Salvatore Nocera Bracco
Cosa succede quando ci accorgiamo di non avere con noi il telefonino? O non ricordiamo dove lo abbiamo lasciato? O peggio, temiamo di averlo perso? È una brutta sensazione. Che diventa di sollievo quando invece lo ritroviamo. Le neuroscienze hanno portato in luce diverse evidenze: essere boomer non è propriamente la stessa cosa che essere Generazione Z. E non solo per una semplice questione generazionale, poiché l’essere sottoposti a continue sollecitazioni di tipo culturale, negli ultimi anni ha cambiato letteralmente la conformazione cerebrale dei neonati: per cui i boomer sono analogici, mentre i nati nella generazione Z sono digitali: intanto nascono con milioni di neuroni in più, per cui il loro approccio alla vita, il loro pensiero, il loro modo di porsi in relazione e dunque di socializzare è completamente diverso dai loro genitori e dai loro insegnanti analogici. Cosa vuol dire questo? La prima conseguenza è che la scuola non è adeguata a queste nuove esigenze, per cui la didattica è semplicemente obsoleta e non tiene conto dei reali bisogni dei ragazzi, poiché noi cosiddetti adulti crediamo che sia giusto imporre loro le nostre regole e il nostro modo di pensare. Qualcuno intuisce sulla necessità di insegnare ai nostri ragazzi a percorrere una via che porta al “loro” futuro, piuttosto che soffermarci a insegnare la storia del nostro passato. La quale, tra le altre cose, pur essendo in linea di massima importante nella conoscenza, subisce troppi rimaneggiamenti e revisioni a seconda delle culture dominanti, cosiddette. Ma noi siamo analogici, diving, ovvero riusciamo ancora ad immergerci e ad approfondire, con attenzione focalizzata lenta, in uno stato di deep work, ovvero di concentrazione assoluta sul compito che si sta svolgendo, utilizzando per lo più una modalità di apprendimento che si fonda su una memoria verbale acustica. In questo senso noi immigrati digitali, ovvero nati prima del 1996, preferiamo ancora la lettura – per esempio libri, così come i nostri nonni/bisnonni avevano una cultura molto più fondata sull’oralità, entrambe attività analogiche. I nativi digitali, invece, spaziano in maniera multitasking, cioè riescono a svolgere più compiti quasi contemporaneamente, e quando li vediamo digitare sulla tastiera del telefonino, mentre noi parliamo, sembra quasi che non ci ascoltino, in realtà ci seguono ma noi abbiamo l’impressione del contrario e questo ci dà francamente fastidio. Dunque i nativi digitali letteralmente navigano più in superficie, surfing, con una attenzione molto più diffusa e rapida della nostra, utilizzando di più una memoria visuo-spaziale. Queste differenza sono documentate anche attraverso l’uso di fRMN (Risonanza Magnetica Nucleare funzionale), che permette agli studiosi di verificare queste reali differenze, per cui da un po’ di tempo si sta proponendo l’uso del concetto di neuro-diversità, che sottolinea, se ancora ce ne fosse bisogno, l’unicità di ogni persona, nel suo essere psico-fisico-relazionale, con ricadute importanti anche nel campo, per esempio, dei cosiddetti DSA, i Disturbi Specifici di Apprendimento, tra cui la dislessia, disturbi – si fa per dire! – che sono denominati specifici, almeno in ambito neuropsichiatrico e logopedico, poiché – appunto! – presuppongono un’intelligenza almeno nella norma e l’assenza di problemi neurologici o sensoriali o psicologici primari o condizioni di svantaggio sociale. Ma allora disturbi in che senso? Ecco: boomer e Generazione Z sono un esempio eclatante e nuovo di neuro-diversità, i primi analogici, i secondi digitali, frutto di una vera e propria mutazione antropologica non ancora del tutto compresa. Soprattutto dalle generazioni adulte. Tutto ciò, ovviamente, comporta un uso completamente differente della tecnologia, e di Internet in particolare, portando molti giovani e giovanissimi fruitori a vere e proprie dipendenze, da cui non sono immuni nemmeno gli adulti, anche se in maniera molto meno virulenta. Tale dipendenza si configura nella cosiddetta NOMOFOBIA (finalmente se ne comincia a parlare con cognizione di causa scientifica): No Mobile Phone Phobia, una vera e propria sindrome da disconnessione da dispositivi