Chi scrive è Pietro Cavallotti, il quale con un post sulla sua pagina Facebook, nell’esporre una sintesi dei fatti che hanno sconvolto la vita della sua famiglia, pone degli interrogativi, talvolta anche inquietanti, in merito all’operato di taluni magistrati, periti e amministratori giudiziari. La vicenda della famiglia Cavallotti, salita alla ribalta delle cronache in particolare a seguito dell’inchiesta giornalistica sul “caso Saguto“, impone un’attenta riflessione sulle incongruenze di norme che consentono l’applicazione di misure cautelari, sequestro dei beni e confisca, anche in capo a persone che accusate di gravi reati vengono poi assolte senza che però possano rientrare in possesso dei propri beni e senza la possibilità di rivalersi per i danni subiti.
“Gentile dottoressa Pasciuti, – scrive Pietro Cavallotti
È da un po’ di tempo che penso di scriverLe. Non so se leggerà mai questa lettera. Circa un anno fa inviai una pec alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Caltanissetta ma non ho avuto alcun riscontro.
Apprezzo molto gli sforzi e la tenacia con cui sta portando avanti un processo difficile le cui udienze seguo con grande attenzione attraverso Radio Radicale.
Solo la stima e la fiducia nei Suoi confronti unitamente al desiderio di verità e giustizia muovono la mia penna a raccontarLe i dubbi, le certezze e le speranze che agitano la mia coscienza.
La ventennale vicenda giudiziaria della mia famiglia, purtroppo, è nota a tutti e non è mia intenzione ripercorre nelle poche righe di questa lettera tutte le tappe della via crucis che hanno segnato irrimediabilmente la nostra vita.
Ho ascoltato la requisitoria del dottore Bonaccorso e mi ha molto sorpreso sentire che gli “indiziati di appartenere alla mafia” che hanno subito la confisca di prevenzione non devono sperare nella revisione dei processi.
È a questo proposito che voglio rappresentarLe alcune circostanze che Le saranno, almeno in parte, note.
Noi figli, dopo otto anni di sequestro, abbiamo ottenuto la restituzione del nostro patrimonio (o, meglio, delle sue macerie) solo perchè è mutata la composizione del collegio giudicante.
Non Le sarà sfuggito che la dottoressa Saguto e il dottore Fabio Licata, in attesa del deposito della perizia da loro stessi disposta, avevano deciso di confiscare la nostra azienda; la stessa azienda che altri giudici hanno dissequestrato dopo avere letto la perizia.
Non Le sarà sfuggito neppure che Licata e Saguto avevano deciso di “suggerire” al Pubblico Ministero titolare dell’accusa nel nostro processo di prevenzione i documenti (in questo caso la parola “documenti” deve intendersi nel significato letterale e non nel senso di “soldi”) che quest’ultimo avrebbe dovuto depositare per permettere al collegio di emettere il decreto di confisca.
Forse La potrà incuriosire il fatto che si tratta dello stesso Pubblico Ministero coinvolto in quella scandalosa rivelazione del segreto d’ufficio rispetto alla quale Lei ha pronunciato parole durissime contro il Magistrato in questione.
Non so se tale condotta possa essere astrattamente inquadrata in alcuna norma incriminatrice. Quel che rileva è che soltanto lo scandalo Saguto ci ha evitato l’amarezza di una confisca ineluttabile.
La stessa fortuna non l’hanno avuta i nostri padri che hanno patito la farsa di un processo in cui l’esito era stato scritto fin dal primo momento.
È vero quel che dice il Suo collega Bonaccorso e cioè che “gli errori ci sono”. Ma è vero pure che il sistema del quale la Saguto era una parte non ha permesso ai miei familiari di porre rimedio agli “errori” (se così li vogliamo definire). Si dice che un solo errore può condizionare l’esito di tutto il processo e forse è vero.
Infatti, la posizione dei miei familiari è stata compromessa a causa della perizia redatta dai Periti nominati dal collegio presieduto dalla Saguto. Uno di questi Periti é coinvolto nella vicenda del Palermo Calcio per avere truccato una perizia; l’altro è intimo amico della famiglia Saguto-Caramma. Se fossi in malafede, direi che alcuni professionisti riescono a nascondere le condizioni fallimentari di una società fallita con la stessa facilità con cui fanno emergere sperequazioni inesistenti per confiscare. Ma siamo in buona fede e non lo possiamo dire.
