All’esito tragico della seconda guerra mondiale, nel regno di Sua Maestà, si raccontava una storiella densa di humor britannico.
Sembra che nella ricca casa di un gerarca nazista, a Berlino, la governante fosse andata su tutte le furie con le sue sottoposte.
Con veemenza, le aveva redarguite perchè – a suo avviso – i pomelli delle porte non erano stati lucidati abbastanza.
La donna, con il tradizionale cipiglio e la puntigliosa diligenza che solo i tedeschi possiedono, aveva mostrato come il lavoro doveva essere fatto.
E, così, si era messa in ginocchio, davanti ad una porta con il prodotto lucidante, la pezza pulita e tanto (ma tanto…) olio di gomito, anzi di polso.
Quelle serventi dovevano essere istruite al meglio e dovevano capire come esattamente un pomello poteva definirsi pulito.
Lucente… della brillantezza abbagliante che il gerarca nazista desiderava nella sua casa.
Sembra quasi di vederla quella donna, in elegante divisa di servizio e crestina di macramè sulla testa, genuflessa e sudata nel suo atto maieutico supremo.
Con l’umorismo nero che gli inglesi sanno amministrare con saggezza, a quel punto, il narratore della storiella simulava il gutturale rumore di aerei in lontananza.
Era il suono, sempre più amplificato, dei bombardieri della Royal Air Force che avrebbero scaricato il loro devastante carico di bombe sopra Berlino.
La storiella, nella sua metaforica drammaticità, era utile per dire che a volte poco serve adempiere ai propri doveri allorché sei travolto dallo tsunami della Storia.
A questa Verità ho pensato quando ho visto i miei colleghi magistrati dimenarsi scompostamente nell’assemblea dell’A.N.M. finalizzata alla decisione di scioperare.
Ho letto – non senza qualche perplessità sul dato lessicale – la dichiarazione rilasciata dall’assise associativa secondo cui lo scopo inconfessato della riforma del Ministro Cartabia consisterebbe nel generare “il lento declino antropologico della figura del magistrato sollecitato nelle sue più recondite aspirazioni impiegatizie…“.
E no… gentili colleghi scioperandi, nulla di antropologico è dato vedere in ciò che sta accadendo alla magistratura italiana.
Solo ci descrive bene la saggezza latina secondo cui “faber est suae quisque fortunae“, ovvero che siamo artefici della nostra stessa sorte.
Le questioni che sommergeranno la Giustizia (ed i suoi togati amministratori…) hanno una genesi non così lontana e tutta endogena al suo martoriato corpo.
Se il Paese ha dimenticato – d’un tratto – i suoi tanti magistrati martiri ed eroi, ciò non lo si può attribuire soltanto alla smemoratezza della società civile.
La dimenticanza e l’irriconoscenza sono monete che coloro che servono la Patria sanno bene di dovere mettere nel conto.
Neppure si può attribuire l’antipatia verso i magistrati all’esito delle mille nefandezze venute fuori grazie alle vicende di Palamara e dei suoi sodali.
Anche se – è bene chiarirlo – basta una goccia di veleno nell’acqua (anche la più pura…) sì che nessuno voglia più berla.
Quello che la magistratura italiana non ha compreso – da oramai molti anni – sta nella sua immanente incapacità di dare una Giustizia giusta al Paese.
Incomprensibilmente divisa in correnti, avvinta in plateali espressioni di bulimie di potere, cieca e sorda alla necessità del cambiamento.
La prova di questo atteggiamento si è avuta proprio alle ultime elezioni dell’A.N.M. in cui, dopo gli scandali, la grande maggioranza dei votanti ha dato conferma al “Sistema” e alle sue inconfessabili clientele.
Di tutto ciò il Paese si è stancato.
Il referendum che l’Italia voterà – come i bombardieri inglesi – farà l’effetto di uno tsunami distruttivo sui tanti affaccendati a chiedersi se sia giusto separare le carriere tra inquirenti e giudicanti.
Una riforma, questa, che (insieme a tante altre) doveva essere adottata all’indomani dell’entrata in vigore del nuovo codice di rito accusatorio.
Provo a concludere per non abusare della Vostra lettura.
Qualche tempo fa – quando ancora credevo che la Giustizia potesse cambiare il destino della Patria – mi trovai a difendere una mia sentenza davanti all’A.N.M. e al C.S.M. .-
Era un caso davvero tragico: un padre aveva ucciso il figlio autistico dopo averlo accudito per quasi trenta anni.
La sentenza cercava di fare ragione di ogni circostanza, soprattutto delle omissioni dello Stato in una materia (la salute mentale) di così delicata importanza collettiva.
Il libero convincimento del giudice fu severamente punito in sede di valutazione professionale, malgrado la sentenza fosse stata confermata fino in Cassazione.
Vano fu il tentativo di fare comprendere ai tanti colleghi che il libero convincimento di un giudice sta alla Giustizia come la libertà sta alla Democrazia.
Ma non appartenevo a nessuna corrente. Non interessavo a nessuna consorteria. Anzi, ero un nemico del “Sistema” che doveva essere educato a dovere.
Dovevo imparare come esattamente si pulissero i pomelli delle porte per renderli lucenti agli occhi del proprietario della casa.
In quel momento percepii chiaro, in me, il declino inesorabile e l’agonia che ancora oggi non ha trovato la sua fine.
Che venga il tempo del cambiamento che il Paese invoca…
Lorenzo Matassa
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