di Salvatore Nocera Bracco
“Una mente non è, come la scienza cognitiva ha tradizionalmente ipotizzato, semplicemente una macchina pensante. È piuttosto un sistema integrato che include reti sinaptiche dedite a funzioni cognitive, emozionali e motivazionali, ma anche una emergenza, cioè consiste nell’incontro tra. (Joseph Le Doux)” Una relazione, dunque. Ognuno di noi, come tutti gli esseri viventi, possiede un genoma, cioè l’insieme di tutti i geni, contenuti nei cromosomi, che determinano le nostre caratteristiche potenziali. Potenziali perché siamo inseriti in un contesto, in un ambiente, che ne condiziona l’espressione. E il nostro organismo, in sé, diventa “ambiente” per il genoma del cosiddetto Microbioma, ovvero l’insieme di tutti i microrganismi che abitano benevolmente il nostro intestino e che influenzano fortemente la nostra salute. Gli stimoli ambientali sono la forza più potente che agisce sul patrimonio genetico a cui si deve la capacità di reazione insita in ogni essere vivente, ma che non va intesa come programmazione tout court, cioè conoscendo i geni conosco la persona futura: questo è un clamoroso equivoco. Semmai, conoscendo i geni so come potrebbe reagire la persona di fronte a una serie di stimoli esterni, ambientali, che in teoria sono infinitamente variabili. Ecco perché non basta conoscere il genoma, che è soltanto la capacità intrinseca – determinata geneticamente, appunto! – di sopravvivere all’ambiente, di acclimatarsi, di apprendere, di comunicare, di trarre il massimo vantaggio possibile instaurando un equilibrio tra la potenzialità genetica e l’influsso ambientale, equilibrio che sta alla base della personalità. Il “patrimonio genetico” in realtà non è così “immutabile” come ci si aspetterebbe dato che la sua complessa organizzazione (nei geni ovvero nei cromosomi) è fortemente dipendente dagli stimoli esterni (ovvero ambientali) i quali aumentano o diminuiscono la possibilità di facilitare e/o reprimere l’espressione dell’informazione contenuta nei geni (epigenetica). Il cibo è uno degli elementi “esterni” più importanti (fondamentali) che facilitano o reprimono l’espressione genica, soprattutto attraverso fenomeni biochimici relativamente semplici come la metilazione del DNA che aumenta l’incidenza di cancro; mentre l’aumentato apporto di folati la diminuisce, così come l’attività fisica moderata, per esempio camminare: i neuroni che producono serotonina aumentano di molte volte la loro attività in concomitanza dell’attivazione dei grandi muscoli del corpo, come quando corriamo o nuotiamo. “Cura con i farmaci, guarisci con i cibi” (Huang Di Nei Jing, Medicina cinese). Anche per i disordini mentali? Certo. Solo che per gli psichiatri più o meno di vecchio stampo la migliore cura dei disordini mentali sono i farmaci, per la gente, invece, le parole e il cibo: “Nella schizofrenia c’è una significativa riduzione dei livelli di acidi grassi nella membrana dei loro eritrociti, ovvero ridotti livelli di acidi grassi polinsaturi nel loro cervello”. Allora diamoci all’olio di pesce: “Un grammo al giorno nella depressione (l’EPA, acido eicosapentaenoico, e il DHA, acido docosaesaenoico, sono grassi Ω3, ma il primo è migliore), in una dieta povera di zuccheri semplici e acidi grassi saturi. C’è anche il BDNF, il fattore nervoso di derivazione cerebrale: se diminuisce, si collega alla schizofrenia. Diciamo che di depressione, schizofrenia ed epilessia soffre all’incirca l’1% della popolazione generale. Per quanto riguarda l’epilessia (epilambànein: cogliere di sorpresa), dieta povera di carboidrati e ricca di grassi è efficace nel controllo degli attacchi epilettici, soprattutto nei casi farmaco-resistenti”. Ma anche la dieta chetogenica: “Pochi saturi, più polinsaturi, leggero aumento di carboidrati e proteine; digiuno; dieta ipocalorica. Se aumenta il glucosio, nella via metabolica del ciclo di Krebs aumentano sia il glutammato sia l’aspartato, che hanno una azione da neurotrasmettitore eccitatorio, perciò aumentano gli attacchi epilettici. Se invece il glucosio diminuisce, aumentano i corpi chetonici, nel ciclo di Krebs si producono meno aspartato e meno glutammato ed invece aumenta il Gaba (acido gamma ammino-butirrico) che è un neurotrasmettitore inibitorio. I corpi chetonici aumentano nel sangue sia aumentando i grassi nella dieta sia riducendo le calorie”. Agevolare e promuovere la consapevolezza di un corretto stile di vita, a partire dal controllo dello stress all’alimentazione, ovvero informare correttamente e aiutare ad operare scelte opportune, è uno dei compiti-doveri del Medico, il suo status primario di educatore, il quale non solo dovrebbe rimuovere processi di devianza o di patologia – la tendenza dominante della Medicina attuale – bensì “aggiungendo virtù e valori che sono carenti all’interno di quella persona che chiede aiuto” (Enzo Masini), un aspetto che mi piace definire Counseling medico-relazionale: appunto perché questa persona che chiede aiuto ha senso di sé perché è in relazione – ognuno di noi è senso in quanto dentro relazioni – e “la cura è relazione viva tra persone vive, interessamento per l’altro, promozione del ben-esserci, qualcosa di essenziale, perché senza cura la vita non ha valore”[1]. Ma la questione più importante e al contempo più bistrattata della nostra epoca è che prendersi cura dell’altro, significa innanzitutto sapere affrontare, e superare, la paura della morte. È una paura che tutti nutriamo, ma che tentiamo di tenere lontana, come un tabù, come qualcosa che non ci riguarda, che riguarda sempre gli altri – anche questo frutto di una assuefazione mass-mediatica – fino a quando non ci sbattiamo contro, a volte con estrema violenza. Prima o poi ognuno di noi si ritrova a fare in qualche modo i conti con la morte: un infarto, un incidente, un’emergenza qualsiasi, una malattia allo stadio terminale – per non parlare di tutte le evenienze di guerra, miserie, catastrofi, terrorismi, pandemie che caratterizzano la nostra epoca, almeno nella sua espressione più cruda e devastante. Senza cura, dunque, non solo la vita non ha valore, ma nemmeno la morte.
[1] Luigina Mortari,Filosofia della cura – Raffaello Cortina editore