Proviamo a ragionarci. Laicamente.
Ovvero senza complottismi, dietrologie, presunzioni assolute e relative.
Tutti quegli orpelli dei retropensieri che destabilizzano anche le verità più visibili.
Insomma, proviamo a meditare questo esito con la mente degli uomini che guardano e a volte vedono.
Magari facendo una Polaroid di quello che è stato e di quello che, adesso, riusciamo (finalmente) a scorgere.
La prima cosa che la ritrazione fotografica ci consegna è la cattura di un sanguinario criminale.
Bene. Direi che si tratta di un eccellente risultato.
Senza “se” e senza “ma”.
Possiamo affermare che il mondo, oggi, è un posto migliore (magari eccedendo in ottimismo…).
Grazie, quindi, ai Carabinieri e agli organi inquirenti soprattutto al magistrato Paolo Guido.
A lui si deve la tenacia con la quale, in questi lunghi anni, si è inseguita l’ombra imprendibile dello stragista.
Hanno pure trovato e perquisito il covo (chissà perché i latitanti non hanno una casa, ma un luogo in cui dischiudere le uova…). Questa circostanza fa ben sperare a fronte di passate esperienze ben oltre il limite della vergogna.
Stavolta l’imprendibile criminale ha fatto numerosi errori e tutti sanno che gli errori sono più gravi dei delitti.
Dopo avere consumato tanti orrori, qualche errore ci stava pure…
Adesso le domande che tutti si pongono sono così sintetizzabili:
“Si è consegnato? L’hanno fatto consegnare? Lo hanno catturato?”.
Aveva ragione il vecchio Albert Einstein a dire che il vero problema dell’universo è nel porsi la giusta domanda.
Perché potrai avere la giusta risposta solo quando sarai in grado di formulare alla tua mente l’esatto interrogativo.
In questo caso, però, qualcosa fa pensare che tutti e tre gli interrogativi confluiscano in un unico luogo.
Proverò a sintetizzare questa mia “sballatissima” idea, sperando che non generi alcun fraintendimento.
Cosa ha determinato l’errore sul quale “IDDU” è stato preso?
La risposta è assai semplice: la malattia e – con essa – la paura della morte.
Strano, no?
Uno che ha dato, senza pietà, la morte a tanti innocenti non dovrebbe avere paura nè della malattia né della morte.
Ed invece il capo dei capi della “Cosa Nostra” siciliana ha, d’un tratto, compreso che essere il più ricco e mafioso del cimitero a nulla gli sarebbe servito.
Doveva curarsi per non soffrire, per non soccombere al male che era già incarnato in lui e che adesso lo corrodeva.
Il pericolo di essere scoperto e catturato valeva tanto quanto la possibilità di non soffrire e continuare a vivere.
Per questo la sua fuga senza fine doveva volgere – in ogni modo – al termine.
Così è stato.
“Lei è Andrea Bonafede?”
“No. Sono Matteo Messina Denaro”
Il nome si ricongiungeva finalmente al suo tragico destino nel tramonto di una vita di barbarie.
E – incredibile paradosso – la cattura era finalmente la liberazione dalla fuga senza fine e dal suo stesso male.
Non chiamatemi ottimista, ma qualcosa mi dice che “IDDU” parlerà.
Lo farà presto perché lui conosce bene la signora che amministra la fine degli umani e sa che non le piace attendere.
Per questo occorre proteggere – con il massimo di attenzione possibile – ciò che resta della sua vita.
Sono in tanti a sperare che questa fuga senza fine dalla Verità si concluda nel silenzio…
Lorenzo Matassa