Come sono belli i miei piedi. Sono perfetti non credi? –
– … –
– Perché ridi? –
– … –
– … –
– Cosa devo dirti? Devo ricordarti che almeno venti volte da quando ti conosco mi hai detto Sono orribili i miei piedi, li detesto, sono tozzi e ho le dita storte, e piatte, come quelle delle mani, anche le mie mani sono orrende, guardale, non potevo avere delle mani magre, le dita lunghe, affusolate, come le tue ad esempio, anche i tuoi piedi sono belli, non come i miei, sono curati, anche io li curo, ci provo, ma restano brutti, orribili, neanche i piedi mi son venuti bene, neanche quelli? –
– … –
– Sono parole tue. –
– Non posso averlo detto. Se c’è una cosa che amo di me sono i miei piedi. E le mie mani anche. Anzi di più. Prima le mani e poi i piedi. –
– … –
– Non l’ho detto. –
– Va bene. –
– Non l’ho detto. –
– Senti Vale non mi va di fare storie, stai ancora nella fissa della bellezza, della tua bellezza, bene, buon per te, specie se ti fa bene, basta che tu non pianga, perché non scoppi a piangere stasera vero? Perché davvero non ne ho voglia, ho i fatti miei per la testa e già non mi gira per niente che sto qui con te a fumare e a bere vino, ottimo, credimi, niente da eccepire, ma ho davvero altro a cui pensare, avevo altro a cui pensare, altri programmi, quindi.
Se sta bene a te va bene. Non lo hai mai detto e hai piedi e mani splendidi, sei splendida, sei bellissima e non c’è al mondo un’altra bella come te. –
– Certo che sei stronza. –
– Non sono stronza, sono stanca. Stanca e obiettiva. Sincera anche, soprattutto. Stanca di sentire tutto e il contrario di tutto, stanca di darti ragione e di non dartene, stanca di dirti anche che sono stanca di non mettere un registratore ogni volta che vieni qui, per farti risentire quel che dici e per non dover ripetere quello che io dico a te. Obiettiva perché non hai né piedi né mani orripilanti, ma non li hai neanche perfetti, neanche i miei lo sono, e non sei una dea, forse lo eri, anche se non lo ricordo, anzi, anzi aggiungo, te l’ho detto anche e spesso, sei più carina adesso di quando ti ho conosciuto, quando? Quanti anni fa? Venti? Di più credo? Sei migliorata. Grazie, mi risponderai, allora stavo male, avevo quella storia addosso che mi faceva male, so tutte le risposte come vedi, è inevitabile, e non perché non ci sia niente più da dirci – ce ne sarebbero di cose di cui parlare – ma perché gira e rigira è solo di te che vuoi parlare, di te e di quel che vali, perché quello che cerchi sempre, costantemente, con chiunque, dovunque, sono conferme, quelle che da sola non sai darti.
E’ il punto è proprio questo.
Che siccome non sai dartene quelle che ti danno gli altri non ti bastano mai.
Così oggi sei nella fase costruttiva.
Hai scelto una cosa che ti piace.
A caso.
A caso o forse no, se hai scelto proprio una delle cose che non ti piacevano. Domani mi dirai che sono i tuoi capelli che sono bellissimi, stupendi, perfetti, o qualcos’altro, adesso non mi viene, magari se ci penso te lo dico, o non te lo dico, che se te lo dico sono stronza.
Sono sincera.
Lo sono sempre stata.
Non sei bella e non sei una ragazzina.
E si vede.
Come si vede a me.
Ma sei carina. E hai tante cose che contano di più.
Ed è a queste cose che dovresti guardare, che dovresti coltivare, che dovresti amare, prenderti, riprenderti.
E invece no, invece tu pensi ai piedi.
Oggi ai piedi e alle mani, domani ai capelli, il mese scorso In fondo che mi importa se mi tradisce, peggio per lui, un’altra bella come me dove la trova? Poi non lo fa, un’altra non la trova, non perché non ne trova una più bella, che hai voglia quante ce ne sono, più belle, più giovani, meno fissate soprattutto, e permalose anche, perché non la cerca, che non gli interessa, e tu ti stanchi, ti senti prigioniera, non hai niente per cui combattere e allora non ti resta che diventare brutta.
Fase distruttiva.
