Colonnello dei carabinieri Carmelo Canale, ex fedelissimo di Paolo Borsellino.
A tirare in ballo l’ufficiale dei carabinieri Carmelo Canale, all’epoca della strage di via D’Amelio ancora maresciallo, è il giornale “Il Dubbio” con un articolo a firma di Damiano Aliprandi.
Un articolo dal taglio politico con l’accusa al Partito Democratico, che inspiegabilmente andrebbe “in fibrillazione quando spunta in commissione Antimafia la questione del dossier mafia- appalti e alcune ombre riguardanti l’allora Procura di Palermo quando era in vita Paolo Borsellino”.
Aliprandi riporta le dichiarazioni di Ottaviano Del Turco, ex presidente della commissione Antimafia, a Radio Radicale, intervistato da Massimo Bordin il 17 novembre 2004.
“Nell’intervista – scrive Aliprandi – Del Turco ha rivelato alcuni retroscena riguardanti l’audizione del maresciallo Carmelo Canale”, raccontando di un’audizione, avvenuta il 3 settembre 1997, osteggiata all’interno della Commissione, dai membri del centrosinistra che si erano opposti temendo che le dichiarazioni di Canale potessero destabilizzare gli equilibri istituzionali della giustizia in Sicilia.
Va detto fin da subito che in merito alle stragi del ’92 si sono creati due fronti contrapposti, quello ‘trattativista’ che ha sempre puntato l’indice in direzione di una matrice esterna (forze dell’ordine infedeli, servizi segreti deviati ecc) non indagando mai a fondo su possibili responsabilità dei magistrati dell’epoca, e quella dei mafio/appaltisti, che attribuirebbero la responsabilità delle stragi a sola ‘Cosa nostra’, guardando in direzione di una magistratura incapace o infedele, escludendo tutti gli eventuali attori indicati dai ‘trattativisti’.
Un articolo – quello di Aliprandi – che mette a nudo solo parte di una complessa verità.
“L’ex presidente – riporta il quotidiano – ricorda come l’audizione si svolse in un’atmosfera tesissima, con Canale fatto entrare da un ingresso secondario, quasi clandestinamente. Ma non solo. Durante la testimonianza, Del Turco dovette intervenire per impedire che Canale facesse i nomi di due magistrati palermitani riferiti dalla moglie del maresciallo Antonino Lombardo, ritrovato senza vita nella sua auto nella caserma dei carabinieri di Palermo il 4 marzo 1995. Del Turco, come spiega lui stesso a Bordin, pregò Canale di non fare quei nomi. Il motivo? «Nel caso sarebbe stato obbligatorio, sulla base dell’articolo 11 del Codice di procedura penale, trasferire tutta la documentazione alla Procura di Caltanissetta che era competente per eventuali reati commessi dai magistrati di Palermo», ha spiegato”.
Le dichiarazioni di Canale, sono tutt’ora secretate in commissione Antimafia, e “forse è giunta l’ora di togliere i sigilli, soprattutto alla luce delle attuali indagini di Caltanissetta riguardanti l’operato di almeno due magistrati di Palermo di allora” – afferma il giornalista.
Non v’è dubbio che tanto questi atti, quanto altri documenti riguardanti il periodo stragista di ‘Cosa nostra’ andrebbero tutti desecretati.
“Quando fu trovato senza vita (del maresciallo Lombardo – ndr), gli trovarono accanto una lettera-testamento. Ma i figli hanno sempre sostenuto che la scrittura non fosse la sua. Ma soprattutto non hanno mai creduto al suicidio. Sappiamo che Lombardo aveva promesso ad Agnese Borsellino che avrebbe indagato sulla strage di Via D’Amelio. Cosa aveva scoperto? Canale, nel corso dell’audizione, avrebbe offerto spunti investigativi, addirittura stava per fare due nomi di magistrati riferiti dalla moglie di Lombardo” – riporta ancora il giornalista.
Affermazioni e conclusioni che dovrebbero indurre anche ad altre riflessioni e approfondimenti, valutando se non sia l caso il caso che ciò avvenga nelle sedi deputate.
Canale afferma che fu la moglie del maresciallo Antonino Lombardo a riferire il nome dei due magistrati.
Un aspetto noto almeno dal 2004, ovvero da venti anni.
Eppure, nel corso dell’intervista rilasciatami nell’agosto del 2020 da Rossella Lombardo – figlia del maresciallo ucciso – la stessa non fa alcun riferimento a questa vicenda, rispetto la quale quasi certamente avrà chiesto notizie alla madre, testimone di un fatto che avrebbe dovuto permettere di rivalutare lo strano caso del suicidio del maresciallo Lombardo.