Stiamo ai fatti. I suddetti professionisti sono stati incaricati sia nel procedimento di prevenzione che riguarda i padri sia in quello che ha coinvolto noi figli. Ma non è questo il punto. Il punto è il seguente.
Nel primo caso, per calcolare i consumi familiari, l’incidenza del costo della manodopera ed altro, i Periti hanno adoperato alcuni criteri che hanno portato a ravvisare una sperequazione tra il valore del patrimonio in sequestro e la capacità reddituale dei componenti dei vari nuclei familiari attinti dalla misura cautelare.
Nel secondo caso, dopo lo scandalo Saguto, per calcolare le stesse identiche cose, gli stessi Periti hanno usato criteri diversi che hanno portato a ravvisare la perequazione.
La conseguenza é che i padri hanno subito la confisca mentre il processo di noi figli si è concluso con il dissequestro.
Non può non sorgere il sospetto, allora, che la perizia dei padri sia stata fatta allo scopo di avallare la confisca oppure, ove così non fosse, secondo criteri errati che, guarda caso, proprio dopo lo scandalo, non sono stati più seguiti.
Inoltre, durante l’appello nel processo di prevenzione il Procuratore Generale, il dottore Florestano Cristodaro, aveva chiesto la revoca della confisca riconoscendo i miei familiari vittime di mafia. Chiedete a quel coraggioso Magistrato il perchè di quella richiesta. Ci eravamo commossi tutti fino alle lacrime perchè pensavamo che finalmente lo Stato si era accorto della nostra innocenza. Sembrava la fine di un incubo ma così non è stato perché la Corte confermò il decreto senza rispondere ai rilievi difensivi, facendo letteralmente copia e incolla di alcuni passi di quella perizia e, neanche a dirlo, del decreto di primo grado.
Inutile dire che il primo decreto (e, per conseguente copiatura, quello di secondo grado) ha travisato il contenuto delle propalazioni dei collaboratori di giustizia escussi sia nel processo di prevenzione che in quello di merito, conclusosi, come è noto, con sentenza di assoluzione dall’infamante accusa di associazione mafiosa.
Solo qualche aneddoto. Siino raccontava che Cavallotti non aveva rapporti con i mafiosi ma era destinatario di pressanti richieste di pizzo al punto da essere “spremuto come un limone” ma nel decreto di confisca si riporta che, secondo Siino, i Cavallotti erano in affari con la mafia.
Un altro pentito raccontava che i Cavallotti non erano mafiosi e che ne aveva sentito parlare come imprenditori di Belmonte Mezzagno, “paese vicino a Benedetto Spera” ma nel decreto di confisca si argomenta che, secondo quel pentito, i Cavallotti erano vicini a Spera, nel senso di avere interessi in comune con lui.
Brusca, quello di cui la Saguto si spaventava, riferiva che i Cavallotti avevano ottenuto la convenzione di Monreale “senza bisogno dell’intervento di Cosa Nostra” ma nel decreto di confisca è scritto che i Cavallotti si erano aggiudicati i lavori di Monreale grazie alla mafia.
Potrei continuare raccontandole di quell’udienza in cui la Saguto, non contenta delle risposte dei pentiti, cominciò a fare domande suggestive al punto tale che gli avvocati, primo fra tutti il compianto Fragalà per niente intimorito dall’arroganza e dalla prepotenza, dopo avere protestato, abbandonarono l’aula per l’impossibilità di esercitare i diritti di difesa.
Questo travisamento sa perché si è verificato? Perché i Giudici hanno preso gli estratti delle dichiarazioni dei pentiti rese al Pubblico Ministero (peraltro grande amica della Saguto) durante le indagini preliminari e non si è avuto il tempo e la volontà di leggere le risposte di quei pentiti alle domande degli avvocati durante il dibattimento.
Ma, ritornando all’appello, solo in tempi recenti abbiamo scoperto – e Lei lo potrà verificare – che era intenzione della Saguto offrire un posto di lavoro al figlio di un noto Magistrato. Il figlio avrebbe dovuto essere assunto nella misura di prevenzione in danno dei signori Virga di Marineo mentre il padre era il Presidente del collegio che in Corte di Appello aveva confermato la confisca nei confronti dei miei familiari. E a Provenzano che le chiedeva chi fosse il padre di colui che lo stesso Provenzano avrebbe dovuto assumere la Saguto rispondeva che si trattava del giudice che aveva “confermato i Cavallotti in appello”. Non importava chi fosse il figlio, del quale la Saguto non conosceva neanche il nome (figuriamoci le competenze). Importava solo gratificare colui che aveva “confermato i Cavallotti in appello”.
