In tutto il mondo, in 12 mesi, bambini e adolescenti hanno perso più di un terzo del loro anno scolastico a causa della pandemia, per un totale complessivo di 112 miliardi di giorni senza istruzione.
Una rilevazione su otto capoluoghi nel nostro Paese mostra fortissime variabili territoriali, e il rischio di un ulteriore aumento delle diseguaglianze educative, mentre il rapporto internazionale dell’Organizzazione sottolinea le enormi disparità tra paesi, classi sociali e status e i rischi connessi al mancato accesso all’istruzione. La scuola non sia lasciata sola di fronte alle sfide di questo momento
Il vissuto e le emozioni provate dalle ragazze e ragazzi in un video diffuso oggi dall’Organizzazione disponibile al link:
A un anno dall’inizio della pandemia di COVID-19, bambini e adolescenti di tutto il mondo hanno perso in media 74 giorni di istruzione ciascuno, più di un terzo dell’anno scolastico medio globale di 190 giorni. È quanto emerge dai dati diffusi oggi da Save the Children, l’Organizzazione internazionale che da oltre 100 anni lotta per salvare i bambini a rischio e garantire loro un futuro, in occasione dell’anniversario della pandemia di Covid 19.
A livello globale, si stima che 112 miliardi di giorni di istruzione[1] siano stati persi complessivamente e che siano stati i bambini più poveri del mondo a essere colpiti in modo sproporzionato. Una nuova analisi, condotta a livello internazionale dall’Organizzazione sui dati di 194 Paesi e diverse regioni, mostra che i minori in America Latina, nei Caraibi e nell’Asia meridionale hanno perso quasi il triplo dell’istruzione dei coetanei dell’Europa occidentale.
“Quasi un anno dopo la dichiarazione ufficiale della pandemia globale, centinaia di milioni di bambini e adolescenti rimangono fuori dalla scuola. La più grande emergenza educativa della storia ha ampliato il divario tra i Paesi e all’interno dei Paesi stessi, come quello tra le famiglie più ricche e quelle più povere, tra i bambini che abitano nelle aree urbane e quelle rurali, tra i rifugiati o sfollati e le popolazioni ospitanti, tra i minori con disabilità e quelli senza. È necessario agire in modo strutturato e globale, per garantire che non siano i più piccoli a pagare il prezzo di questa pandemia”, ha dichiarato Daniela Fatarella, Direttrice Generale di Save the Children Italia.
L’analisi su alcuni capoluoghi evidenzia un’Italia a diverse velocità
Anche in Italia Save the Children, ad un anno dal primo lockdown generale, ha analizzato i dati rispetto alla frequenza in presenza degli alunni delle scuole di ogni ordine e grado. Senza voler essere esaustiva, l’analisi ha preso in considerazione 8 capoluoghi di provincia. Con l’obiettivo non di fare una classifica di merito, ma fotografare la situazione ad oggi, anche in vista di nuovi possibili provvedimenti di chiusura delle scuole, a fronte dell’aggravarsi della situazione sanitaria. Dall’analisi condotta emerge come gli studenti si siano trovati a frequentare i loro istituti scolastici anche per molto meno della metà dei giorni teoricamente previsti[2]. Nel corrente anno scolastico, da settembre 2020 a fine febbraio 2021, i bambini delle scuole dell’infanzia a Bari, per esempio, hanno potuto frequentare di persona 48 giorni sui 107 previsti, contro i loro coetanei di Milano che sono stati in aula tutti i 112 giorni in calendario. Gli studenti delle scuole medie a Napoli sono andati a scuola 42 giorni su 97 mentre quelli di Roma sono stati in presenza per tutti i 108 giorni previsti. Per quanto riguarda le scuole superiori, i ragazzi e le ragazze di Reggio Calabria hanno potuto partecipare di persona alle lezioni in aula per 35,5 giorni contro i 97 del calendario, i loro coetanei di Firenze sono andati a scuola 75,1 giorni su 106.
La tabella con i dati sui giorni di scuola in presenza rispetto a quelli previsti dal calendario per le città di Milano, Roma, Napoli, Bari, Reggio Calabria, Torino, Palermo e Firenze è disponibile al link: https://we.tl/t-XqnUhRVaHL .
La pandemia che lo scorso anno ha costretto gli studenti a interrompere bruscamente la loro presenza a scuola tre mesi prima della conclusione dell’anno scolastico, ha duramente segnato anche nel 2020/21 la loro possibilità di frequentare le aule scolastiche.
I dati evidenziano forti differenze fra le città, legate all’andamento del rischio di contagio così come alle differenti scelte amministrative. I numeri rilevati si riferiscono alle giornate scolastiche vissute in presenza, evidenziando quei territori dove gli studenti hanno fruito di periodi più lunghi di didattica a distanza, con le difficoltà che questo ha comportato in termini di accessibilità e per la perdita di opportunità relazionali dirette tra pari e con i docenti.
