È una delle frasi estrapolate dal dialogo tra la criminalista Katia Sartori e Armando Palmeri, ex collaboratore di giustizia, che fa riferimento a un uomo in divisa. Ne parliamo con la Dottoressa Sartori:
Katia, da quanto tempo ti interessi di fatti di mafia?
“Nel 1992, avevo solo sette anni. Eppure, nonostante la tenera età, ho un ricordo molto nitido di dove fossi e che cosa stessi facendo, sia il 23 maggio che il 19 luglio del 1992. Ricordo che le immagini trasmesse in televisione del cratere di Capaci, mi scossero profondamente, ma fu la strage di Via D’Amelio, la vicenda che più mi turbò. In televisione subito dopo, avevo visto un uomo: aveva uno sguardo disperato, quasi rassegnato e le sue mani erano aggrappate a quelle di un giornalista, e diceva – è finito tutto-. È ineffabile la sensazione che ho provato sentendo quelle parole.
Da quel momento, ho sempre mostrato un particolare interesse per i fatti di mafia, pur sentendomi tante volte quasi fuori luogo, in quanto ai miei coetanei non interessavano affatto queste vicende. Ricordo che all’esame di Stato fui l’unica tra gli alunni a presentare una tesi proprio su Giovanni Falcone e Paolo Borsellino.
Quindi mi sono sempre occupata di fatti di mafia. Prima per diletto e poi per professione. Il bagaglio culturale acquisito in questi anni, mi ha permesso di accettare incarichi con discreti gradi di difficoltà per fatti appunto, correlati alla mafia”.
Nella precedente intervista (prima parte – seconda parte) hai raccontato ai nostri lettori di esserti occupata del caso Vaccarino infiltrato per conto del Sisde, diretto all’epoca dal Generale Mario Mori, volto alla cattura dell’ormai ex latitante Matteo Messina Denaro. Tra le altre tue attività, ti sei anche interessata della misteriosa morte del Maresciallo Lombardo avvenuta nel ’95, che pare non si sia suicidato ma sia stato ucciso. Rispetto i casi che ti hanno vista professionalmente impegnata, puoi riferirci qualcosa?
“Per quanto riguarda il caso del Maresciallo Lombardo, posso solo dire che non rinnego le conclusioni alla quale sono giunta io che sono analoghe a quelle di altri consulenti. Il maresciallo Lombardo non si è suicidato e per quanto di mia conoscenza ho già riferito ai competenti uffici. Spero che la famiglia che da anni lotta per avere la verità, abbia finalmente giustizia. Per quanto riguarda gli altri casi di cui mi sto occupando, essendoci delle indagini delicate in corso, preferirei non parlare al momento”.
Hai conosciuto Armando Palmeri, l’ex collaboratore di giustizia che avrebbe dovuto testimoniare in un processo a Caltanissetta. Chi era?
“Il Sig. Palmeri era un collaboratore di giustizia e guai a chiamarlo “pentito”, in quanto, come più volte da lui stesso dichiarato, non aveva alcunché di cui pentirsi, poiché durante la sua esistenza, aveva salvato molte vite. Un uomo che mai è stato affiliato ritualmente, ma che è stato l’autista e amico intimo di Vincenzo Milazzo, capomafia di Alcamo per circa 30 mesi. Per anni il Sig. Palmeri ha collaborato con la giustizia entrando nel programma di protezione per ben due volte: La prima volta dal 1998 al 2013 e la seconda volta dal 2019. Ha deposto in diversi processi: nel 2018 nel processo ‘ndrangheta stragista, nel 2019 nel processo contro Matteo Messina Denaro quale mandante delle stragi di Capaci e Via D’Amelio e nel 2020, durante il processo d’Appello Bagarella e altri (presunta trattativa Stato-Mafia). In tutte le sue deposizioni riferisce quanto già detto all’autorità giudiziaria nel ’98, ovvero quanto accaduto nella primavera del ’92, tra il boss Vincenzo Milazzo e alcuni soggetti appartenenti ai servizi di sicurezza. Parla soprattutto di incontri, tre nello specifico, avvenuti temporalmente tra febbraio e maggio del 1992. Incontri che, avrebbero avuto lo scopo, di convincere il Boss Alcamese a compiere atti di destabilizzazione allo Stato. Negli ultimi anni, il Sig. Palmeri si stava battendo, affinché venisse riconosciuta a tutti gli effetti, quella che lui definiva “Mafia Impropria”.