C’è, inoltre, un’altra singolarità. Il collegio presieduto dalla Saguto mentre si preparava a confiscare il patrimonio dei padri, nello stesso lasso di tempo aveva in cantiere il sequestro dell’azienda dei figli. Tale sequestro nella prefigurazione mentale dei Giudici aveva come presupposto indefettibile l’origine illecita del patrimonio dei padri. È indubbio che la confisca sia servita per il sequestro in danno dei figli. Ed è altrettanto evidente che, per colpire i figli, era necessario confiscare il patrimonio dei padri.
Basti pensare che la confisca è stata disposta nell’Ottobre del 2011 mentre il sequestro è stato emesso a Dicembre dello stesso anno.
Come può negarsi che le due decisioni, intrinsecamente connesse tra di loro, si siano influenzate vicendevolmente a discapito dell’imparzialità di giudizio? Ma è sempre possibile che il cervello di quei Magistrati funzionava “a comparti stagni”, per cui valutavano i padri senza considerare i figli e valutavano la posizione dei figli senza curarsi dei padri. Tutto è possibile.
Al di là di tutte le possibilità, c’è, però, la certezza che i miei familiari non abbiano avuto un giusto processo. Ma c’è anche il sospetto che si volesse arrivare a tutti i costi alla confisca.
Non è un caso che la Saguto nei giorni degli attacchi mediatici, confidandosi con i sui interlocutori, sperava nella conferma della confisca da parte della Corte di Cassazione. Perché? Quella confisca aveva innescato un domino di sequestri che aveva portato addirittura alla misura di prevenzione dell’amministrazione giudiziaria disposta nei confronti della Italgas s.p.a.. Se in quel momento fosse stata revocata la confisca Cavallotti sarebbe venuta meno la misura Italgas e con essa la credibilità della Sezione. Probabilmente sarebbe cessata la carriera della Saguto.
Che dire poi delle aziende dei padri? Già nella fase cautelare, erano state smantellate dall’Amministratore Giudiziario con l’avallo, però, degli stessi Giudici che poi avrebbero firmato il decreto di confisca.
Si tratta, peraltro, dello stesso Amministratore Giudiziario che la Saguto, nel corso delle sue dichiarazioni spontanee, in risposta alle Sue domande e finanche nelle conversazioni con i suoi familiari, indica più volte come uno dei peggiori Amministratori Giudiziari.
La Saguto ha raccontato di avere ricevuto una nota dai Servizi Segreti che la informavano che quell’Amministratore Giudiziario (o uno dei suoi fratelli) si era messo in società con un mafioso per “prendersi i lavori dei Cavallotti”. Sempre la Saguto ha detto di avere costretto l’Amministratore Giudiziario alle dimissioni e di avere trasmesso gli atti in Procura. La Saguto, però, non ha detto che tutte le scelte gestionali compiute durante l’amministrazione giudiziaria sono state autorizzate dai giudici della Sezione e che gli stessi giudici, come detto, hanno emesso il decreto di confisca. Lo stesso collegio, per di più, era stato informato della mala gestio attraverso numerose istanze che i miei familiari hanno depositato presso la cancelleria della Sezione.
E la Saguto si è scordata pure di dire che il collegio da lei presieduto, valorizzando la segnalazione mendace di quell’Amministratore Giudizario (lo stesso che la Saguto si vanta di avere costretto a dimettersi per le gravi anomalie riscontrate dai Servizi Segreti) e su proposta del Pubblico Ministero (a cui poi sarebbe stato consigliato quali documenti produrre per addivenire alla confisca con buona pace del principio dell’imparzialità del giudice) sequestrò e rase al suolo l’azienda di noi figli.
Lei, dottoressa Pasciuti, ha costatato che la Saguto era una figura carismatica e un sicuro punto di riferimento per la Magistratura palermitana e non solo. Lei ha documentato che la Saguto godeva di protezioni eccellenti nei gangli più alti delle Istituzioni.
Come si può escludere che la sua autorevolezza abbia potuto condizionare o indurre in errore coloro che hanno giudicato la mia famiglia?