– … –
– Ok, sono una stronza. Una stronza stanca. –
– … –
– Che c’è? –
– Come fai a trattarmi così? –
– Così come? Come sempre? –
– Io non ti ho mai detto cose del genere. Non ti ho mai offeso, io la vedo la tua bellezza, non la distruggo. Tu non fai altro che farmi a pezzi. –
– Vale… –
– Lasciami in pace. –
– Perfetto. Fase due. La rosa delle opzioni adesso prevede: a) le preghiere e le scuse (inutile che ti ricordi che io non mi scuso vero? Perché non mento, non con chi amo, quindi non mi scuso delle verità che ho detto, che le sai prima di me. Non sono innamorata, non di te almeno, ricordi? Siamo amiche, solo amiche. L’amore offusca la mente e gli occhi, neanche sempre a dire il vero e mai per sempre, soprattutto, e io ci vedo quindi, ti vedo. Che poi i miei canoni possono essere diversi dai tuoi lo ammetto, è normale, che la bellezza è soggettiva, ma non puoi negare che un minimo di oggettività esista, non puoi negarlo, e faccio del mio meglio in genere, devi ammetterlo, per tenerne conto, dell’oggettività intendo, se do un giudizio, se me lo chiedono, se posso evito, lo sai, dico mi piace, che è personale, insindacabile, ma se la domanda è chiara, esplicita, E’ bello? Allora occorre distinguere, analizzare, secondo canoni, personali, anche quelli, non lo nego, ma il gusto si educa, specie quello per il bello, evolve anche; certo, ci sono segni, memorie, “permanenze” – mi piace chiamarle così, più che influenze – saremmo tutti uguali se non ci fossero, ci piacerebbero le stesse cose, penseremmo tutti allo stesso modo, questo sarebbe orribile, altro che i piedi. Che poi non sono orribili e lo sai, non sono perfetti, neanche belli, normali, hai dei normalissimi piedi, non è che si perda qualcosa, funzionano lo stesso. Solo preghiere quindi, tipo questa, di smetterla; a volte basta); b) le lacrime, le lacrime cui seguono nell’ordine la ricerca e la raccolta delle tue cose, la borsa, l’accendino, Quello è il mio, le sigarette, il telefono, Dove ho messo il telefono, Io da te non devo più venirci, Lasciami stare, la porta che sbatte e tu che te ne vai. Peccato che stanotte da qui non puoi andartene, perché non stiamo a casa mia, e casa tua è lontana, ed è proprio notte, e tu sei a piedi, e il posto più vicino dove trovare un treno o un pullman o un essere umano che ti porti in qualche posto è ad almeno a sei chilometri da qui e diluvia, tanto per. Non farci mancare niente. Su questo ci troviamo sempre. c) mi viene in mente adesso che sono opzioni quelle che io sto elencando ma in realtà non è così, che invece è una sequenza – anche se qualche volta ce l’hai fatta, devo dirlo, ad andartene, opzione b), a non tornare indietro anche, per qualche giorno anche, hai retto, tenuto il punto – in genere è una sequenza, nel senso che in sequenza le opzioni ce le giochiamo tutte, nell’ordine, e questa, la c) è solo l’ultima delle tre, quella dove ti siedi e ascolti, fingi di ascoltare, che se tu mi ascoltassi almeno non dovrei ripeterle ogni volta, le stesse cose. Che sono altre le tue cose belle, che non è possibile che non le vedi, che sono tutti a vederle e solo tu, proprio tu, non le vedi.
Solo che stasera, stanotte anzi, conviene che tu finga non di ascoltare Vale, ma di non aver sentito, nulla, proprio nulla, dall’inizio, perché io sono stanca. Molto stanca. E ho un mondo intero da portarmi sulla schiena, il mio. Esattamente come tante volte che è successo che stavo lì, sotto quel mondo che mi crollava addosso e tu non hai avuto tempo per ascoltarmi, che ascolti solo il mondo dove vivi tu. Che non è il mio evidentemente. E a questo punto non lo so, io non lo so se lo è mai stato, se c’è mai stato un mondo uguale per noi due perché se è vero che io l’ho visto il mondo tuo e lo ho abbracciato tu non hai visto il mio. E non ne hai colpa. Non te ne faccio. Anzi forse la colpa è mia. Che ci ho provato poco. Forse per proteggerti. Lo faccio sempre. –
Lo faccio adesso.
– Guarda! –
Ti ho girato il viso scuro e imbronciato verso il cielo mentre una stella cadeva lenta lasciando un solco luminoso nel cielo nero di pece.
Hai sorriso.
Il tuo sorriso è bello Vale.
Il modo in cui respiri, quando respiri, il modo in cui guardi il cielo, in cui guardi il mare, in cui guardi la terra.
Il modo in cui ami le cose che non ti appartengono, perché non possono essere tue.
Per quello che ti regalano.
Quelle che vuoi ti ammazzano.
E io sono stanca.
E mentre tu sorridi e non ti ho detto niente, hai cancellato tutto, te l’ho detto io di cancellarlo, la stella cade.
E io non ho fatto a tempo a esprimerlo il mio desiderio.
Un’altra volta hai vinto tu.
Un colpo, leggere le storie di Cinzia Craus. Sono finestre aperte sui rapporti umani, che talvolta sarebbe meglio non vedere.
Ma una volta letti, sai che sono reali