Come è nato il contatto con Palmeri?
“Direi che posso ritenermi più di un semplice contatto. Sono stata nominata dal Sig. Palmeri quale suo consulente tecnico. Mi stavo occupando insieme a lui e ad altri, di redigere una relazione che sarebbe stata poi portata all’attenzione della commissione antimafia. Fu il sig. Palmeri a contattarmi a fine 2022. Diffidente, probabilmente un po’ per natura e un po’ per spirito di sopravvivenza, non mi rivelò subito la sua identità. Sapevo che era un collaboratore di giustizia, sapevo del suo passato, poiché avevo letto il suo memoriale scritto con Stefano Santoro ma non gli dissi nulla. Come con tutti i collaboratori di giustizia, non si può porre in essere un vero e proprio atto di fede. Trattai quindi i racconti del Sig. Palmeri all’inizio con estrema cautela e con il beneficio del dubbio. Poi però ad ogni racconto, portava sempre dei riscontri oggettivi e così il rapporto, divenne sempre più fiduciario. I nostri dialoghi divenuti giornalieri diventarono una vera e propria messa alla prova. Credo che fu proprio in quel momento che mi conquistai la sua fiducia. Ricordo che riconobbe la mia preparazione in merito e quindi mi chiese la disponibilità ad incontrarlo e ad accettare l’incarico quale consulente tecnico.
Mi mise ovviamente in guardia, da tutto ciò che poteva accadere con l’attività attuata. Mi chiese più volte se me la sentivo di affrontare certe tematiche, poiché certi temi, avevano lasciato una lunga scia di cadaveri nel corso di questi anni. E ad un certo punto, cercò anche di dissuadermi dal farlo: credo che cercasse soprattutto di tutelarmi. Ma ormai avevo iniziato il percorso e certi percorsi non prevedono che si torni indietro. Mi mise quindi in contatto con il suo avvocato e dopo qualche giorno lo incontrai, qui in Italia. A quell’incontro eravamo presenti ufficialmente io e lui, ma non eravamo certo da “soli”. Si aggiravano strani personaggi dotati di borsello e dal fare guardingo.
Una delle prime cose che mi disse il Sig. Palmeri è che nel memoriale da lui scritto e pubblicato, vi fosse in realtà soltanto una minima parte di ciò che realmente sapeva. Parlammo di quei famosi incontri avvenuti nel ’92 tra il Milazzo e gli uomini dei servizi segreti. Parlammo di quando cercò di liberare il piccolo Di Matteo, della strage di Capaci, di Via D’Amelio, dei Georgofili, dell’attentato all’Addaura, dell’omicidio Agostino, di Giovanni Aiello Alias Faccia da mostro, del traffico di armi e dei traffici di sostanze tossiche.
Parlammo anche del dossier mafia appalti che secondo Armando non era tutto. Secondo lui c’entrava ma non era da ritenersi l’unica causa. Forse il punto di partenza e mi fece di conseguenza qualche considerazione in merito. Mi disse che le mafie avevano e hanno interessi comuni e che uomini appartenenti a una delle organizzazioni, spesso ricevono il battesimo anche di altre. Mi fece sentire alcuni colloqui avuti con un boss della Camorra. Si parlava di riunioni avvenute nell’89. Mi parlò di Michele Zaza quale camorrista affiliato a Cosa Nostra”.
«Non chiamatela camorra. È Cosa nostra». È una dichiarazione di Franco Di Carlo cui Totò Riina aveva affidato, insieme ad altri fedelissimi, il delicato compito di gestire, negli anni Settanta, l’espansione dell’organizzazione siciliana sul continente.
Di Carlo, cugino di Nino Gioè, morto “suicida” in carcere, ha affermato di essere stato più volte avvicinato da uomini dei servizi segreti, tra i quali Mario Ferraro, ufficiale del Sismi, morto suicida impiccandosi al portasciugamani, alto poco più di un metro e 20.
Chi era Gioè e che rapporti aveva con Armando?
“Nino Gioè, rispettava il sig. Palmeri e come da lui stesso più volte dichiarato “perorava la sua causa”. Erano amici e si conoscevano bene. Con il Sig. Palmeri parlammo della figura centrale assunta dal Gioè in diverse circostanze e anche della sua “strana” morte. Il Sig. Palmeri era convinto che il suo amico Gioè fosse stato suicidato e me ne raccontò le motivazioni”.
Della morte di Gioè cosa ne pensi?
