Delle lettere tra Svetonio e Alessio, ovvero tra l’ex sindaco di Castelvetrano Antonio Vaccarino e l’allora boss latitante Matteo Messina Denaro, nonostante gli aspetti che secondo alcuni andrebbero chiariti, qualcosa la sappiamo.
Quello di cui non abbiamo alcuna conoscenza, è ciò che Vaccarino avrebbe detto – o avrebbe voluto dire – a diversi magistrati.
Dopo la cattura di Matteo Messina Denaro, grazie a trasmissioni come Report (a opera di Marco Bova), e giornali come Il Riformista e Tp24, è stata posta sotto i riflettori la figura del dottor Alfonso Tumbarello, il medico di base di Andrea Bonafede, il geometra che ha prestato la sua identità a Matteo Messina Denaro, rivelando che già nel 2007, e successivamente nel 2012, del medico massone che avrebbe seguito professionalmente, quantomeno negli ultimi due anni, l’ex primula rossa di Castelvetrano, ne aveva parlato l’ex sindaco.
Nel 2007, nel corso di un interrogatorio scaturito dall’arresto di Bennardo Provenzano, quando vennero trovati “pizzini” nei quali si faceva riferimento ad Antonio Vaccarino e si scoprì la collaborazione di quest’ultimo con il Sisde nel tentativo di stanare il latitante castelvetranese, l’ex sindaco rese importanti dichiarazioni dinanzi i pm Roberto Scarpinato e Giuseppe Pignatone.
Tra le altre, il riferimento al dottor Alfonso Tumbarello quale tramite per arrivare a un incontro con Salvatore Messina Denaro, fratello del più noto Matteo Messina Denaro.
Ma fu quella l’unica volta che Vaccarino venne sentito o contattò questi magistrati?
Da notizie certe – e prove acquisite – possiamo affermare che non si trattò dell’unica volta.
Infatti, il 22 ottobre del 2014, Antonio Vaccarino scriveva a Roberto Scarpinato.
Cosa scriveva l’ex sindaco all’allora procuratore generale di Palermo?
Questo forse non lo sapremo mai, così come non è dato sapere se a quella lettera raccomandata fu dato seguito e se Vaccarino venne mai sentito in merito ai contenuti della missiva.
Ma non al solo Scarpinato scrisse Vaccarino, il quale avendo avuto un primo contatto (si suppone fosse il primo) con Giuseppe Pignatone in occasione dell’interrogatorio del 2007, tornò a contattarlo tramite una raccomandata del 12 febbraio 2016, mentre questi era nel frattempo divenuto procuratore di Roma.
Difficile ipotizzare che l’ex sindaco scrivesse ai due magistrati lettere dello stesso tenore di quelle che abbiamo letto nel corso dello scambio epistolare tra Svetonio e Alessio, né possiamo credere che l’argomento trattato con i due alti magistrati fosse inerente a temi come il senso della vita, l’esistenza, la ricerca (se non quella dei ricercati) e la sapienza.
Del resto, anche gli antichi romani (Primum vivere deinde philosophari) ci hanno insegnato l’importanza della concretezza delle cose, prima ancora che il fare filosofia.
Non v’è dubbio, però, che le tante missive indirizzate da Vaccarino a diversi magistrati, pongono più di un interrogativo.
Vaccarino, infatti, il 7 luglio del 2017, scriveva al dottor Paolo Guido, procuratore aggiunto, presso la Procura della Repubblica di Palermo.
Anche nel caso dell’operazione Svetonio-Alessio, Vaccarino aveva scritto a un alto magistrato, che – a suo dire – portava a conoscenza delle attività in corso con i servizi segreti.
Vaccarino-Svetonio, aveva infatti scritto una lettera raccomandata a Piero Grasso, procuratore nazionale antimafia, il 7 aprile del 2006 (attenzione alla data), ricevuta il 13 aprile.
Una missiva della quale Grasso ha sempre sostenuto di non sapere nulla.