“Sappiamo bene quanto le diseguaglianze territoriali abbiano condizionato in Italia, già prima della pandemia, la povertà educativa dei bambini, delle bambine e dei ragazzi – ha dichiarato Raffaela Milano, Direttrice dei Programmi Italia-Europa di Save the Children – a causa di gravi divari nella offerta di servizi per la prima infanzia, tempo pieno, mense, servizi educativi extrascolastici. Ora anche il numero di giorni in cui le scuole, dall’infanzia alle superiori, hanno garantito l’apertura nel corso della seconda ondata Covid mostra una fotografia dell’Italia fortemente diseguale, e rivela come proprio alcune tra le regioni particolarmente colpite dalla dispersione scolastica già prima della pandemia siano quelle in cui si è assicurato il minor tempo scuola in presenza per i bambini e i ragazzi. Il rischio è dunque quello di un ulteriore ampliamento delle diseguaglianze educative”.
“Questi dati non possono lasciare indifferenti. Anche alla luce dei nuovi sviluppi della pandemia – ha proseguito Raffaela Milano – occorre mettere la scuola concretamente al primo posto, facendo ogni possibile sforzo per assicurare la prevenzione e la tutela della salute per gli studenti ed il personale scolastico e mantenere le scuole aperte in sicurezza, ricorrendo alla didattica a distanza solo nei casi di acclarata impossibilità di proseguire le lezioni in aula. Allo stesso tempo, è necessario predisporre programmi e risorse che sin da subito e nel medio e lungo periodo – compreso il periodo estivo – consentano ai bambini e ai ragazzi dei contesti più deprivati che hanno subìto più a lungo periodo la lontananza dalla scuola e le maggiori difficoltà nella didattica a distanza di poter superare questo gap di apprendimento e di socialità. La scuola non può essere lasciata da sola di fronte a questa sfida, ed è essenziale il coinvolgimento di tutte le risorse civiche e associative dei territori, con lo sviluppo dei patti educativi di comunità. Nel momento in cui tutte le categorie del Paese denunciano, comprensibilmente, la perdita di fatturato economico del proprio settore, occorre prestare attenzione ad una perdita meno visibile nell’immediato, ma estremamente grave per il futuro di intere generazioni”.
Un quadro confermato dal vissuto e dalle emozioni provate nell’anno trascorso dalle ragazze e ragazzi beneficiari del progetto Fuoriclasse di Save the Children per il contrasto della dispersione scolastica, raccolte in un significativo video diffuso oggi dall’Organizzazione.
Diversi studi internazionali hanno rilevato la gravità della perdita di apprendimento causata dalla chiusura delle scuole e il rischio concreto, in assenza di interventi mirati, di una perdita secca di 0,6 anni di scuola e di un aumento fino al 25% della quota di bambini della scuola secondaria inferiore al di sotto del livello minimo competenze. Le perdite sono maggiori tra gli studenti provenienti da famiglie meno istruite, a conferma delle preoccupazioni per l’iniquità dell’impatto della pandemia sui bambini e sulle famiglie[3]. L’Ocse e la Banca Mondiale hanno stimato gli effetti economici di questa perdita di apprendimento, valutando che l’impatto economico condurrà a una contrazione del PIL dei Paesi in media dell’1,5% nel resto del secolo[4].
E’ necessario poter disporre quanto prima anche in Italia di un quadro dettagliato e preciso relativo alla perdita di apprendimento, con un sistema di monitoraggio che consenta di rilevare le assenze prolungate, dalla didattica in presenza e a distanza, per avere dati certi sull’impatto educativo che l’emergenza in corso sta provocando nel Paese e agire tempestivamente per raggiungere gli studenti più in difficoltà, con un intervento precoce che preveda un piano individualizzato per il supporto e il recupero degli apprendimenti.
L’analisi internazionale e i rischi connessi al mancato accesso all’educazione
La chiusura delle scuole è iniziata nel febbraio 2020, l’11 marzo è stata dichiarata la pandemia, spingendo il 91% degli studenti del mondo ad abbandonare le aule nel mezzo dell’anno scolastico[5].
A livello globale, la differenza nei giorni di istruzione persi dai bambini e ragazzi che vivono nelle diverse aree geografiche diventa drammaticamente chiara: in America Latina, nei Caraibi e in Asia meridionale, i minori hanno trascorso 110 giorni senza alcuna istruzione, in Medio Oriente 80 giorni, nell’Africa subsahariana 69, nell’Asia orientale e nel Pacifico 47, in Europa e nell’Asia centrale 45 giorni, in Europa occidentale 38.
Oltre alla perdita di apprendimento, bambini e adolescenti che non vanno a scuola sono esposti a un rischio maggiore di lavoro minorile, matrimoni precoci e altre forme di abuso e hanno maggiori probabilità di essere intrappolati in un ciclo di povertà per le generazioni a venire. Si stima che la pandemia globale spingerà altri 2,5 milioni di ragazze al matrimonio precoce[6] entro il 2025.
