Si è tenuto ieri (Sabato 12 febbraio), al Palazzo Steri di Palermo, il convegno “Palermo Capitale”.
Un incontro organizzato da Diste Consulting – Dipartimento studi territoriali.
Palermo, una città lontana dai suoi antichi splendori.
Una città devastata dal fenomeno criminale, ma anche – e forse soprattutto – dalla mala gestio di una classe politica inadeguata che l’ha condotta all’attuale degrado.
Ma Palermo è anche una città che non si rassegna a morire in silenzio, una città che vuole riappropriarsi del suo ruolo nel Mediterraneo, in Sicilia e in Italia, perché torni a essere una città capitale d’interesse universale.
Di seguito l’intervento del Dott. Lorenzo Matassa:
Ringrazio il Prof. Andrea Piraino per avermi dato l’opportunità di essere qui, oggi, a parlarVi.
E ringrazio tutti coloro che sono intervenuti perché, ritengo, che la loro presenza sia manifestazione di un atto di buona volontà.
Vorrei sapeste che allorchè mi è giunto l’invito a partecipare mi sono chiesto perchè avrei dovuto farlo visto che nutro particolare antipatia per i magistrati che (come direbbero qui a Palermo) si “allattarìano”, ovvero cercano spazio nei mass-media a volte dimenticando il ruolo e la veste che indossano.
Quindi, ho dovuto superare la mia stessa ritrosia e per convincermi sono dovuto andare, davvero, nella profondità di me stesso.
Capirete – tra breve – perché io dica questo…
La premessa parte da una dolorosissima storia vera, ma necessario raccontare per comprendere quanto sia necessario un radicale cambiamento dello stato delle cose.
Quattro anni orsono morì mia madre e fu atto di ultima volontà quello di essere cremata.
Vi risparmio i dettagli più incresciosi di quello che vidi nel deposito del cimitero dei Rotoli di Palermo.
Però posso e devo dirvi che, in quei lunghi giorni d’attesa, non avendo dove stare – come altri addolorati parenti – mi trovai seduto sulla bara di mia madre.
Non auguro a nessuno – neppure al mio peggior nemico (e vi giuro che ne ho tanti…) – di vivere un’esperienza così terribilmente devastante.
Ma devo, al contempo, dirvi che quel tipo di dolore (che andava ad aggravare un già profondo dolore) se generava rabbia per una città ed un’amministrazione che non dimostrava neppure pietà per i defunti e per coloro che ne piangevano la morte, allo stesso tempo mi confermava la necessità di agire – IN OGNI MODO – per fare sì che altri, dopo di me, non vivessero l’inciviltà che io avevo così tragicamente vissuto.
Non è scrivendo mille sentenze o facendo migliaia di processi che muterà il corso delle cose.
Per mutarlo è necessario aprire la mente, di noi tutti, sulla necessità di una nuova e diversa consapevolezza collettiva.
E questa consapevolezza ha il suo concentrato ideale su una ed una sola parola soltanto: CIVILTA’.
In quella parola troverete di tutto… dalla più semplice gentilezza nei rapporti umani fino alla condivisione di un luogo urbano in cui si progetta e si costruisce la Bellezza del vivere.
D’altronde – come ci ha fatto notare nel suo libro il grande architetto Renzo Piano – la parola POLITICA (che è lo strumento per la creazione di questa CIVILTA’) deriva dalla parola greca POLIS che altro non indica se non la città in cui si vive e dove le regole della buona politica devono essere applicate.
Se questo è lo scenario, allora possiamo affermare – senza tema di smentita – che fino ad oggi la politica e l’amministrazione della città di Palermo hanno fallito per intero.
E non è solo pessimismo quando si assume che Palermo vive, con dolore, la sua condizione di decadenza a fronte di potenzialità storiche e geografiche che non hanno eguali nel Mediterraneo.
Non sono pessimismo l’abbandono delle periferie e la vergogna dei quartieri inondati da immondizia, come non lo sono i marciapiedi e le strade che sembrano bombardati.
Ed ancora le numerose opere incompiute, come tragici monumenti cittadini all’inerzia e all’incompetenza.
Non è pessimismo l’abbandono di luoghi storici all’incuria e alla inciviltà in notti in cui è del tutto inesistente la sicurezza ed il controllo dell’ordine sociale.
Senza un progetto unitario di sviluppo, senza uno slancio di fantasia sul futuro.
Una città degradata ed insicura mai potrà dirsi libera di crescere.
Questa terra è la nostra terra (e fortunatamente ne abbiamo una in cui credere).
Questa terra è la Nostra Patria, nella più forte della sua etimologia: la terra del padre (fatherland) il luogo dal quale non è possibile allontanarsi se non rinunciando alle nostre stesse radici.
Non abbiamo altra scelta da portare avanti se non quella di migliorarla – questa nostra terra – per l’orgoglio che questa consapevolezza ci può dare.
Se ben si guarda questa coscienza delle cose è , poi, nella finalità per cui si viene al mondo, ovvero per lasciarlo migliore di come lo si è trovato.
Per questo l’antica saggezza siciliana recita: “Omu è cu a settanta anni chianta l’arburu d’olivu”.
Spero che queste chiare parole abbiano raggiunto i Vostri pensieri…
Vi ringrazio.