Storie di mafia, traffici, interessi nazionali e internazionali, morti e 007. Ancora una volta ne torniamo a parlare con la criminalista Katia Sartori.
Katia, per ragioni professionali hai raccolto le dichiarazioni dell’ex collaboratore di giustizia Armando Palmeri. Incontri tra appartenenti ai servizi segreti e boss, omicidi, ma anche riferimenti a particolari rifiuti. Ti disse qualcosa Palmeri?
Per poter rispondere in maniera esaustiva a questa domanda, bisogna necessariamente fare un passo indietro.
Nel 1998, inizia la sua prima collaborazione. Palmeri parlerà subito ai magistrati di questi tre incontri avvenuti nella primavera del ’92, tra alcuni soggetti appartenenti ai servizi di sicurezza e il boss di Alcamo, Vincenzo Milazzo.
Questi incontri, come più volte dichiarato dallo stesso Palmeri, avevano la finalità di coinvolgere il boss alcamese alla linea strategica di destabilizzazione dello Stato. Lo stesso Milazzo, dopo uno di questi incontri, riferirà al Palmeri “Questa è la vera mafia, noi siamo dei semplici burattini al loro cospetto”.
Il 14 luglio del 1992, cinque giorni prima della strage di Via D’Amelio, Vincenzo Milazzo viene ucciso da Nino Gioè, proprio perché si era rifiutato di aderire a quella iniziativa e poco dopo, viene uccisa anche la sua fidanzata Antonella Bonomo.
Antonella pare che sia stata uccisa dai killer di Riina, per evitare che potesse rivelare allo zio Giacomo Quagliata, Generale dell’Arma dei Carabinieri transitato prima al SISMI e poi al SISDE, ciò di cui era a conoscenza. Interrogato dai magistrati nisseni anni dopo, lo zio di Antonella, ha però sempre negato di aver avuto contatti o rapporti con la nipote e il boss alcamese. Com’è possibile che Totò Riina sapesse dell’incarico delicatissimo e segreto ricoperto dallo zio di Antonella e allo stesso tempo non sapesse che tra loro non vi era alcun rapporto? Nino Gioè dirà a Palmeri che Milazzo è morto da uomo d’onore, ma che l’omicidio di Antonella Bonomo “si doveva fare”.
Nino Gioè è una figura chiave in diverse vicende di mafia, ma lo è anche per un suo passato dal quale è necessario partire per capire il contesto nel quale nascono taluni suoi rapporti.
Sul conto di Nino Gioè, in un’informativa dell’Arma dei Carabinieri del 6 agosto 1967, si legge che “offre fiducia per la sicurezza ed è ritenuto idoneo a disimpegnare particolari incarichi di natura riservata”. L’11 aprile del 1968 quindi giunge alla scuola militare di paracadutismo e successivamente, il 1° giugno del 1968, sarà assegnato al I Reggimento paracadutisti.
Palmeri mi disse che accompagnò più volte Gioè ad incontri che lui stesso definiva molto particolari, con uomini delle “istituzioni”. Si parla di incontri con un ufficiale che all’epoca forse era già transitato al SISMI. Incontri che per Palmeri, non sarebbero da leggere in chiave uomo di stato colluso con Gioè, ma come forse già un’attiva collaborazione dello stesso Gioè con i suoi referenti nei servizi. E che il Gioè potesse essere una sorta di “anello di collegamento” tra Cosa Nostra e i servizi segreti, lo rivelò anche il cugino, il collaboratore di giustizia Francesco Di Carlo.
Gioè anello di collegamento o collaboratore dei servizi? Credo che quella sua sia una figura ancora tutta da definire visto che potrebbe aver assunto entrambi i ruoli…
Nino Gioè, è certamente un personaggio centrale in tantissime vicende ed è uno tra i personaggi più controversi di quegli anni. Una volta arrestato, dopo aver comunicato l’intenzione di voler collaborare con la giustizia, venne ritrovato, nella notte tra il 28 e il 29 luglio 1993, nella sua cella impiccato, con modalità che destano sicuramente diverse perplessità. Palmeri ha sempre sostenuto infatti, che Nino Gioè venne “suicidato”.