“Ritengo che sostenere che la morte di Gioè sia conseguenza di un comportamento anticonservativo posto in essere dallo stesso, sia imbarazzante. Basta analizzare le foto scattate quella notte nella cella numero 3 della sezione “B” del reparto “G7” del carcere di Rebibbia e leggere i verbali con le ricostruzioni degli agenti su ciò che avvenne quella notte. Gioè si sarebbe ucciso con un rudimentale cappio fatto con i lacci delle scarpe da ginnastica; quindi, si sarebbe poi appeso alla grata della finestra. Dalle immagini si evince che sotto la grata della finestra vi era un tavolo, composto e apparecchiato, senza nulla di rovesciato, che rende molto inverosimile che il corpo sia rimasto sospeso proprio in quel punto.
I segni sul collo poi, non sembrano dirigersi verso l’osso occipitale del cranio, come sarebbe lecito aspettarsi, ma verso il basso. Il che fa più pensare ad una corda tirata da un soggetto terzo posto alle spalle del Gioè. Ed anche l’autopsia fornisce diversi elementi che andrebbero chiariti. Nella relazione che fu disposta otto giorni dopo il decesso di Gioè, si rileva che il detenuto aveva due costole fratturate, la sesta e la settima, nella parte destra. Ma la cosa più assurda è il dato che le fratture sarebbero state provocate da un massaggio cardiaco esterno quando il massaggio cardiaco, a quei tempi, già si eseguiva all’altezza dello sterno. Si parla di escoriazioni sulla fronte, ed una ecchimosi bluastra al sopracciglio. Senza considerare che l’osso ioide non era fratturato. Davvero si può credere che si sia ucciso?
Pietro Riggio in una sua deposizione, ad esempio, ha ben spiegato ciò che avveniva nelle carceri. Ha parlato del c.d. metodo “della scala”. In poche parole – ha spiegato – che per far parlare un detenuto o minacciarlo, questi squadroni che si appropriavano delle sezioni, mettevano una corda al collo del detenuto e tiravano dal basso verso l’alto e non il contrario, come si può pensare quando il detenuto si impicca e va dall’alto verso il basso. E per non legargli le mani e lasciargli dei segni, usavano dare dei pugni nel costato in modo che il detenuto, o chi si trovava in quei frangenti, non potesse tenersi per divincolarsi nella corda, perché tendeva a pararsi nel costato mentre loro tiravano con la corda”.
Palmeri – lo dice nel libro – riferisce alla magistratura di incontri tra uomini dei servizi segreti e il boss Vincenzo Milazzo, perché questi prendesse parte a un progetto che aveva come fine la destabilizzazione della democrazia nel nostro Paese. Afferma di conoscere i nomi degli 007 e di averli dati alla Procura.
“Posso confermarlo. Già nel 1998, con l’inizio della sua prima collaborazione Palmeri inizia a parlare di questi incontri e dei soggetti che parteciparono. Riferisce di tre incontri, avvenuti tra febbraio e maggio del 1992 in tre diverse ville.
Vale la pena sottolineare come in quel periodo il Milazzo fosse latitante e che lo stesso disponeva liberamente delle chiavi di quelle ville. Riferisce le generalità dei proprietari degli immobili quindi dell’imprenditore Alcamese, del costruttore Palermitano e di un politico.
Riferisce anche il nome di colui che fece da “garante” durante quegli incontri. Un medico primario prima e senatore poi, di Alcamo. Il Sig. Palmeri il “garante” lo conosceva sin dalla sua adolescenza, in quanto frequentava lo stesso circolo culturale del padre del Sig. Palmeri. Per questo motivo lo riconoscerà durante questi incontri e ne darà le generalità all’autorità giudiziaria. Per i soggetti appartenenti ai servizi invece, al Sig. Palmeri furono mostrate alcune fotografie ma lui non riconobbe nessuno in quelle immagini. Solo successivamente, riuscirà ad individuare e a sapere le generalità dei due soggetti appartenenti ai servizi segreti e ne informerà l’autorità giudiziaria.
Infatti, all’interno del memoriale, pur non fornendone chiaramente le generalità, descrive le fattezze di uno di questi soggetti e ne cita addirittura la posizione lavorativa nel momento storico.”
Armando Palmeri aveva paura di dover testimoniare a Caltanissetta, temeva di essere ucciso… Tu non hai paura?
