casa sapendo che era uomo dei Laudani, ha fatto in modo (non si capisce come, visto che i processi sono andati regolarmente avanti) che Rizzo godesse protezioni insieme a Scuto, addirittura impedendo che si indagasse sull’omicidio dello stesso Rizzo (per il quale in realtà sono stati condannati esecutori materiali e in appello il mandante Alfio Laudani). Non c’è stato niente da fare, il venticello della insinuazione e della calunnia ha prevalso, posto che il fuoco concentrico degli avversari di Gennaro – all’epoca per ben due volte presidente dell’Anm – è riuscito nell’intento di fermarne la corsa alla poltrona di Procuratore della Repubblica di Catania. E’ noto che è stata tirata fuori una fotografia che ritrae a sua insaputa – così egli ha spiegato al riguardo con argomentazioni perfettamente logiche – Gennaro insieme a Rizzo; ciò ha scatenato tutti coloro che avevano interesse ad impedire che egli diventasse procuratore a Catania, i quali hanno – a torto o ragione non si sa – strumentalizzato la vicenda (fa riflettere, al contrario, che l’intercettazione telefonica tra il noto mafioso Michele Aiello ed un noto magistrato palermitano non ha impedito che questi fosse nominato procuratore aggiunto di quella città né impedirà sue prossime progressioni in carriera ovvero l’esordio nell’agone politico (così è la vita…. Aveva ragione Sciascia).
Ma chi sono o sono stati gli avversari di Gennaro?
All’inizio si è fatto cenno a Beppe Lumia e Roberto Centaro (quest’ultimo magistrato già esponente della corrente di Magistratura indipendente ed acerrimo avversario per questo della presidenza Anm di Gennaro, poi senatore del Pdl e presidente della Commissione parlamentare antimafia nella legislatura 2001-2006), ma a questi – e vedremo perché – devono aggiungersi una serie di altri nomi rinvenibili tra magistrati ed esponenti politici. Ma andiamo con ordine.
Gennaro arriva alla Procura della Repubblica come aggiunto nell’estate del 2000 ed il procuratore Busacca gli affida la delega di coordinatore delle indagini sul clan Santapaola; sorgono subito i contrasti col sostituto Marino che in seguito si trasferisce a Caltanissetta per evitare un trasferimento d’ufficio da parte del Csm, e si acuiscono quelli con Scidà (risalenti al 1986 per vicende correlate alle dichiarazioni del pentito Lo Puzzo raccolte proprio da Gennaro) che non perde occasione (strumentalizzato da taluni ben individuati soggetti) per inoltrare scritti con i suoi strali verso Gennaro.
Gennaro svolge il suo lavoro malgrado questi continui attacchi, si difende dinanzi al Csm, sporge querele, ottiene risarcimenti (ad esempio dal Corriere della Sera), ma nessuno ferma la macchina del fango. Nel 2005, nel frattempo, si svolgono a Catania le elezioni per il rinnovo del Consiglio comunale e per il sindaco. Viene rieletto Scapagnini, con l’apporto decisivo di Raffaele Lombardo, malgrado i sondaggi prevedessero il prevalere di Enzo Bianco. Il procuratore Busacca, di seguito ad alcuni esposti, apre un fascicolo che assegna a due sostituti oggi non più in servizio a Catania. Costoro istruiscono il processo denominato “CENERE vulcanica” (relativo ai contributi in denaro elargiti indebitamente ai dipendenti comunali un giorno prima delle elezioni) che porta alla condanna, recentemente confermata in appello, di Scapagnini e della sua Giunta (fra cui il neo-senatore Nino Strano). Nel contesto di quel procedimento rese dichiarazioni ai Pm l’ing. Tuccio D’Urso, già uomo di Lombardo e poi collettore di vari incarichi, responsabile unico dei procedimenti relativi all’emergenza traffico, per la quale Scapagnini era stato nominato commissario straordinario dal suo amico Silvio Berlusconi. D’Urso, che era stato defenestrato dall’incarico poco tempo prima, si era presentato ai Pm per rendere dichiarazioni contro Scapagnini, pensando di fare il furbo. Infatti, dopo che si seppe delle sue accuse (di seguito al deposito dei suoi interrogatori), egli fu repentinamente reintegrato nell’incarico ed in dibattimento tentò maldestramente di ritrattare, ma i due sostituti non abboccarono ed aprirono un procedimento a carico di D’Urso (con intercettazioni telefoniche ed ambientali), che aveva parlato di un ben definito comitato d’affari catanese e di “governo parallelo della città” ad opera di ben individuati grand commis ed imprenditori, tra cui Mario Ciancio e Virlinzi. Ebbero così avvio il processo denominato “Parcheggi” ed il processo per il “Buco di bilancio”.