Ci sono state enormi discrepanze nell’accesso all’apprendimento anche nelle nazioni più ricche durante la pandemia. Gli studenti negli Stati Uniti, ad esempio, sono più disconnessi da Internet rispetto agli studenti di altri Paesi ad alto reddito, il che probabilmente ha influito sul loro accesso all’apprendimento remoto. Solo due Paesi dell’UE hanno livelli di accesso a Internet inferiori rispetto agli Stati Uniti: Bulgaria e Romania. All’inizio della pandemia, oltre 15 milioni di studenti, dall’asilo alle superiori delle scuole pubbliche statunitensi, non avevano Internet adeguato per l’apprendimento a distanza a casa[7]. Anche altri Paesi più ricchi hanno lottato per fornire uguali alternative online per l’apprendimento scolastico. In Norvegia, mentre quasi tutti i giovani tra i 9 ei 18 anni hanno accesso a uno smartphone, il 30 per cento non ha accesso a un PC a casa. Nei Paesi Bassi, un bambino su cinque non ha un PC o un tablet per l’apprendimento da remoto.
“È necessario che a livello globale i governi e i donatori agiscano immediatamente per prevenire un impatto irreversibile sulla vita di milioni di bambini che potrebbero non tornare più a scuola. È necessario garantire che tutti i minori non solo possano tornare a scuola in modo sicuro e inclusivo, ma anche che siano riconosciute loro tutte le risorse necessarie per sostenerli nel rientro a scuola, sia per un recupero degli apprendimenti sia per consentire loro la ripresa della socialità che è fondamentale per la loro età. Con l’introduzione dei vaccini, c’è la speranza che si possa vincere la battaglia contro il virus, se tutti i paesi potranno accedervi. Ma perderemo la guerra contro la pandemia se non garantiremo che i bambini e gli adolescenti abbiano un’educazione, accesso ai servizi sanitari, ad una alimentazione adeguata e siano protetti.” conclude Daniela Fatarella.
La risposta di Save the Children alla pandemia
In risposta all’epidemia di COVID-19 e all’impatto sull’istruzione, Save the Children fornisce materiali per l’apprendimento a distanza, come libri e kit per l’apprendimento a casa, lavorando a stretto contatto con i governi e gli insegnanti per fornire lezioni e supporto tramite radio, televisione, telefono, social media e app di messaggistica. L’Organizzazione si sta pure assicurando che bambini e adolescenti siano al sicuro a casa e non perdano i pasti o i kit per l’igiene mestruale che normalmente ricevono a scuola. Inoltre, fornisce una guida ai genitori e ad altri operatori sanitari per garantire che abbiano le giuste informazioni su come sostenere l’apprendimento e il benessere dei propri figli a casa.
Save the Children sta anche collaborando con le autorità educative per aiutare a pianificare il ritorno sicuro a scuola, lavorando con e per conto dei bambini per garantire che i responsabili delle decisioni siano consapevoli delle loro preoccupazioni.
In Italia, sin dall’inizio della crisi Save the Children ha rimodulato e potenziato le attività sul territorio per rimanere al fianco di bambine, bambini e adolescenti e delle loro famiglie, intercettando e rispondendo, in rete con associazioni partner territoriali, a vecchi e nuovi bisogni emersi nel corso della pandemia, con interventi di sostegno materiale alle famiglie, distribuzione di tablet e connessioni, sostegno alle scuole e sostegno educativo e psicosociale per bambine, bambini e adolescenti. Nei primi sei mesi dall’avvio del programma (giugno-dicembre 2020) sono state raggiunte e sostenute oltre 66 mila persone, tra bambini, bambine, famiglie e docenti in tutta Italia. Dall’inizio dell’emergenza ad oggi, tramite le due iniziative “Non da Soli” e “Riscriviamo il Futuro” sono stati raggiunti oltre 141 mila bambini, bambine, famiglie e docenti.
Le voci dei bambini e degli adolescenti
Santiago, 13 anni, frequenta una scuola per minori con ipoacusie profonde sostenuta da Save the Children in Venezuela. La scuola è chiusa dall’inizio della pandemia. Ha detto: “Ciò che mi fa sentire triste, preoccupato e spaventato è il non poter tornare tra i banchi, perché mi piace la scuola. La gente mi capisce lì. Quando non posso andare in aula, piango e voglio solo dormire. Quello che vorrei dire ai bambini nel mondo che si sentono tristi, spaventati o preoccupati è che sono miei amici. E che non sono soli”.
Jonathan *, 15 anni, è un attivista per i diritti dei bambini di Save the Children in un campo profughi in Uganda, come molti minori ha perso la scuola nell’ultimo anno. È preoccupato per i suoi amici che, con la chiusura, hanno abbandonato definitivamente la scuola e che ha visto finire a lavorare e, nel caso delle ragazze, incinte o costrette a matrimoni precoci. Ha detto: “Mi sento male quando gli altri bambini non vanno a scuola. Perché senza istruzione nessuno può avere successo. Se non si va a scuola, tutto sarà difficile, si rimarrà per sempre analfabeti”.