Sono trascorsi trentuno anni da quando Leonardo Messina, ex capo della famiglia mafiosa di San Cataldo, venne sentito in audizione dalla Commissione Parlamentare Antimafia, rivelando l’esistenza di un piano sovversivo di Cosa Nostra in accordo con forze politiche, e dei rapporti dallo stesso intrattenuti con agenti del SISDE.
Leonardo Messina il 30 giugno del 1992 era stato sentito anche dal giudice Paolo Borsellino, al quale aveva rilasciato importanti dichiarazioni in merito agli interessi e ai traffici di Cosa Nostra.
Tra le tante dichiarazioni del collaboratore di giustizia, anche quelle in merito ai premi che i nostri servizi di sicurezza sarebbero stati disposti a pagare a chi avesse dato indicazioni utili alla cattura di latitanti.
Un argomento di recente tornato alla ribalta a proposito del commissariato San Lorenzo di Palermo, dove – secondo quanto sostenuto da pubblici ministeri – si trovava un elenco con le taglie sui latitanti, tra le quali quella di 1,5 miliardi per la cattura di Totò Riina, all’epoca latitante.
Il commissariato dove aveva lavorato anche l’agente Antonino Agostino – sempre secondo quanto ipotizzato dai magistrati – era sede di uno strano connubio tra polizia giudiziaria e uomini del SISDE.
Il 4 dicembre 1992, Leonardo Messina, soprannominato “Narduzzo”, dinanzi la Commissione Antimafia racconta della sua crisi morale, del suo timore di essere ucciso, e dei suoi rapporti con i servizi segreti ai quali intorno al 1986 era deciso a vendere i vertici di Cosa Nostra.
“Gli uomini che ho incontrato camminano con una tabella in cui ogni latitante ha un prezzo” – disse a proposito degli agenti del SISDE con cui aveva avuto rapporti.
“Mi dissero che se gli avessi fatto prendere Riina mi avrebbero dato ottocento milioni, per Madonia quattrocento milioni, per Scarpuzzedda seicento milioni e via dicendo”.
Che il SISDE pagasse non era dunque un mistero, quello che rimane un mistero è il presunto mancato incontro con un capitano, rispetto al quale Narduzzo dice di aver “chiesto, tramite altre persone, di contattare quel capitano, ma quest’ultimo non è voluto venire ed io non potevo andare in caserma.
Lo feci invitare a casa mia a prendere un caffè per vedere di cosa aveva bisogno: ero pronto a dargli informazioni, ma non è venuto. Se lui fosse venuto molte cose in Sicilia non sarebbero successe, molti poliziotti o magistrati non sarebbero morti perché quegli uomini sarebbero stati arrestati”.
Il capitano non raccolse l’invito, e sfumò così la possibilità – secondo quanto riferito da Messina – di arrestare il gotha di Cosa Nostra che si era riunito in un luogo da lui conosciuto.
Fatto uscire Messina, la Commissione si fermò a valutare le domande da porre, a partire dai rapporti di Messina con il SISDE, all’affermazione che Messina aveva fatto in merito all’epoca della presenza di Sindona in Sicilia quando vi fu un controllo dei servizi, fino ad arrivare al rapporto di mediazione fra imprenditori e politici ai fini degli appalti ed il ruolo di Cosa nostra.
È Marco Taradash a fare un’osservazione sull’audizione avuta con i giudici di Caltanissetta che nello spiegare e valorizzare molto il ruolo del pentito, avrebbero sottaciuto sui suoi contatti con il SISDE.
“Francamente – prosegue Taradash – questo non è un elemento che si può sottacere ad una Commissione parlamentare che sta conducendo un’inchiesta. Sappiamo dunque che dal 1986 Messina è in contatto con il SISDE e che in quell’anno ha dato l’informazione che Scarpuzzedda era morto; inoltre nel marzo 1991 avrebbe comunicato che vi sarebbe stata un’importante riunione del governo mondiale, ma il SISDE per qualche motivo non ha preso in considerazione tale notizia. Vi è dunque un rapporto di collaborazione tra il SISDE e questo signore, che bisognerebbe approfondire dal punto di vista dei contatti e delle vacanze (con chi ha trascorso le vacanze, anche se a un certo punto ha precisato che non si trattava proprio di vacanze?); inoltre vorrei sapere dove è andato, dove è stato portato e che frequentazioni ha avuto. Immagino infatti che dal 1986 ad oggi (dicembre 1992 – ndr) Messina, che è un capo decina, abbia partecipato ad una serie di attività criminali e di omicidi di cui, evidentemente, i servizi segreti erano al corrente; pertanto è stato fatto un doppio gioco da lui, dai servizi segreti o non so da chi altro. Fatto sta che questo non ce l’hanno detto i magistrati, ma ce l’ha detto lui e vorremmo capirne qualcosa di più, anche perché dal 1986 al 1992 la mafia non è certo rimasta inoperosa”.
