Che le rivolte nascano nei paesi che versano in condizioni economiche disperate, rientra nella normalità. Meno normale, e dunque meno comprensibile ci appare, quando le rivolte riguardano nazioni apparentemente ricche.
È questo il caso della Libia, fino agli anni cinquanta considerata uno dei paesi più poveri del mondo, soprattutto a causa dell’improduttività del territorio, che registrava già nel 1977 il reddito annuo pro capite più elevato del continente africano (posizione che conserva tuttora, con 14.192 dollari nel 2010).
Quali i motivi dunque che hanno portato la popolazione alla rivolta?
Le ragioni, potrebbero racchiudersi nell’anacronismo di un governo che non ha saputo dare quella parvenza di democrazia necessaria a garantire un giusto equilibrio tra lo sviluppo economico e il regime politico della nazione.
Un vecchio leader, il Colonnello Gheddafi, che ha continuato a governare il paese con una sola legge: la legge 71, che punisce con la pena di morte tutti coloro che si vogliono riunire in associazioni od organizzazioni vietate dalla legge.
La recente crisi economica globale, ha prodotto anche qui i suoi danni, causando un aumento della disoccupazione e un crescente malumore da parte della popolazione.
Gli accordi commerciali con paesi come l’Italia e la Russia, prevalentemente interessati al settore energetico, hanno visto un maggiore arricchimento di una minoranza direttamente riconducibile al dittatore, in danno della popolazione.
Seppur i assenza di appoggi da parte del mondo occidentale – condizione quasi indispensabile per le rivolte in quest’area del pianeta -, il popolo libico ha iniziato a manifestare contro chi per 40 anni è stato il detentore assoluto del potere politico e giuridico del paese.
Gheddafi forte dei rapporti che intrattiene con molti paesi occidentali, grazie al ricatto energetico e terroristico che impedisce a questi ultimi di prendere posizione, come già avvenuto nei trent’anni passati, ha ritenuto di poter soffocare la protesta con l’uso della forza.
La modernizzazione del paese, l’uso sempre più diffuso di internet e dunque la possibilità maggiore per i dissidenti di poter comunicare tra loro, a differenza di quanto accadeva in passato, hanno fatto sì che i manifestanti potessero organizzarsi e rispondere alla repressione messa in atto dal regime, diffondendo anche le immagini della cruenta rappresaglia del loro leader e costringendo le altre nazioni – eccetto l’Italia il cui premier e le cui aziende hanno troppi interessi in Libia – a condannare sin da subito chi sta massacrando il suo stesso popolo.
Nel corso degli anni, il colonnello (un rango lui stesso assegnatosi) si è dimostrato un abile prestigiatore, cambiando posizione ogni qualvolta per ragioni di sopravvivenza si è reso necessario.
Ma se in principio la rivoluzione di Gheddafi aveva una certa logica e nel tempo ha realizzato alcune cose utili al suo paese, gli ultimi anni sono quelli che lo hanno visto sempre più legato ad una gestione del potere e delle risorse economiche di tipo personalistico e parentelare.
Partecipazioni azionarie in aziende italiane e tedesche, affari con i russi, miliardi di dollari da poter muovere grazie alle riserve di petrolio, hanno portato il rais a fondare con i figli la dinastia Gheddafi e far godere loro di questo denaro.
In un paese disorganizzato, senza partiti, rappresentato solo da un mucchio di tribù, il vecchio rivoluzionario, ha avuto gioco facile nel mettere a capofila delle correnti del palazzo di governo i propri figli, con il risultato di creare un modello familiare di governo che rappresentasse apparentemente le diverse anime di un paese ignavo e disinteressato a quanto accadeva politicamente.
L’apparentemente squilibrato Gheddafi, capace di campeggiare in tenda nella periferia del New Jersey o a Roma, è sempre stato in realtà uno dei peggiori dittatori al mondo.
Sostenitore di Robert Mugabe nello Zimbabwe, e di altri dittatori africani, si ritiene abbia contribuito a dare appoggio ai terroristi del gruppo di Settembre Nero del 1972 che ha condotto attacchi contro le Olimpiadi di Monaco di Baviera, all’IRA, alla FARC.
Il sangue che ha macchiato in tutti questi anni le sue mani, gli ha fatto guadagnare un posto accanto ai grandi criminali del XX° secolo, come Hitler e Stalin.
Dopo decenni trascorsi a seminare terrore, nepotismo, abusi di ogni sorta e politica tribale, il frutto è quell’unità che i libici non avevano mai cercato e che rischia di trasformarsi in un bagno di sangue di gran lunga superiore a quello versato in questi giorni di ribellione.
Quella stessa che per tanti anni era stata l’arma vincente del vecchio tiranno (l’aver posto ognuno dei suoi figli a capo di una correte interna del governo), potrebbe adesso rivelarsi a lui fatale, venendo a mancare quell’unità che aveva sempre portato il popolo ad appoggiarlo in ogni sua iniziativa.
Le proteste libiche hanno ispirato l’ondata di rivolte in tutto il Nord Africa, ma alto sarà il prezzo che rischia di essere pagato in vite umane.
Se da un lato l’interesse per le risorse petrolifere e gassifere del paese potrebbe indurre l’America ad essere cauta nei riguardi di Gheddafi, dall’altro, i sempre più crescenti interessi russi verso il paese africano – che vedono in Berlusconi e Gheddafi i fautori di una rinascita della superpotenza mondiale, grazie al dominio energetico -, potrebbero indurre gli Stati Uniti a vedere positivamente la caduta del vecchio dittatore.
Unica incognita, il timore della nascita di uno stato fondamentalista islamico.
Non molto tempo fa, la Libia era quello che veniva definito uno ’Stato carogna’, ma dai fatti dell’11/9, Gheddafi si è unito alla guerra al terrore con gli Stati Uniti e con l’Europa, condannando i terroristi di Al Qaeda che una volta riparava.
Sul grande scacchiere internazionale, sono molte le pedine in gioco. L’Italia con il suo premier direttamente interessati affinchè Gheddafi continui a mantenere il potere assoluto perché si possano continuare a fare gli affari nel campo dell’energia e della divisione dei grandi appalti in Libia tra le imprese italiane; gli americani che preferirebbero veder crollare il progetto italo/russo; l’Europa che condanna Gheddafi, ma che teme anche una riduzione delle risorse petrolifere; il popolo libico che ormai ha iniziato la sua rivolta e che cerca il giusto equilibrio tra sviluppo economico e sistema politico.
Ma su tutto, aleggia il timore di uno Stato fondamentalista islamico alle porte dell’Europa e con le grandi ricchezze delle risorse energetiche che possiede la Libia.
In questo contesto, l’ipotesi più probabile, è un’ingerenza americana che miri a controllare la nascita di un nuovo governo moderato meno italo-russo e non fondamentalista islamico.
Comunque vada, la fine del dittatore, quasi certamente non sarà incruenta e potrebbe essere determinata proprio da chi saprà gestire la spaccatura interna al suo stesso governo, spingendo le forze armate del paese ad abbandonare il vecchio leader, per schierarsi con uno dei capofila di una corrente interna, che mettendosi alla testa del popolo sia contestualmente in grado di garantire gli interessi americani.
E l’Italia? Qualcuno forse si arricchirà un po’ meno, ma il popolo italiano tanto ne pagherà – in termini economici – il prezzo più alto…
Gian J. Morici
ciao