La sentenza relativa al “caso De Gregorio” ed il parere da me espresso nell’articolo dell’altro giorno su queste pagine, Il Tribunale di Napoli richiama Prodi al governo, ha suscitato qualche perplessità tra i nostri Amici lettori.
Non poteva che essere così: alla osservanza rigorosa dei principi di diritto costituzionale abbiamo un po’ tutti preso l’abitudine ed invocare principi e garanzie stabilite da una Costituzione, che è azzardato affermare che ancora ci sia, dopo la devastazione subìta ad opera di grossolani ignoranti, può apparire una autentica stravaganza.
Ma la Costituzione (art. 68) è chiara e perentoria nell’escludere la sindacabilità dei “voti dati e delle opinioni espresse” dai membri del Parlamento. “Non possono essere chiamati a rispondere”.
Se De Gregorio “non poteva essere chiamato a rispondere” del fatto di aver votato contro Prodi, non poteva (se ha “patteggiato” sono fatti suoi…) essere condannato per averlo fatto per denaro invece che per divina ispirazione. E nessuno poteva essere condannato per averglielo fatto fare. La “garanzia” non opera solo a favore delle “persone per bene”: impedisce che si pretenda di stabilire se un parlamentare lo sia o no (debbono pensarci bene i elettori al momento del voto).
Non starò a ripetere gli argomenti, che mi sembrano insuperabili, espressi l’altro giorno. Ma per chi ritenesse che questa è una mia senile “impuntatura”, voglio ricordare un precedente che risale alla sesta Legislatura (1972-1976).
La Procura di Roma intendeva procedere contro il deputato D.C. Felici che, relatore nella discussione di una legge sul gioco con le “macchinette mangiasoldi” che prevedeva la “quinta pallina” (!!!???) avrebbe ricevuto una sostanziale mazzetta dall’Associazione dei gestori di quelle diavolerie.
La Giunta delle Autorizzazioni a Procedere ritenne di dover escludere che l’azione penale potesse, in tal caso, essere esercitata perché avrebbe leso l’insindacabilità delle opinioni espresse e dei voti di un parlamentare. Giuliano Vassalli, all’epoca deputato, redasse un parere ampiamente e magistralmente motivato, che sosteneva l’insindacabilità “in ogni caso” “anche se si fosse sostenuto che fosse corso del denaro”.
Non c’era ancora il Partito dei Magistrati, ed un parere giuridico di un personaggio di tale livello era rispettato e non c’erano ignoranti patentati che osassero farsene beffa. La Procura di Roma e l’Ufficio Istruzione del Tribunale presero atto di questa tesi e della decisione della Camera e desistettero da ogni azione.
C’era allora la Costituzione. C’era il Parlamento. E c’erano giuristi degni di questo nome. Oggi, se quest’ultimi ci sono, debbono essersi andati a nascondere molto bene.
Mauro Mellini – www.giustiziagiusta.info