A coordinare i due Pm e poi, dopo il loro trasferimento, gli altri sostituti fu designato Gennaro. Furono processati nuovamente Scapagnini e vari componenti delle sue Giunte. E’ noto l’esito dei due processi: tutti gli imputati di recente sono stati condannati per il buco di bilancio, mentre per i parcheggi è intervenuta una inopinata assoluzione per la quale è stato interposto appello. In quest’ultimo processo, peraltro e per vero fatto inusitato, la Procura ricusò il Tribunale dopo la revoca delle testimonianze ammesse perché era intervenuta una perizia (ad opera di un soggetto risultato già candidato del Pdl in Toscana) che a parere del collegio giudicante tagliava la testa al toro in favore degli imputati.
Nel processo sul buco di bilancio, peraltro, era incappato l’allora procuratore D’Agata, intercettato mentre imponeva al ragioniere generale del comune di Catania, Bruno di liquidare con priorità somme dovute alla moglie ed alla cognata per l’affitto di alcuni locali. Per questi fatti D’Agata, il cui genero avv. Alberto Giaconia è – in quota Lombardo – consulente in una società aeroportuale ed altresì consulente di alcune delle imprese invischiate nelle predette indagini (come risultava dalle intercettazioni), è oggi imputato a Messina.
La cerchia dei nemici di Gennaro si allungava.
Malgrado ciò, Gennaro ha continuato il suo lavoro ed ha concluso (insieme ad altri quattro sostituti) le indagini sul clan Santapaola denominate processo “Iblis”.
Ed ecco il primo colpo di scena: in questo processo egli ha individuato responsabilità di Raffaele Lombardo e del fratello. Le vicende sono note e non è necessario riassumerle. Egli si è battuto vanamente, contrastato da D’Agata e dai suoi aggiunti Patanè e Zuccaro. Forse si è esposto troppo, e bisognava tagliarlo fuori dalla corsa alla successione di D’Agata pur avendo titolo e merito? E allora cosa accade?
Scende in campo Giovanni Tinebra, con una candidatura mai vista (tranne lo scambio alla pari Caselli – Maddalena a Torino, mai un Procuratore generale ha fatto domanda per un posto inferiore). Tinebra, peraltro, si era distinto per avere designato quale Pg nel processo d’appello per la “Cenere vulcanica” il sostituto procuratore generale Platania (già procuratore capo di Modica, ove non risulta abbia svolto indagini sulla edificazione abusiva posta in essere dalla moglie di Lombardo, vicenda solo di recente ripresa da uno dei due sostituti che avevano indagato su Scapagnini & co. per la “Cenere vulcanica”, nel frattempo diventato nuovo procuratore capo a Modica), il quale è giunto alla conclusione di chiedere l’assoluzione degli imputati venendo clamorosamente smentito dalla Corte d’Appello.
Tinebra, poco tempo prima della sua domanda per concorrere al posto di procuratore di Catania, ha chiesto, per ragioni di salute, di non rendere testimonianza a Palermo nel processo al generale Mario Mori per la mancata perquisizione del covo di Riina. La sua candidatura diventa, a questo punto, difficile da sostenere anche da parte del suo stesso gruppo, MI. Il numero dei nemici di Gennaro aumenta in maniera esponenziale. Tra gli altri si aggiunge Raffaele Lombardo (oggi sostenuto a spada tratta proprio da Lumia). Il progetto di definitivo completamento dell’area di Corso Martiri della Libertà. è un’altra nota dolente, un altro fascicolo di indagini in materia di reati contro la pubblica amministrazione (che qualcuno, non si capisce in base a quali dati, sostiene che a Catania non si facciano) aperto ed istruito da Gennaro.
