di Salvatore Nocera Bracco
E appunto perché, in ogni ambito e contesto, la cura è una relazione, a maggior ragione in Medicina. E non soltanto una relazione d’aiuto, bensì un itinerario di crescita delle Persone che in tale relazione sono impegnate, dentro l’intimità di un incontro. Anche l’eventuale diagnosi delle malattie che sottendono alla sofferenza dovrebbe stare dentro questa relazione. È un continuo rimettersi in gioco educandosi, formandosi insieme, individuando le giuste risorse individuali e collettive per favorire la crescita del Benessere, propria e della comunità di cui si fa parte. Solo il 15% circa delle Persone che si rivolgono a un servizio medico necessita di un approccio clinico propriamente detto, di cui un terzo circa di approfondimenti diagnostici e terapie di un certo impegno, mentre i casi più gravi, gli stati di urgenza/emergenza potenzialmente pericolose o letali per la vita, diminuiscono ancora, a meno del 2%. Situazioni che ogni medico sa in ogni caso riconoscere. L’altro 85% di Persone ha bisogno di essere considerato, ascoltato, compreso nel suo vissuto, non di indagini strumentali o di laboratorio, men che meno di farmaci. Le Università attualmente preparano i Medici alla Desease, cioè alla componente oggettiva della malattia, della sua diagnosi, della sua terapia, dei protocolli da attuare, ma poco o niente forma ad affrontare quella complessità variegata di organico-biologico, psicologico-relazionale e persino spirituale che definisce, nella sua autonomia e indipendenza, la Dignità dell’essere Persona, prima che un oggetto di studio. Dignità che emerge in ogni caso dal prendersi cura dentro una relazione nutriente. È una forma di sapienza che non può essere parcellizzata nel nome di una specializzazione imperante che genera interessi conflittuali, non solo tra le varie discipline (Cardiologia, Neurologia, Gastroenterologia, Psichiatria …), ma anche tra i vari aspetti dell’Umano. Per questo molti considerano criticamente la divisione tra Medicina e Psicologia. È la visione d’insieme che permette di individuare uomini e donne, nella loro specificità e unicità. E all’interno di questa visione riconoscere anche sé stessi in quanto Medici. Lo specialistico è un passo successivo. In ogni caso uno strumento, non un sapere che riduce tout court, comprimendola, la complessa totalità della Persona al funzionamento di un singolo organo. La medicina dovrebbe promuovere e valorizzare questa specificità e unicità, proprio cercando di promuovere e amplificare il Bene di ogni Persona – e in ogni Persona – oltre che combattere il Male sotto forma di Malattia. Tendenza, quest’ultima, che sta prendendo subdolamente il sopravvento, in un clima mediatico in cui prevale la paura e sotto cui aumenta la richiesta di sicurezza delle Persone, più che il bisogno di esprimere il meglio di sé. Pericoli incombenti che in troppi, ormai, accettano quasi acriticamente.