elettronici collegati a Internet: Smart phone, Pc, Tablet … Ciò comporta in alcuni ansia, in altri agitazione, fino a franchi attacchi di panico, reazioni aggressive, attacchi isterici, tachicardie, nausea, vomito, comportamenti di ritiro sociale, fino ad anticipare vere e proprie depressioni. Provate a togliere a un bambino anche di soli otto/dieci mesi il telefonino che qualcuno gli ha dato per tenerlo impegnato, e guardate quello che succede: un pianto irrefrenabile che nemmeno la presenza rassicurante della madre è più in grado di consolare. Immaginiamo quanto sia menomata in questo caso la relazione più nutriente di tutte: quella madre-figlio! Cosa comporta la vicinanza, il contatto, gli occhi negli occhi! E cosa invece non comporta l’uso succedaneo del telefonino. – Paradossalmente per gli anziani invece l’uso dei telefonini, sempre in maniera congrua, comporta addirittura un allenamento delle capacità cognitive nonché un’azione ritardante di eventuali sintomi demenziali. – Molti altri sintomi caratterizzano la dipendenza da dispositivi, così come ben sanno i pediatri, soprattutto quelli un po’ più maturi, che vedono molte alterazioni comportamentali in bambini piccoli, anche a partire dalla precocissima età di otto/nove mesi. I neuropsichiatri invece vedono tali alterazioni quando ormai il danno è avanzato. Per questo è auspicabile una campagna informativa di prevenzione, e ancor più di promozione del benessere digitale, digital wellbeing, educando all’uso corretto dei dispositivi, senza demonizzare né impedirne invece un uso virtuoso, perché l’uso inappropriato dei dispositivi comporta una vera e propria dipendenza sine materia, e per questo molto più subdola e pericolosa, dovuta all’attivazione del circuito dopaminergico della ricompensa, per cui ogni volta che il nostro telefonino squilla per un avviso di notifica, e noi lo apriamo per leggere un messaggio o mettere un banalissimo like sui nostri social, il nostro cervello letteralmente ci premia con una dose di dopamina, che è, tra l’altro, il neurotrasmettitore del piacere, oltre che della ricompensa. La mancata attivazione di questo circuito della ricompensa – perché non abbiamo il telefonino dietro! – comporta una vera e propria crisi di astinenza, con aggressività espressa a più livelli, verbale, comportamentale, etero ed auto-lesionista. L’uso non adeguato dei telefonini, PC, tablet, comporta una serie di reali alterazioni neuronali dimostrate dal fRMN, aggravate dalla luce blu degli schermi che alterano i circuiti neuronali per la via sensoriale ottica. Per non parlare delle interferenze elettromagnetiche, e della regressione che comporta, a mo’ di esempio, l’abitudine a digitare con i pollici, per cui perde di valore l’importante riflesso evolutivo dell’opponibilità del pollice all’indice – presente nella nostra specie umana da circa due milioni di anni e movente per la nostra evoluzione. Opponibilità che viene ribadita, tra l’altro, dalla scrittura a mano. L’uso improprio, purtroppo, è dovuto innanzitutto alla mancata conoscenza dei genitori della dipendenza, che tendono a far usare i telefonini ai figli per tenerli calmi, farli mangiare, distrarli e persino per farli addormentare in forma di digital baby sitting. Come ci dicono gli esperti, dalla nascita fino ai nove anni dal 60% al 95% dei genitori usano e fanno usare i dispositivi ai loro figli, spesso insieme, ma anche prima di dormire. Il che comporta ulteriori disturbi nella sfera del sonno, fondamentale per la salute mentale, soprattutto nei primi anni di vita quando ancora il sistema nervoso è in fase di maturazione. Negli adolescenti sembra che il telefonino sia il miglior amico, dato che ormai tutti gli adolescenti – tutti! – non se ne separano mai. E con tutti i conflitti e tensioni che ne derivano quando un genitore tenta di ridimensionarne l’uso! Un evidente doppio legame, ovvero, come ci ha insegnato Gregory Bateson, la natura ambigua di una comunicazione verbale in cui da una parte si impone un comportamento, ma dall’altro viene contemporaneamente contraddetto, come nella ingiunzione: Sii spontaneo! Ovvero: da una parte ne agevolo l’uso perché in qualche modo mi conviene e dall’altra poi lo vieto! Una volta c’era