Si conoscevano molto bene e Palmeri, era a conoscenza della volontà del Gioè di parlare con i magistrati, nel tentativo di fermare la macchina criminale che si era azionata.
Fu proprio Nino Gioè a parlare con Palmeri di un traffico di materiale radioattivo che avveniva nella zona, e questo e molto altro, sarebbero stati al centro delle dichiarazioni che il Gioè voleva rendere all’autorità giudiziaria. Gioè parlò a Palmeri di casse trasportate che contenevano materiale fissile nucleare e alcune di queste casse le vide anche Palmeri. A tal proposito, invito i più scettici ad aspettare eventuali conclusioni della magistratura requirente, prima di emettere una valutazione interpretativa personale.
A mio avviso ritengo sia necessario non parlare di servizi deviati ma di soggetti che appartengono a determinate Istituzioni e che possono aver commesso degli illeciti.
Dopo aver affrontato questo discorso, il Palmeri iniziò a parlarmi del fenomeno della “percolazione”, che altro non è che il passaggio lento di un liquido attraverso un solido filtrante. Un movimento quindi di una sostanza liquida che “cola” attraverso il suolo. Le falde acquifere di cui ha sempre parlato il Palmeri, dove sono? Nel sottosuolo.
Non fu soltanto Palmeri a parlare di rifiuti…
Palmeri in uno dei nostri incontri, mi fece sentire una conversazione tra lui e un boss della camorra del quale al momento, non posso rivelare il nome, avendone messo a conoscenza la magistratura. Parlavano di una riunione avvenuta a Nizza nel 1989 dove insieme a questo boss della Camorra e altri, vi era anche Michele Zaza che come è noto, era un camorrista affiliato a Cosa Nostra. Quello che Palmeri mi fece sentire era uno scambio di informazioni tra lui e questo boss, circa i contenuti disquisiti in quella specifica riunione del 1989. Si parlava sempre di falde acquifere e di avvelenamento.
Come ben sappiamo la Camorra ha trafficato rifiuti tossici e pericolosi. Le parole di Carmine Schiavone ad esempio hanno solide basi, riscontrabili in tantissimi atti giudiziari. Buona parte degli elementi che confermano la sua ricostruzione del traffico illecito, sono contenuti negli atti di un processo condotto dalla DDA di Napoli. Nel processo per la contaminazione delle falde acquifere campane, dove anche qui si parla di rifiuti probabilmente anche radioattivi, alcune figure di spicco erano state indicate per la prima volta da Carmine Schiavone già nei suoi interrogatori del 1993.
Nell’agosto 1994 invece un uomo dei Servizi segreti, alla Direzione del Sisde, riferirà di un presunto traffico internazionale di scorie radioattive in mano alla ‘ndrangheta. Si parla di un summit ad Africo tra Giuseppe Morabito e altri boss del luogo: in cambio di una partita di armi sarebbe giunta l’autorizzazione a scaricare in quella zona un quantitativo di scorie tossiche e presumibilmente anche radioattive che dovrebbero arrivare dalla Germania, contenute in bidoni metallici trasportati a mezzo di autotreni. Si parla anche di un presunto traffico di uranio rosso. Nell’ottobre del 1994 si dice che questi rifiuti tossico-radioattivi siano stati occultati lungo gli scavi effettuati per la realizzazione del metanodotto. Quindi anche qui, abbiamo rifiuti radioattivi interrati sottoterra. Anni dopo, molti anni dopo, emergerà come in alcune zone di Africo vi sia un’incidenza tumorale e di malattie neoplastiche insensata per quel territorio poiché privo di apparenti agenti inquinanti.
Quindi si, le dichiarazioni di Palmeri hanno un senso e sono analoghe a quelle di altre persone e pure appartenenti ad altre organizzazioni criminali.
Anche il boss Leonardo Messina ne aveva narrato al giudice Paolo Borsellino poco prima che questi venisse ucciso nell’attentato di via D’Amelio
Nel marzo del 1986, l’Enea arrivò alla miniera di Pasquasia per studiare il comportamento di un particolare tipo di argilla, presente in una galleria che collegava l’esterno con il sottosuolo, all’interno di un programma europeo di studio per lo smaltimento dei rifiuti radioattivi. La stessa Enea che diversi anni dopo, sarà oggetto della Commissione Parlamentare sul Ciclo dei Rifiutie di cui parlerò fra poco.