Il gioco si fa duro, probabilmente Gennaro doveva essere fermato. Dapprima scendono in campo alcuni politici, alcuni esponenti della cosiddetta “società civile” e taluni giornalisti con i loro giornali, i quali si fanno scudo del defunto presidente Scidà e delle sue continue esternazioni scritte che finiscono per fare breccia presso il Csm, ove diventa fondamentale il gioco delle correnti per la nomina del nuovo procuratore di Catania e dove alla fine trova conforto la richiesta della nomina di un procuratore “ estraneo all’ambiente catanese”.
Gennaro è da sempre leader di Unicost, la corrente maggioritaria tra i magistrati; è stato per questo egli stesso componente del Csm e due volte presidente dell’Anm. Catania è roccaforte di Unicost, tanto che ininterrottamente dal 1994 da Catania viene sempre eletto un consigliere del Csm (Gennaro, D’Angelo, Meliadò, Mannino, ed oggi, Sciacca). Chi come MI ed MD ha cercato di scalfire questo monolite ha sempre fallito clamorosamente. A MD ed a MI (come dire al diavolo ed all’acquasanta), che hanno incassato – di recente – nomine nel distretto di Catania tutte targate Unicost (il presidente della Corte d’Appello, il Presidente del Tribunale, quello del Tribunale per i minorenni, vari presidenti di sezione ecc. ecc.), non pare vero di poter far saltare il banco contro Unicost e Gennaro. Ed ecco l’alleanza anomala. A ciò si aggiunga che, probabilmente grazie a Lombardo e Lumia, si trova un altro utile fiancheggiatore – tale avv. Giuseppe Arnone di Agrigento, aspirante con l’aiuto dell’Mpa alla carica di sindaco della città dei templi – il quale non solo si presenta a Catania con posterbus e manifesti, ma addirittura scrive al Csm perché non nomini “l’opaco Gennaro”, che ha acquistato (vero non vero, non importa) la casa – peraltro pagata – dal mafioso.
Il cerchio si chiude. Al Csm, dove vota anche il vicepresidente Vietti – in quota all’Udc ed amico di Bellavista Caltagirone nonché di Lombardo che, pur se indagato per mafia, ha incontrato, insieme a Tinebra, all’Università di Catania grazie al rettore Recca noto esponente Udc – si coagulano MI, MD, i laici di centro – sinistra (di stretta osservanza Pd, dunque verosimilmente Lumia profeta dell’antimafia e del rinnovamento siciliano con Lombardo), il primo presidente ed il procuratore generale della Cassazione (ufficio dove lavora il beneficiato) e lo stesso Vietti.
Viene nominato (con delle forzature regolamentari, posto che era stato già nominato procuratore aggiunto a Milano ed è molto meno titolato, perché contrariamente a quanto sostenuto egli non ha mai fatto Dda) l’uomo nuovo: Giovanni Salvi, fratello dell’ex ministro Ds Cesare. Dopo la nomina, Tinebra annuncia che non farà ricorso al Tar ed ad essere il primo, subito dopo l’insediamento, ad andare a cena col neo procuratore in un ristorante di San Giovanni La Punta (a proposito, ma non era il centro nevralgico della mafia etnea?). Il Comune, intanto, sigla un accordo con l’impresa per l’immediato riavvio dei lavori per la costruzione del parcheggio Europa, da alcuni mesi dissequestrato. Subito dopo viene annunciato che quanto prima partiranno i lavori in corso Martiri della Libertà su progetto dell’architetto Massimiliano Fuksas.
MD ed MI sono pronte a sferrare l’attacco finale ad Unicost catanese. Gennaro ha perso, chi ha lavorato con lui ha perso. Forse, anche la città perderà definitivamente.
Amen.”