
Un qualsiasi quisque de populo può sentirsi gratificato se omaggiato dalle attenzioni di un qualsiasi parlamentare, figurarsi se stiamo parlando della Presidente della Commissione antimafia.
Sebbene composta da soggetti politici, la Commissione Parlamentare Antimafia – che ha il compito di indagare sui fenomeni mafiosi, sulle loro infiltrazioni nella società, nell’economia e nella politica – dovrebbe essere “super partes”.
La lotta alla mafia richiede un fronte unito e una profonda fiducia da parte dell’opinione pubblica. Se la Commissione viene percepita come uno strumento di lotta politica o di parte, perdere immediatamente la sua credibilità e la sua capacità di incidere. La sua autorità deriva infatti dalla percezione che agisca nell’interesse esclusivo dello Stato e della giustizia.
Questo impone ai suoi membri un’etica di responsabilità che trascende le logiche di partito e li vincola all’interesse superiore della Nazione, senza guardare in faccia nessuno e senza difendere “amici o “alleati” di partito.
Una presidente molto social
Viviamo nell’epoca dei social media, dei quali anche i politici fanno ampio uso, a volte dimenticando il proprio ruolo.
È il caso di Chiara Colosimo, Presidente della Commissione Antimafia, la quale distribuisce “like” e “cuoricini” a contenuti social che non riguardano il pensiero o le simpatie politiche degli utenti, siano essi giornalisti o illustri sconosciuti cittadini – dediti alla promozione di una tesi specifica sulla strage di Via D’Amelio, i quali attribuiscono alla sola mafia la responsabilità delle stragi del ’92, e vedono nel dossier mafia-appalti dei ROS l’unico movente.
la Presidente della Commissione antimafia ha un ruolo di leadership e la sua opinione, manifestata pubblicamente, anche se espressa attraverso un semplice “like”, appare come un orientamento su una tesi specifica, ancor prima che i lavori della Commissione siano conclusi o abbiano raggiunto conclusioni condivise. Una sorta di approvazione preventiva, che compromette l’immagine di un organo che dovrebbe invece raccogliere elementi, ascoltare testimonianze e formulare giudizi sulla base di un’istruttoria completa e imparziale.
La Presidente non può, e non deve, dimenticare che la Commissione che presiede procede alle indagini ed agli esami con gli stessi poteri e le stesse limitazioni dell’autorità giudiziaria. Cosa accadrebbe se un giudice, nel pieno delle sue funzioni, in merito un processo ancorai n corso rispetto al quale ha un ruolo, sui social palesasse la propria propensione ad accogliere le richieste di una delle parti in causa? Domanda retorica ma che rede ben chiara l’idea di come certi comportamenti siano, quantomeno, inopportuni.
La vicenda Mori
Il fatto che le reazioni social della Colosimo si verifichino anche dopo i fatti che ha narrato Report e che vedono il generale Mario Mori come presunta ingerenza esterna nel condizionare i lavori della Commissione, rischia di alimentare il sospetto che la Commissione possa non essere pienamente neutrale o che abbia già un’agenda prestabilita.
I suoi “”like” a tesi che supportano l’idea che la responsabilità della strage sia “solo mafia” e il “dossier mafia-appalti” sia l’unico movente, appare come un tentativo di avallare una narrazione che, magari indirettamente, tende a minimizzare o ignorare altre piste, inclusa quella di eventuali collusioni o depistaggi.
La Presidente forse dimentica che rappresenta l’intera Commissione e, indirettamente, l’istituzione parlamentare, e di conseguenza ha l’obbligo di guidare un percorso di ricerca della verità che sia il più completo e oggettivo possibile, ascoltando tutte le voci e valutando tutte le prove.
Manifestare un orientamento preesistente va contro i principi di imparzialità e “super partes” che dovrebbero guidare un ruolo così delicato e cruciale nella ricerca della verità su vicende che hanno segnato profondamente la storia del nostro Paese, svilendo questo processo e trasformandolo in una mera conferma di tesi già sposate.
“Mulier Caesaris non fit suspecta etiam suspicione vacare debet”, direbbero gli antichi romani.
Un quisque de populo che non si lascia affascinare da vermigli “cuoricini”…
Gian J. Morici