Sempre a proposito dei servizi segreti, appare di non poco conto quanto affermato da Ferdinando Imposimato in merito ai “rapporti con l’ufficiale del SISDE di cui ci ha parlato Messina, poiché sappiamo che il vertice di tale organismo era massone (mi riferisco a Santovito, a Miceli e a tutti gli altri), vorrei sapere se egli ne fosse o meno al corrente”.
Un altro aspetto, forse sottovalutato, riguarda la figura di Salvo Lima, indicato come colui che si interessava degli appalti in ambito minerario.
E proprio sulle miniere Messina e altri, come Sinacori e Schiavone, parlarono di rifiuti pericolosi e scorie radioattive.
Messina, in particolare, ne parla riferendosi a quella di Pasquasia, dove l’allora capofamiglia di Cosa Nostra aveva lavorato.
È nel momento in cui parla di commistioni tra politica, massoneria e servizi segreti, che Narduzzo fa delle dichiarazioni che verranno poi meglio attenzionate a oltre venti anni di distanza.
I rapporti tra mafia e logge, all’ombra della copertura di presunti appartenenti ai servizi segreti.
Un patto tra mafia e camorra che stando a Leonardo Messina fanno parte di un unico sistema – così come sostenne anche il casalese Schiavone – dal quale non sono estranei il mondo della politica, quello dell’imprenditoria, quello della massoneria e quello giudiziario.
Un mondo anche a stelle e strisce, visto che in una discarica abusiva riconducibile a Santapaola venivano scaricati anche i rifiuti della base NATO di Sigonella.
Per non parlare dei due incidenti aerei avvenuti nel luglio 1984 e nel giugno del 1985, quando due aerei americani in territorio di Lentini si schiantarono al suolo.
Da allora i bambini di quelle contrade muoiono di leucemia molto più che in altre parti d’Italia.
Cosa c’era a bordo di quegli aerei?
Non lo sapremo mai, le aree rimasero impenetrabili impedendo l’accesso alle Forze dell’Ordine e sottraendo le inchieste alla magistratura italiana.
E i nostri servizi di sicurezza non vedevano nulla?
Evidentemente no, così come non si accorgevano di come Cosa Nostra si approvvigionasse di armi in Svizzera, paese dove avevano sede legale anche grosse società interessate all’acquisto delle concessioni minerarie della Sicilia.
Le stesse società che operavano pure nel settore del trasporto e stoccaggio di scorie nucleari.
E sempre dalla Svizzera diversi “mercanti di armi” conducevano i loro affari comprando e vendendo in diversi Stati.
Come nel caso di Georges Starckmann, trafficante d’armi, miliardario, agente segreto, avventuriero, che incontrai a casa sua a Parigi nel 2016.
No, parlammo di tanto altro, compreso di come per gli svizzeri fosse importante che armi e rifiuti non transitassero all’interno del loro paese.
Affari sì, ma dalla Svizzera passano solo affari e denaro, tutto il resto della sporcizia rimane al di fuori dei confini.
Armi e rifiuti, un binomio che nei grandi traffici internazionali sembra indissolubile.
Finché ci sono guerra e rifiuti c’è speranza, anche quella di taluni appartenenti ai servizi di mezzo mondo.
In questo contesto rimangono oscure le vicende legate alla morte di giornalisti come Ilaria Alpi, Miran Hrovatin, Graziella De Palo e Italo Toni.
Vicende legate ai grandi misteri italiani, come la strage di Bologna e il Lodo Moro, uniti dal sottile filo dei nomi di appartenenti ai servizi…
Sempre gli stessi, sempre uguali…
“Dai centri NATO escono armi, giubbotti, cartucce, tutto quello che si vuole (avete visto come sono attrezzati!). Quando ho detto che erano in possesso dei bazooka, si sono messi a ridere. Ne hanno trovati cinque!” – diceva Leonardo Messina, e tutti ridevano…
Non avrebbe certamente riso il giudice Borsellino, se dopo quel 30 giugno del 1992 non lo avessero ucciso e se avesse potuto continuare a sentire Narduzzo Messina.
Questa è la Sicilia, terra di mafia, affari, politica e servizi segreti, a volte legati a sottostrutture funzionali a “operazioni bagnate”, ma anche terra di uomini come Falcone, Borsellino e i tanti che si sono fatti uccidere per non lasciare che quest’isola diventasse una terra di senza dio popolata di demoni come Crono disposti a mangiare i propri figli.
E mentre c’è ancora chi chiede di sapere i nomi – e in tanti li avranno già letti – c’è chi ha il dubbio che a causare la morte di Borsellino non sia stata soltanto la questione del dossier mafia-appalti.
Tessere di un mosaico complesso che oggi si vorrebbe cancellare non permettendo di vedere il disegno nella sua interezza.
Parcellizzando il tutto, si otterrà un depistaggio nel depistaggio, cancellando definitivamente una verità scomoda per tanti.
Gian J. Morici