
Nel Vangelo di Giovanni, il Prologo inizia con: “In principio era il Verbo, il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio”. Vi starete chiedendo cosa c’entra Dio con quello che sto per dirvi.
Nell’era digitale, il soggetto non è Dio, ma la metafora. L’ossessione per il Verbo di Dio si è evoluta nel culto del Verbo del social, dove chi amministra un gruppo opera come onnipotente custode della ‘Verità indiscutibile’, sanzionando ogni dubbio come eresia, diventando la ragione d’essere e la legge della comunità.
In questo contesto, ogni forma di dubbio o dissenso è vista non come contributo al dibattito, ma come un’eresia o un attacco al principio fondante, e la censura diventa lo strumento teologico per preservare la purezza del Verbo. Commenti che pongono semplici domande, chiedono fonti, propongono sfumature o esprimono scetticismo vengono cancellati o gli utenti banditi.
La logica è quella che se l’idea del gruppo è perfetta, chi la contesta non è in errore, ma è “esterno” o “malvagio”, e deve essere rimosso per salvare la comunità dalla contaminazione.
È questo quello che accade nel gruppo Facebook “Fraterno sostegno ad Agnese Borsellino”.
Mi ero ieri permesso di commentare un post con le dichiarazioni del collaboratore Marino Mannoia, il quale aveva dichiarato che “la falsificazione di targhe di autovetture mediante inserimento nella targa originaria di pezzi di altre targhe, è stata realizzata anche da me, già a far tempo dal 1976 – 1977.
Questo sistema è stato usato anche da altri. Per quanto mi riguarda , io saldavo i pezzi delle targhe o con nastro adesivo, da dietro, o mediante pece. La targa veniva poi assicurata mediante viti alla vettura.”
Il riferimento era all’omicidio di Piersanti Mattarella e alle targhe dell’auto utilizzata dai killer.

Questo il mio commento: “È di notevole interesse storico-criminale la testimonianza di Marino Mannoia, concernente la prassi, metodicamente descritta, della falsificazione delle targhe automobilistiche tramite la saldatura o l’applicazione di segmenti di altre targhe, tecnica che fu impiegata nell’omicidio di Piersanti Mattarella. La pratica di utilizzare targhe contraffatte o clonate è un modus operandi ricorrente e ampiamente documentato in numerosi omicidi di matrice mafiosa. Considerato che Mannoia dichiarò di averne lui stesso falsificate alla stessa maniera, così come usavano fare altri appartenenti a Cosa Nostra, certamente la metodica della saldatura di segmenti sarà stata descritta con la medesima dovizia di particolari in altri atti giudiziari relativi a reati di sangue. Potete indicare in quali altri omicidi?”
Perché censurare un commento che poneva soltanto una semplicissima domanda?
Semplice. Se la falsificazione delle targhe con la saldatura di segmenti era un modus operandi tecnico e diffuso in Cosa Nostra, come affermato dal pentito Mannoia, allora gli atti giudiziari di diversi casi di omicidio mafioso in cui fu impiegato un veicolo con targa contraffatta dovrebbero, in linea teorica, documentare la presenza di questa specifica tecnica di saldatura/incollaggio di pezzi.
Evidentemente non c’è riscontro di diversi altri specifici omicidi – oltre quello di Piersanti Mattarella – in cui la perizia giudiziaria abbia esplicitamente rilevato la targa falsificata con la precisa tecnica della saldatura di segmenti, come descritta da Mannoia.
Ecco allora che come nel prologo di Giovanni, che “In principio era il Verbo” e il Verbo si fece carne, così l’opinione di chi amministra il gruppo diventa “Verbo”, un dogma inconfutabile che si impone sulla realtà, trasformando il giudizio soggettivo in verità assoluta e ineludibile, e censurando ogni commento che possa anche soltanto sollevare un dubbio.
Non è la prima volta che un mio commento venga prima posto in attesa di pubblicazione e poi censurato. Era già accaduto in passato.
Non voglio entrare nel merito delle ragioni che spingono chi amministra il gruppo nel perorare una causa, nel favorire una tesi a discapito di un’altra, trasformandosi in mero strumento di propaganda volta a condizionare il lettore (per questo è sufficiente valutare il tentativo del generale Mori di condizionare la Commissione antimafia), bensì far notare come sia interesse dei collaboratori di giustizia l’enfatizzare il ruolo di Cosa Nostra, in particolare nei delitti eccellenti, per ottenere un maggiore prestigio e credibilità.
Francesco Marino Mannoia è stato un collaboratore di giustizia di eccezionale importanza per la magistratura italiana e statunitense. Le sue testimonianze, ricche di dettagli inediti e riscontrati, hanno permesso di comprendere a fondo la struttura di Cosa Nostra, contribuendo in modo determinante a numerosi processi, incluso il Maxiprocesso di Palermo.
Eppure, non si può fare a meno di notare talune discrasie e “aggiustamenti” nelle sue dichiarazioni, come nel caso del processo ad Andreotti, quando sembra improvvisamente, a distanza di anni, recuperare una più fervida memoria che gli fa ricordare dettagli inediti.
Marino Mannoia, nel 1993, affermò spontaneamente di ricordare un quadro particolare per cui Andreotti impazziva. Il quadro sarebbe stato procurato e regalato al Senatore da Stefano Bontate e Pippo Calò tramite un antiquario romano, amico di Calò. All’epoca, Mannoia non ricordava la natura del quadro né che tipo di opera fosse.
Alle udienze del del 4 e 5 Novembre 1996, Mannoia tornò sull’argomento, introducendo nuovi dettagli.
Aveva appreso la vicenda da Bontate durante una discussione su precedenti furti su commissione di quadri di valore, commessi da lui e altri uomini d’onore, e Bontate gli aveva chiesto di interessarsi all’acquisto di un quadro che interessava Andreotti, un’opera di un autore italiano chiamato Grassi o Rossi.
Rispetto alla prima dichiarazione, in dibattimento Mannoia specificò subito che l’autore era italiano (Grassi o Rossi) e che il soggetto era paesaggistico.
Inizialmente, dunque, non ricordava nulla sulla natura o l’autore del quadro (commissione rogatoria del 1993), limitandosi all’assoluta genericità del racconto mentre in dibattimento (1996) forniva subito dettagli su nazionalità e soggetto, ma solo dopo che il nome “Rossi” era già emerso nelle indagini del processo prima del suo “risveglio del ricordo”.
Al post al quale è stato censurato il mio commento, ha commentato l’utente Fabio: “poi però Mannoia ha cambiato completamente versione anni dopo. A proposito del ruolo di Bontate nell’omicidio Mattarella. Al processo Andreotti. Parlando degli incontri con Andreotti prima e dopo il delitto Mattarella… sul primo incontro disse che “Andreotti era sceso a Palermo” poi invece disse che l’incontro si tenne nella proprietà dei Costanzo che si trovava nel catanese, e al secondo incontro con Andreotti dopo il delitto di Mattarella ha dichiarato di aver assistito personalmente a quell’incontro in una villetta intestata ad “un Inzerillo, zio di Salvatore.”
Vuoti di memoria? O soltanto la necessità di esaltare il proprio prestigio?
Quello che è certo, che nello stesso gruppo non leggerete mai cosa disse Marino Mannoia a proposito di Silvio Berlusconi: “Andate a vedere come ha fatto i primi soldi.”
Fraterno sostegno a chi?
Il Verbo e la censura!
Gian J. Morici