la televisione. Oggi i più giovani passano la maggior parte del loro tempo davanti allo smartphone. E poi digital phubbing, come si può facilmente trovare su Internet (a proposito!): Phubbing è una parola di derivazione anglosassone composta dall’unione di due termini, phone e snubbing. Il suo significato fa riferimento all’atto di snobbare l’interlocutore, guardando continuamente il proprio smartphone invece di concentrarsi sulla conversazione in corso, pur non necessariamente in presenza di una dipendenza. Questo comporta il fatto che a tavola, invece di parlare e guardarsi negli occhi, si sta sempre con il telefonino a portata di mano, così come capita nei ristoranti o nei cosiddetti luoghi di relax. Un non prestarsi reciprocamente attenzione, per cui si rischia anche di finire sotto un’automobile quando si è presi dal telefonino mentre si passeggia. Tra l’altro, bisogna ricordare che le cause di morte più frequenti tra i giovani sono proprio gli incidenti stradali e il suicidio, in una discreta percentuale negli ultimi tempi entrambi collegati proprio all’uso smodato del telefonino. Direbbe Luigina Mortari, filosofa della cura: “L’Attenzione è una postura etica”. L’Attenzione all’altro, naturalmente, in quanto atteggiamento di cura, a maggior ragione da parte dei genitori nei confronti dei figli.
Cosa fare? Fermo restando la possibilità di poter usufruire di strumenti terapeutici con l’aiuto di medici e psicoterapeuti esperti, è fondamentale prevenire, imponendo un corretto uso dei dispositivi, imparare a riconoscere precocemente i sintomi, e soprattutto praticare il dialogo, ri-educarsi alle emozioni, in quanto base per la crescita di relazioni evolute e nutrienti dentro cui si sviluppano valori e sentimenti condivisi, in quanto facenti parte. Educarsi vicendevolmente, in una sora di mediazione tra analogico e digitale che, come abbiamo visto, comporta le più grandi differenze neuronali tra boomer immigrati digitali e nativi digitali. L’atteggiamento migliore è stare con i propri figli, giocare con loro, imparare da loro, riconoscere umilmente i propri limiti e inadeguatezze, ma senza mai tirarsi indietro dalla propria funzione di guida educante, surrogandola all’uso improprio dei dispositivi.
È necessario normare, in linea come ormai molti Paesi stanno già attuando da anni: in Finlandia, Inghilterra, Francia, persino la Cina, il divieto assoluto dei device è attuato fino a sei/otto anni di vita, prevedendo proprio a partire da questa età di promuoverne l’inserimento con incremento graduale.
Ma senza una adeguata informazione e formazione né una normativa garantita per legge, non ha senso vietare tout court i dispositivi come un’imposizione dall’alto. L’equilibrio deriva innanzitutto dalla conoscenza, dal valorizzare i lati positivi, dall’educare a un uso consapevole, responsabile e proficuo.
Tutto questo è emerso da un convegno tenutosi presso l’ARS di Palazzo dei Normanni a Palermo, il 22 febbraio u.s., iniziativa che ha visto l’On. Carlo Gilistro, del M5S, politico ma soprattutto pediatra di lungo corso, instancabile promotore di un’azione trasversale che ha visto coinvolti tutti i gruppi parlamentari presenti, compresi gli assessori della giunta Schifani: la necessità di una decreto di legge-voto, ovvero una proposta che parte da Palermo e diretta al Parlamento nazionale, in cui si ribadisce l’uso consapevole e responsabile dei dispositivi, ovvero la necessità di vietarne l’abuso fino a sei anni di età, informando e formando i genitori sui rischi di un uso improprio, con adeguati fondi, e insistendo nelle scuole, con interventi mirati sia ai ragazzi sia al personale insegnante e ausiliario. fermo restando l’imprescindibile uso didattico delle tecnologie. Il telefonino, se ben usato, è uno strumento formidabile a disposizione di tutti. È l’abuso che va combattuto, non il telefonino in sé! Anzi! Mai prima d’ora un intento comune tra Sanità e Pubblica Istruzione, tra Politica e Gestione della Cosa pubblica, attraverso il coinvolgimento di molti attori Sociali, associazioni, Volontariato, e in più l’apporto fondamentale degli operatori della comunicazione, che si assumono il dovere di una corretta campagna di informazione mediatica.