Il 30 giugno del 1992, Leonardo Messina rivelò al giudice Paolo Borsellino che Cosa Nostra usava le gallerie sotterranee della miniera di Pasquasia, per smaltire scorie nucleari. Quella di Leonardo Messina è una testimonianza diretta visto che, aveva lavorato come caposquadra in quella miniera dei Sali potassici al confine tra Enna e Caltanissetta, chiusa in fretta e furia proprio il 27 luglio 1992, otto giorni dopo la morte di Borsellino, nonostante l’attività di estrazione fosse a pieno regime.
Dopo la chiusura della miniera, nel periodo che va dal 1992 al 1999, Pasquasia non ha alcun servizio di vigilanza. Ci sono degli ex lavoratori che si turnano, ma il servizio di vigilanza ufficiale parte il giorno 1° novembre del 1999. In questo periodo vengono osservati degli strani movimenti notturni, tanto che partono diverse indagini: la Direzione Distrettuale Antimafia di Caltanissetta indaga sui rifiuti radioattivi (indagine posta sotto segreto), mentre la Guardia di finanza indaga sullo smaltimento illecito di rifiuti; infine, la Procura di Enna indaga sui rifiuti radioattivi. Questi movimenti restano un ulteriore enigma irrisolto. È sicuramente interessante sapere che l’Ente Minerario Siciliano si preoccuperà di saldare la porta di accesso al sottosuolo di Pasquasia nell’Aprile del 1996. Mentre in un casolare abbandonato vicino la miniera di Bosco Palo, in provincia di Caltanissetta, vengono ritrovate delle bolle di accompagnamento, con data 1994, usate per smaltire rifiuti.
ll 19 luglio 2016 la Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati ha rilasciato una specifica: “In merito alle passate vicende, innescate dalle propalazioni di un collaboratore di giustizia, su un presunto utilizzo risalente della ex miniera di Pasquasia, quale possibile sito di stoccaggio di rifiuti radioattivi, il sostituto procuratore di Enna, Augusto Francesco Rio, audito l’11 marzo 2015 dalla Commissione ha dichiarato che: ”non sono state acquisite, nel corso delle attività di indagine, notizie o spunti di interesse investigativo. Le stesse vicende sono state, negli anni passati, oggetto di attività di indagine della direzione distrettuale antimafia della procura della Repubblica di Caltanissetta, rimaste prive di obiettivi riscontri (…) Si è detto sempre che dentro Pasquasia vi fossero delle scorie radiattive all’interno della galleria dell’Enea scavata a metà degli anni ‘80, ma ciò non è stato mai verificato anche perché questa galleria è chiusa con un tappo in cemento e si inoltra nella viscere della terra.”
Non solo Pasquasia. Proprio in questi giorni mi sto interessando di una vicenda che riguarda la provincia di Agrigento. Una vecchia miniera abbandonata, con una galleria chiusa da detriti. Un’area dove da decenni il numero di neoplasie è elevatissimo, molto più alto che in tante aree industriali del Paese. Non più tardi di due giorni fa, ho seguito un interessante confronto sul format DarkSide. Argomento centrale dell’incontro, la morte dell’agente del Sismi Vincenzo Li Causi. Un omicidio avvenuto in Somalia nel 1993. Nel corso della puntata, si è anche parlato di rifiuti e di strane morti che sembrerebbero accomunate da filo conduttore che tra le altre possibili motivazioni porterebbe a un traffico internazionale di rifiuti radioattivi…
Nel marzo del 1994 inizia il viaggio della nave Korabi dal porto di Durazzo. Il carico ufficialmente è denunciato come rottami di rame. La Capitaneria di Porto di Palermo effettua i rilievi per valutare eventuali tracce di radioattività: il controllo dà esito positivo, e il carico di radioattività risulta superiore ai limiti previsti dalla legge. Viene negato alla nave il permesso di scaricare il proprio carico e di entrare nel porto di Palermo. Il 9 marzo la nave riparte da Palermo con destinazione Durazzo, ma il 10 marzo, la nave compare nelle acque di Pentimele, nei pressi di Reggio Calabria, senza presentare tracce di radioattività ai nuovi controlli delle autorità marittime.