“Papà – dichiarò Rossella Lombardo nel corso dell’intervista – provò una grandissima delusione per il fatto che l’Arma dei Carabinieri non prese pubblicamente le sue difese, visto che a lui non veniva data la possibilità di farlo, così come avevano impedito al Generale Federici che immediatamente aveva provato a chiamare in trasmissione e gli venne negata la possibilità di intervenire. In procura non c’era nulla contro mio padre, al contrario di quello che diceva Orlando… non fu certamente questa la causa della sua morte”.
Non mancarono neppure le critiche alla magistratura, rispetto la quale si chiese come fosse stato possibile che il PM che si trovò là quella sera avesse preso la decisione di non effettuare l’autopsia, così come ai vertici dell’Arma rispetto i quali disse:
“Del viaggio americano (Lombardo doveva portare Badalamenti dagli Stati Uniti in Italia) che non si fece più nulla, l’Arma disse che volevano tutelarlo, che non volevano sovraesporlo. Non lo mandi in America per non sovraesporlo e me lo mandi a portare il pentito Salvatore Cangemi… non mi sembra una cosa meno pericolosa… Secondo me papà si aspettava qualcos’altro dai suoi superiori. Stava vivendo un periodo caldo. Una settimana prima, qui a Terrasini, era stato ucciso il suo confidente.
Dietro la morte di mio padre, ci sono delle cose molto pesanti che riguardano alcuni pezzi dello Stato. Che questa morte sia stata voluta, ne sono pienamente convinta. Da chi, mi piacerebbe scoprirlo.
Che ci sia una responsabilità da parte di alcuni esponenti dell’Arma dei Carabinieri lo penso pure io, non è solo un pensiero di mio fratello. Mio padre per l’Arma ha dato la vita e per i suoi superiori avrebbe fatto qualsiasi cosa, perché mio padre era uno che diceva sempre ‘Comandi… Signorsì…’ e sono sicura che mio padre è morto dicendo ‘Comandi, Signorsì’. Papà aveva cercato un aiuto da parte dei tuoi superiori, un aiuto che non c’è stato. Una settimana prima di morire aveva chiesto di andare via per un po’ dalla Sicilia, perché aveva capito che il territorio era diventato pericoloso per la sua famiglia… Papà ne aveva parlato con noi, ci aveva chiesto se eravamo disposti ad andare per un po’ di tempo all’estero per fare calmare le acque… Noi ovviamente eravamo d’accordo, perché capivamo quello che stava succedendo. Dinanzi la sua richiesta ci fu un muro insormontabile, gli venne detto che lui serviva qui. Com’è possibile che non volete mandarlo in America per non esporlo, però mio padre vi chiede di andare via per un po’ di tempo e voi dite no, tu ci servi qui? Sapevano benissimo che qui il territorio scottava, che era stato ucciso il suo confidente… Per questo dico che in ogni caso ci sono delle responsabilità nella morte di mio padre. Un suo superiore, del quale non voglio fare il nome, che si riteneva molto amico di mio padre, anni fa venne casa mia e prima di andare via mi disse: ‘La verità, quella vera, vi farebbe ancora più male’. Mi dici una frase del genere ma non mi dici il perché mi sta dicendo questa frase? Di quale verità stai parlando?”
Importanti alcuni aspetti relativi a quanto dichiarato da Rossella Lombardo nel corso dell’intervista che dovrebbe essere letta con particolare attenzione:
“Solo uno lo sente, dice di sentire un tonfo – afferma Rossella Lombardo riferendosi alla sera della morte del padre – Dai verbali risulta che l’allora Capitano Ultimo dice di aver sentito un tonfo alle 22:30 e pensa che arrivi dall’ufficio dove si trovano le armi. Lo sente lui che si trova a 70 m di distanza e non il piantone che si trova a 20 m di distanza? L’auto di papà era un’auto di servizio, possibile che nessuno registrò l’ingresso di quell’auto, che nessuno lo vide? Non hanno visto entrare l’auto e hanno saputo della sua morte la mattina successiva. Uno dei piantoni parla di un’ambulanza che all’improvviso si presenta lì al Battaglione. Lui la ferma e chiede dove stia andando e cosa sia successo. L’autista risponde che c’è un uomo che sta male… che sono stati chiamati perché c’è un uomo che sta male. Il piantone fa entrare l’ambulanza che fa il giro del cortile ed esce immediatamente. Perché arrivò l’ambulanza, cosa ha fatto, chi era che stava male? Il Capitano Ultimo dichiara che un Brigadiere gli riferì che c’era un uomo in un’auto che stava male… Un uomo sta male e te ne vai? Non chiami aiuto, non chiami i soccorsi, non fai nulla? Non ti avvicini per vedere che cos’ha, per vedere chi è? Cosa hai visto per dire che c’è un uomo che sta male? Guarda caso, tutti vengono interrogati tranne questo Brigadiere. non c’è nessuna dichiarazione da parte sua… nessuno ritiene importante chiedere al Brigadiere cosa avesse visto, chi avesse visto, chi è che stava male…”