“Il Sig. Palmeri non voleva partecipare personalmente al confronto in quanto aveva paura per la sua sicurezza. Aveva richiesto di poter partecipare da remoto, da un sito sicuro. Non voleva mostrare in alcun modo il suo volto. Al diniego da parte del Pubblico Ministero, che non ravvisava nessun pericolo per la sua sicurezza, decise di rinunciarvi. Quello che ci tengo a precisare, è che la rinuncia a comparire al confronto, è stata depositata solo il giorno prima della morte del Palmeri.
Quando seppi della sua morte, contestualmente seppi dell’apertura di un fascicolo da parte della Procura di Palermo per omicidio. Mi rinchiusi in casa per tre giorni in quanto, oltre a tantissime altre informazioni, ero a conoscenza delle vicende che riguardavano i soggetti appartenenti ai servizi. Non avevo mai parlato del mio lavoro svolto con il Sig. Palmeri a nessuno. Come da sua richiesta non lo dissi nemmeno agli amici che avevamo in comune. La questione era davvero molto delicata, e nemmeno i miei familiari conoscevano l’ambito, le argomentazioni e il fatto che stavo lavorando insieme ad altri e al Sig. Palmeri alla stesura di una relazione da portare all’attenzione della commissione antimafia. Dopo qualche giorno, decisi di prendere un aereo e di volare in Sicilia. Portai all’attenzione dell’autorità giudiziaria competente, tutto ciò di cui ero a conoscenza, documentazione compresa. Considero il mio gesto sicuramente un atto di coraggio ma soprattutto di responsabilità”.
Palmeri ti disse chi fossero questi soggetti?
“Essendo tutto al vaglio della magistratura non posso entrare nei dettagli. Come ti ho detto prima, tutto ciò di cui ero e sono a conoscenza – secondo quanto riferitomi da Palmeri – compreso i nomi le vicende di persone appartenenti ai servizi segreti, è custodito nelle tante pagine depositate all’autorità giudiziaria competente alla quale non ho nascosto nulla, insieme al mio telefonino e un dispositivo di registrazione. Peraltro non ho neppure trattenuto copie o prove documentali di quanto trasmesso alla competente Autorità Giudiziaria. Non avrebbe alcun senso ora farmi del male…”
Torniamo ai servizi, Palmeri parla anche di Agostino, della lista delle taglie…
“Si, mi parla di Agostino e delle taglie sui latitanti e che ne era a conoscenza. Ma non gradiva tanto l’argomento taglie in quanto lui provava ribrezzo per quel tipo di strategie. Nell’ ultimo periodo però, i nostri discorsi vertevano sui grandi traffici, di armi ma anche di rifiuti tossici, alle cave, alle miniere e mi parlava in continuazione della percolazione. Avevo già sentito parlare di traffici di rifiuti tossici e di cave e confrontai le dichiarazioni del Sig. Palmeri con quelle di Leonardo Messina. Un collaboratore che il 30 giugno 1992 parlò a Borsellino del traffico dei rifiuti tossici nella miniera di Pasquasia. La stessa che solo dopo otto giorni dalla strage di Via D’Amelio, venne chiusa e incementata in fretta e furia.
In uno dei messaggi che mi mandò e che ti posso leggere, il Sig. Palmeri, scrisse: -È documentato di quelli che si calavano con le corde…. giustificarono con… esercitazioni militari….americane. Una storia molto lunga…e pericolosa…materiale fissile…”
Terminiamo qui la prima parte della nostra intervista. Tanti gli interrogativi, a partire dalla figura di Gioè, dei suoi rapporti e la differenza che passa tra gli incontri avvenuti per quella fratellanza che accomuna i paracadutisti, generalmente tra persone ormai in congedo, e i presunti incontri tra Gioè ed un ufficiale che era ancora in servizio nella Folgore o addirittura già transitato al Sismi.
Incontri che non sarebbero da leggere in chiave uomo di Stato colluso con Gioè, ma forse come una già attiva collaborazione dello stesso Gioè con i suoi referenti nei servizi.
Ma cosa c’entrano i servizi segreti in tutte queste storie?
Forse è necessario ripartire dai tempi del SID, fino ad arrivare ai giorni nostri.
Storie di ombre, traffici e una lunga scia di morti, molti dei quali proprio appartenenti ai servizi.
Il primo gennaio 2023, Palmeri anticipa alla Sartori che sta per avvenire qualcosa di molto importante. A distanza di poche settimane, Matteo Messina Denaro, dopo una trentennale latitanza, verrà arrestato…
Gian J. Morici