Particolare inquietante, che porta il sostituto procuratore Francesco Neri ad aprire un fascicolo d’indagine ipotizzando la possibilità che l’imbarcazione si fosse disfatta del carico nel tratto di mare tra Palermo e la città calabrese.
La complessità dell’indagine porta alla costituzione di un piccolo nucleo investigativo composto inizialmente dai marescialli dell’Arma dei carabinieri Nicolò Moschittae Domenico Scimone e impreziosito, dai primi mesi del 1995, dal capitano Natale De Grazia, in servizio alla Capitaneria di porto di Reggio Calabria. Grazie allo scambio di informazioni il pool reggino individuò dapprima sette imbarcazioniper la maggior parte affondate a largo delle coste calabresi. Ma il quadro complessivo risulterà composto da 23 navi affondate tra l’Italia e le acque internazionali. Secondo quanto riporta un documento declassificato il 30 gennaio 2017, in quello stesso periodo il Sismi sarebbe stato a conoscenza di un numero notevolmente maggiore di imbarcazioni affondate in circostanze sospette.
Il 3 aprile 1995 sulla scrivania di Neri arriva un’informativa firmata dal colonnello Rino Martini, capo del Nucleo investigativo del corpo forestale di Brescia, riguardante la holding Oceanic Disposal Management, che si occupava dell’inabissamento in mare di rifiuti radioattivi. Vertice era l’austriaco Manfred Convelexius, mentre referente italiano era appunto l’imprenditore originario di Busto Arsizio e titolare della Comerio industry limited con sede a Malta. Le attività di Comerio vengono attenzionate dalle procure di Reggio e Matera che nel maggio 1995 disposero una perquisizione nella sua abitazione in Lombardia da cui risultò, nelle parole della procura “uno spaccato inquietante in merito alla sua attività e ai suoi interessi nello smaltimento di rifiuti radioattivi, alle connessioni tra il traffico di armi e di rifiuti”.
Nonostante la mole di elementi raccolti, l’indagine si concluse con l’archiviazione nei confronti di Comerio e degli altri indagati. Rimane però il fatto che, tra gli altri, a passare al setaccio la documentazione sequestrata fu proprio Natale De Grazia che insieme a Moschitta firmò l’informativa del 25 maggio 1995 sulla base della quale la Procura iscrisse l’imprenditore nel registro delle notizie di reato.
La figura di Natale De Grazia è cruciale. Tra il 12 e il 13 dicembre 1995, durante la sua ultima missione, il capitano perde la vita in circostanze non del tutto chiare. Complici, in tal senso, la contraddittorietà delle perizie effettuate sulla sua salma e particolari che ancora oggi stendono un velo di mistero su quella notte. Dopo la morte di De Grazia, vi fu lo sfaldamento del pool e della stessa inchiesta. Per la Commissione Pecorella, De Grazia, il procuratore Neri e le altre forze che collaborarono a quelle indagini ebbero “la pretesa di entrare in un mondo inaccessibile”. Ovvero quello del traffico internazionale dei rifiuti radioattivi. Per non parlare poi della Somalia… e dei morti eccellenti che si portò dietro.
Gli interessi sono immensi. Un “gioco” internazionale, in cui, ad esempio, il giocatore italiano sarebbe stato rappresentato dalle due principali organizzazioni criminali: Cosa Nostra e ‘Ndrangheta. La scelta di Palermo come nel caso della nave Korabi, quale punto di riferimento, non è occasionale, ma mirata. Solo la mafia o le altre organizzazioni criminali operanti al Sud potevano esserne i garanti.
Ci sono percorsi che rimarranno ancora segreti. Altri intrecci pericolosi invece sono stati parzialmente ricostruiti. Ad esempio, qualche anno fa, dalla relazione della Commissione Parlamentare sul Ciclo dei Rifiuti, firmata da Gaetano Pecorella e Alessandro Bratti. La gestione, ad esempio, dei centri Enea di Rotondella e Saluggia (la stessa Enea delle sperimentazioni nella miniera di Pasquasia) verrà tratteggiata da un funzionario dell’ente, Carlo Giglio.