“Il Capitano Baudo, riferisce che incontra papà via Belgio, a Palermo, intorno alle 18:00 e di avergli detto di non andare assolutamente al Comando Legione e di non rispondere per nessun motivo al Generale Cagnazzo se lo avesse cercato per telefono. In Procura qualcuno ha chiesto al Capitano Baudo perché ha dichiarato questo? Perché il Capitano Baudo dice a mio padre di non andare assolutamente al Comando Legione e di non rispondere alle chiamate del Generale? Qualcuno se lo dovrebbe chiedere come mai… non mi sembra normale che tu consigli a mio padre di non andare al Comando e dopo poche ore viene trovato morto proprio lì…”
“Fino ai primi di gennaio del 95, abitavamo in caserma a Terrasini. poi andammo a stare in una casa nostra, perché papà aveva lasciato la stazione dei Carabinieri per andare al Ros. Papà prima di lasciare la caserma disse mia madre che voleva portarla all’archivio per farle vedere una cosa e così un giorno andarono in caserma e la porto nella stanza dell’archivio e disse a mia madre ‘Vedi questo faldone? Se mi succede qualcosa, qua troverai la verità sul perché mi hanno ammazzato…
Papà aveva una valigetta 24h che portava sempre con sé. Anche quella mattina uscì con la sua 24h che conteneva documenti dai quali non si staccava mai… ma, stranamente, con la morte di papà sparisce anche la sua 24h…la valigetta in macchina non si è trovata… Ci danno la notizia che mio padre è appena morto e ci perquisiscono casa… i documenti di mio padre spariscono…”
Di anomalie tante, di dubbi e di sospetti altrettanti.
Certezze poche.
Che Lombardo il 4 marzo del 1995 morì – e morì nella caserma dei carabinieri oggi è intitolata al generale Carlo Alberto Dalla Chiesa – è un dato certo.
Che il carabiniere Canale non riferì i nomi appresi (dalla vedova Lombardo) dei due magistrati, lo si dà per certo stando all’intervista rilasciata da Del Turco.
L’allora maresciallo Canale, essendo a conoscenza di notizie di reato tanto gravi da potere essere legati ad omicidi e forse anche alla strage di via D’Amelio, aveva il dovere di informarne l’Autorità Giudiziaria?
Perché passarono anni prima che ne riferisse in commissione Antimafia?
Che Rossella Lombardo di quanto riportato nell’articolo evidentemente non sapesse nulla, anche questo sembrerebbe un dato certo.
Che avanzasse dubbi sull’archiviazione da parte dei magistrati della morte del padre come suicidio, è un dato certo; come altrettanto certo è che proprio per la morte del padre avesse dubbi sul coinvolgimento di soggetti appartenenti all’Arma, quantomeno nell’immediatezza della scoperta del cadavere e nella conduzione delle indagini.
Il caso Lombardo è soltanto uno dei tanti misteri italiani nei quali di volta in volta si citano o si presentano testimoni a distanza di decenni da un fatto.
Spesso, su gravissimi fatti di sangue, si allunga l’ombra di appartenenti ai servizi di sicureza, che secondo le circostanze e i momenti compaiono o scompaiono dall’orizzonte mediatico/giudiziario, come nel caso della gestione dell’ex pentito Vincenzo Scarantino, come tratto dalle memorie del 2018 depositate dall’avvocato Fabio Trizzino, genero di Paolo Borsellino – delle quali parleremo successivamente – che riportano testualmente:
“Tale documento – confezionato secondo le modalità osmotiche descritte dal Dottor Contrada e coinvolgenti normalmente investigatori della Squadra Mobile diretta da A. La Barbera e personale dei Servizi di Sicurezza Democratica di stanza a Palermo – sia rivelatore della precisa volontà di consolidare lo sviamento delle indagini, iniziato subito con il sopralluogo del garage Orofino del 20 luglio 1992.”
Val la pena di ricordare la doppia veste di Arnaldo La Barbera, dirigente della Squadra Mobile di Palermo, nonché uomo ai vertici del Sisde.
Come mai fin dall’inizio i Servizi di Sicurezza si prestarono a consolidare lo sviamento delle indagini, e come mai i successori ai vertici del servizio lasciarono che per tanti anni ancora il depistaggio continuasse?
Gian J. Morici