Ho finalmente trovato il coraggio di vedere il film su Stefano Cucchi. Dico coraggio perché la storia la conosco così bene, che non avevo nessuna intenzione di rivederla sullo schermo.
Però alla fine sono contento di averlo visto, per tanti motivi, ma non è così facile come sembra, il giudizio.
Prima di tutto le cose belle.
Il film è bellissimo, perfetto quasi, girato in maniera magistrale, con attori credibili, facce adeguate. Max Tortora nella parte del padre direi incredibile per quanto è bravo. Gli attori così intensi anche nel ripetere le stesse parole dette nella realtà
Luci, location, postproduzione, montaggio, non riesco a trovargli un difetto.
Il regista si vede che ha studiato. La scena di lui a piedi nel cantiere è Pasolini, senza se e senza ma, e Qualcuno volò sul nido del cuculo deve averlo visto un paio di migliaia di volte.
E aggiungo che il film è un pietra miliare nel percorso sulla verità che la sorella e i famigliari cercano da dieci anni, e che ormai sta per essere consolidata anche a livello processuale e capisco che per loro, dopo dieci anni di omertà e disinformazione è come un faro nella notte: dopo questo film non ci potranno più essere dubbi su come siano andati i fatti in quella notte terribile.
Qui finiscono, per me, le cose belle e inizia la delusione.
Capisco che un film non è un documentario, e che l’argomento è delicato (eufemismo), che c’è un processo in corso, e che si parla delle forze dell’ordine.
Ma il film non è la storia di un fatto di cronaca, come ci si sarebbe aspettato.
E’ il racconto dell’agonia di Cucchi.
Terribile, triste, dolorosa. Ma per me non è il punto cruciale della storia.
La vera storia viene raccontata con il manuale Cencelli in mano: quando i Carabinieri sono cattivi, allora anche Stefano è cattivo, quando sono buoni, anche lui è buono.
La scena del pestaggio non viene mostrata, ma è quello il punto focale della faccenda Cucchi: il pestaggio illegale e sistematico di un detenuto da parte delle forze dell’ordine alle quali era stato dato in custodia.
Da lì parte tutto, e non viene mostrato.
E lo sforzo della produzione di compensare qualche “pecora nera” con altrettanti Carabinieri buoni e comprensivi è così evidente da dare fastidio fisico.
Anche perché non ce n’è bisogno. Nella vita quotidiana, e anche nella vicenda Cucchi, di Carabinieri per bene ce ne sono moltissimi, la stragrande maggioranza. Nessuno ha dubbi che i Carabinieri lavorino e rischino la vita per noi, e lo sforzo del regista di mostrarcelo stride come stride l’elenco dei Carabinieri morti in servizio che fa il Comandante in Capo. Come se i tanti, terribili morti tra le forze dell’ordine potessero in qualche modo giustificare il pestaggio di un detenuto.
E non serve neanche, mi dispiace molto dirlo, lo sforzo di presentare in fondo Stefano come un delinquente: anche se fosse stato un pluriomicida – e non lo era – era un cittadino innocente fino a prova contraria in custodia dello Stato.
Lo Stato non l’ha protetto e l’ha ucciso.
QUESTA era la storia da raccontare, e invece abbiamo assistito a troppi primi piani del protagonista, troppi atti di ribellione di Stefano, troppe cose che deviano dal punto focale.
Il regista ha scelto di usare un teleobiettivo su Cucchi, e un grandangolo sull’universo, e questi due punti di vista distorcono la realtà fino al punto che se io mi dimentico di tutto quello che ho letto in questi dieci anni, potrei anche capire qualcosa di diverso.
E non aiuta (altro eufemismo) che al termine del film due cartelli ci dicano che i medici non sanno spiegarsi scientificamente la morte di Stefano, e che a casa sua hanno trovato un chilo di hashish.
A parte che nessuna di queste due cose ha niente a che vedere con il pestaggio, è un ulteriore tentativo di controbilanciare, alla fine del film, l’impressione negativa che lo spettatore può aver avuto sul comportamento delle forze dell’Ordine.
Un tentativo maldestro, inutile, volgare, che trasforma un bel film in una grande delusione.
Rodocarda