Secondo il funzionario, la registrazione degli scarti nucleari era truccata. Per rendere incontrollabile il movimento in entrata e in uscita di tutto il materiale radioattivo che doveva essere gestito presso tutti gli impianti nucleari. Giglio parla poi di una presunta attività clandestina dell’Enea finalizzata a fornire tecnologia e materiale nucleare all’Iraq(12.000 kg di uranio), delle reazioni del governo americano e dei servizi segreti israeliani. Le dichiarazioni di Giglio agli atti della Commissione riguardano una presunta attività di fornitura da parte dell’Italia all’Iraq di armi da guerra e di tecnologie nucleari.
“Altro aspetto inquietante del traffico illecito di materiale radioattivo concerne lo smaltimento effettuato, con la supervisione dell’Enea, da parte dell’Enel di rifiuti radioattivi la cui destinazione è a tutt’oggi ignota. Mentre la conferma che la Calabria è stata utilizzata come deposito illecito di materiale radioattivo è data dalla scoperta di una discarica abusiva di un tale Pizzimenti”, si legge agli atti della Commissione Ecomafie.
L’ipotesi investigativa paventa l’esistenza di un traffico illecito di rifiuti radioattivi (negli anni ’80/’90) destinati ai paesi del Terzo Mondo, in particolare Iraq, Pakistan e Libia, per la produzione di ordigni atomici.
Un ente, l’Enea, che, sempre secondo le dichiarazioni rilasciate da Giglio ai magistrati Francesco Neri e Nicola Maria Pace, sarebbe stato infiltrato dalla massoneria: “Proprio per il tramite della massoneria deviata i traffici illeciti del materiale nucleare e strategico o quelli relativi allo smaltimento in mare possono essere attuati nell’ambito dell’Ente ai massimi livelli e con la copertura più ferrea compresa quella con i servizi deviati, da sempre e notoriamente coinvolti in detti traffici”. Proprio partendo dalle dichiarazioni di Giglio, il procuratore di Matera, Nicola Maria Pace, farà acquisire una serie di documenti. Da cui risulterà che l’Italia, nel 1978, aveva ceduto all’Iraq due reattori plutonigeni Cirene. E accertando, poi, che presso la centrale Enea di Rotondella vi era la presenza continuativa di personale iracheno.
Per il momento termina qui la nostra intervista alla criminalista Sartori.
La lunga scia dei morti sembra però portare ben oltre le vicende del traffico e dello smaltimento dei rifiuti, che vedono protagoniste le mafie.
La Korabi, la nave bloccata da Francesco Neri e Natale De Grazia, presentava radioattività di tipo alfa.
Tutte le Commissioni che hanno indagato sui rifiuti tossici e scorie di vario genere, non hanno mai posto in evidenza quello che le fonti dicevano a proposito della radioattività di tipo alfa – quella del plutonio – e dunque di un probabile traffico di materiali nucleari.
Un affare internazionale da miliardi di dollari, con implicazioni di carattere geopolitico, che collega la Somalia alla provincia di Trapani, al Centro Skorpione, base “segreta” di Gladio.
Diverse morti, infatti, riguardano appartenenti ai servizi segreti italiani, in qualche modo collegati al Centro Skorpione e alla Somalia.
Cosa avevano in comune Vincenzo Li Causi, il tenente colonnello dell’Esercito, Mario Ferraro e altri, se non l’appartenenza al servizio segreto militare, e forse l’aver scoperto qualcosa che ne decretò la morte?
Ferraro, in una lettera-memoria aveva denunciato un conflitto interno al Sismi, palesando il timore di essere ucciso.
Una scia di morti legati da un invisibile filo a quella di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin.
Anche Ilaria Alpi, infatti, indagava sul traffico di rifiuti e aveva rapporti con Vincenzo Li Causi e un altro sottufficiale a lui vicino, anch’egli poi ucciso.
Lo stesso colonnello Mario Ferraro – secondo una fonte allora interna ai servizi – si era interessato al traffico di rifiuti.
Traffico di rifiuti tossici pericolosi, o materiale nucleare?
Cosa accomuna queste vicende alla strage di Capaci?
Ne parleremo nei prossimi articoli.
Gian J. Morici
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