Oppure: come può escludersi che alcuni individui (forse menzionati in qualche pagina nella famosa e misteriosa agendina) avessero interesse a mantenere in piedi certi provvedimenti perché da questi dipendevano posti di lavoro e incarichi per amici, conoscenti e amanti?
Io l’agendina non l’ho letta ma ho letto l’elenco dei testimoni chiamati dalla Saguto a sua discolpa e, per strana coincidenza, ci sono molti Magistrati che hanno emesso provvedimenti sfavorevoli alla mia famiglia.
Possiamo escludere con certezza che qualcuno si sia distratto per compiacere qualche altro che avrebbe potuto ricambiare la cortesia con incarichi di varia natura?
Lei, dottoressa Pasciuti, ha sostenuto che gli incarichi venivano conferiti “a fiducia” o “per compiacere”, a prescindere delle competenze e che le parcelle venivano liquidate senza neanche sapere che cosa si stesse firmando.
Come possiamo escludere che anche i sequestri e le confische venivano fatti senza leggere le carte? Il dubbio c’è ed è terribile non solo se pensiamo alle misteriose circostanze del sequestro Virga di Marineo ma anche se consideriamo la confessione di Licata secondo cui i Giudici non avevano gli strumenti per verificare se quanto scritto nella proposta fosse vero oppure no. Ma se non si poteva verificare la veridicità dei dati contenuti nella proposta, significa che si sequestrava “a fiducia”? Questa affermazione fa il paio con un’altra ammissione di Licata, quella che nel processo di prevenzione le indagini cominciano dopo il sequestro. Ma, se è così, significa che i sequestri non erano preceduti da indagini esaustive ed adeguate alla gravità di provvedimenti in grado di distruggere persone e patrimoni?
Non si spiega il motivo per il quale la Procura della Repubblica di Palermo, investita degli esposti con i quali la mia famiglia ha lamentato la mala gestio, in tutti questi anni non sia intervenuta.
Questi sono i dubbi che ci tolgono il sonno la notte e che occupano i nostri pensieri di giorno.
In un Paese civile le Istituzioni dovrebbero rispondere a queste domande. Dubbi e incertezze di questa portata minano il rapporto di fiducia tra lo Stato e i suoi cittadini. Non si tratta di questioni filosofiche. C’è di mezzo la vita della gente!
Quel che voglio dire non è che tutte le confische emesse dal collegio presieduto dalla Saguto siano sbagliate.
Voglio semplicemente sostenere che nel caso dei miei familiari la confisca è stata emessa senza che ce ne fossero i presupposti, travisando i fatti, sulla base di una rappresentazione non veritiera dell’origine e dell’evoluzione del patrimonio e con uno spregio alle prerogative della difesa tanto evidente quanto sospetto.
Non si tratta, quindi, di rivedere tutte le confische o di mandare all’aria quanto di buono si è fatto in questi anni sul fronte dell’aggressione dei patrimoni (veramente) mafiosi.
Semplicemente non è giusto vessare persone estranee alla mafia. Non si può mantenere sigillata con il coperchio della confisca la pentola del malaffare che ribolle di una ingiustizia grave e palese.
Chi ha il potere e gli strumenti per porre rimedio agli abusi e non interviene non è meno colpevole di chi si è nutrito della carne degli innocenti le cui ferite sono ancora sanguinanti.
A Lei, dottoressa Pasciuti, chiedo solo di valutare la rilevanza di fatti obiettivi e di circostanze specifiche perchè una giustizia fatta a metà non è giustizia.
Lei ha dalla sua parte il coraggio, gli anni e, soprattutto, l’accento toscano per andare fino in fondo in questa brutta vicenda.
A chi sa come sono andate realmente le cose chiedo di farsi avanti perché c’è bisogno di verità mentre a quelle poche mele marce che hanno gettato fango addosso alla Magistratura rovinando la vita della mia famiglia dico di pentirsi e di confessare.
La giustizia non può essere solo una bella speranza. È un obbligo cui lo Stato deve adempiere nei confronti di chi, da innocente, ha sofferto pene atroci.
Dopo vent’anni di calvario, con la fiducia imperitura nella parte sana della Magistratura e con la speranza di chi è assolutamente certo di essere nel giusto, chiediamo solo che ci venga restituito ciò che abbiamo creato con i sacrifici nel corso di una vita completamente dedita al lavoro.
La saluto cordialmente
Pietro Cavallotti