Non gli fu consegnata? Eppure, la ricevuta di ritorno certifica l’avvenuta consegna alla Direzione Nazionale Antimafia.
Se Vaccarino l’avesse inviata dopo l’arresto del boss, avremmo cento buone ragioni per poter pensare che lo avesse fatto per il timore che si scoprisse qualcosa che poteva riguardarlo, ma la data di invio della raccomandata risale a quattro giorni prima dell’arresto di Provenzano.
Il 12 maggio 2020, presso il Tribunale di Marsala, si è tenuta l’udienza che vedeva imputato Antonio Vaccarino con l’accusa di aver favorito la mafia.
Un’indagine che aveva visto coinvolti anche un colonnello della Dia e un appuntato dei carabinieri in servizio a Castelvetrano, in merito a informazioni su intercettazioni che riguardavano Matteo Messina Denaro.
Nel corso di quell’udienza, il Colonnello Giuseppe De Donno, nella qualità di teste, raccontò delle modalità con le quali l’ex sindaco era riuscito a contattare Matteo Messina Denaro, entrando poi nel merito delle indagini sull’allora boss latitante Bernardo Provenzano, precisando che Vaccarino aveva collaborato anche a quelle indagini prendendo contatti con Carmelo Gariffo, nipote del boss al quale quest’ultimo affidava la propria corrispondenza (“pizzini”).
Cosa disse l’ex sindaco di Castelvetrano – o cosa avrebbe voluto dire – al procuratore aggiunto Paolo Guido, che in quel momento guidava la caccia al latitante Matteo Messina Denaro?
Gli parlò, o gli avrebbe voluto parlare (come a suo dire aveva fatto in precedenza con Grasso, in occasione delle attività con il Sisde), della collaborazione con il colonnello Zappalà della Dia di Caltanissetta, a seguito della quale venne poi tratto in arresto, morendo successivamente in carcere con l’accusa di aver favorito la mafia?
Avrebbe voluto dare informazioni utili alle indagini sulla latitanza di Matteo Messina Denaro?
Tutte domande senza risposta, come lettere morte (o raccomandate?) perse nei cassetti, salvo poi – come nel caso della vicenda che ha visto coinvolto il dottor Alfonso Tumbarello – venire ripescate da qualche giornalista che non si limita a fare il megafono delle procure, e che inizia a porre domande alle quali il passar degli anni, e l’annebbiarsi anche del ricordo, rende difficile dare delle risposte.
L’unica certezza che abbiamo, le dichiarazioni dell’allora procuratore aggiunto di Caltanissetta, Gabriele Paci, che nel corso di una sua testimonianza al processo a Marsala, nel quale era imputato Vaccarino, spiegò che la delega data a Zappalà non era per catturare Matteo Messina Denaro, ma per andare a Castelvetrano a rapportarsi con Vaccarino, fonte di utili informazioni.
“Noi rivisitiamo tutto il passato” – riporta questo articolo de Il Dubbio all’epoca del processo di Marsala – ha sottolineato infatti procuratore aggiunto di Caltanissetta, Gabriele Paci. E dal passato emerge anche il ruolo del presunto pentito Vincenzo Calcara che fece arrestare ingiustamente anche Antonio Vaccarino a maggio del ’92 durante “l’operazione Palma”. Il procuratore Paci durante la sua deposizione come testimone sintetizza la vicenda. “Tra le tante questioni che nacquero – racconta Paci -, c’era proprio quella della infondatezza delle dichiarazioni di Calcara, sulla base di un presupposto più ampio: cioè che Calcara non fosse un pentito autogestito, ma che potesse essere stato eterodiretto, e che poi avevano portato anche all’arresto di Vaccarino. Così come per esempio l’assoluta totale assenza delle dichiarazioni di Calcara, che oggi rivendica il diritto di andare a processo per testimoniare contro Matteo Messina Denaro, che lui non toccò mai con le sue dichiarazioni del passato”.
Cosa scriveva Antonio Vaccarino agli altri magistrati?
Gian J. Morici