“Era bella, stupenda. Lucia, una sera, non tornò più a casa ed è stato dolore immenso per tutti i paesani”.
Quanto è antica la crudeltà degli uomini verso le donne? Una crudeltà ancestrale che si perde nella notte dei tempi, della quale spesso non resta neppure il ricordo. Già nell’antica Roma scopriamo che il femminicidio era più frequente di quanto non si possa immaginare.
Di Prima Florenzia, la sedicenne vissuta al tempo della Roma imperiale uccisa dal marito Orfeo, abbiamo saputo grazie a uno studio condotto dall’archeologa Anna Pasqualini che analizzando le epigrafi latine ha ricostruito molti casi di femminicidio avvenuti ai tempi dell’antico impero.
“Restuto Piscinese e Prima Restuta posero a Prima Florenzia, figlia carissima, che fu gettata nel Tevere dal marito Orfeo. Il cognato Dicembre pose. Ella visse sedici anni e mezzo” – questo è quello che rimane di Prima Florenzia, un’iscrizione funeraria di poche righe.
Un dolore antico e moderno, raccontato da Rita Pedditzi per Inviato Speciale Radio1 Rai – in occasione della “Giornata mondiale contro la violenza sulle donne” – che ci porta a Montedoro, paesino della Sicilia, per parlarci di Lucia, una ragazza tredicenne uccisa nel 1955. Un delitto per il quale mai nessuno ha pagato.
“Eri colomba pura, io ti ricordo nel vestitino di fanciulla, candida e povera, così ti vide l’orco che con l’inganno ti trasse nel suo covo dove pose fine ai tuoi giorni d’innocenza e di splendore”. “
Sono i versi che Giuseppe Alfano, oggi 84 anni, maestro di Montedoro, piccolo centro di 1200 abitanti dell’entroterra siciliano, in provincia di Caltanissetta, ha dedicato a Lucia Mantione, tredicenne assassinata il 6 gennaio 1955, e che nessuno ha mai dimenticato. Un delitto impunito.- commenta Rita Pedditzi – che sconvolse la comunità. Oggi a tenere vivo quel ricordo ci sono i racconti di molti, chi l’ha conosciuta, chi ha giocato con lei, chi era troppo piccolo e ne ha sentito parlare.
Un racconto che si perpetua nel tempo. Calogero Messana ha creato un blog, per scavare nella memoria del paese. Lo incontriamo in piazza.
“La famiglia di Lucia è una famiglia di zolfatai, in ogni caso una famiglia povera – racconta Messana al microfono della giornalista – per cui questa ragazza a 13 anni si prestava a fare qualche piccola commissione, quindi magari andava al negozio a comprare delle cose per le famiglie benestanti, oppure portava dall’artigiano delle cose da riparare”. Il ritratto di una bambina come tante altre. Di una famiglia povera ma normale. “Infatti, la sera che è scomparsa – prosegue Messana – il 6 gennaio, l’epifania del 1955, era uscita per andare a comprare una scatola di fiammiferi”. Lucia si era spostata dalla parte alta del paese per andare in centro. Lucia, non tornò più a casa.
“Era un giovedì quel giorno dell’epifania di 64 anni fa – narra la Pedditzi – La pioggia battente aveva inumidito la campagna. All’orizzonte le nubi coprivano la parte bassa del paese, abitato perlopiù da contadini e minatori. Nelle case ai bambini, la Befana portava, come da tradizione, solo qualche dolce e caramelle. Quel pomeriggio c’erano poche persone in giro per le strade. Un gruppo di bambini giocava a nascondino nella piazzetta del paese. La sera cominciava ad oscurare le vie e i lampioni si accendevano”.
Per Lucia non ci sarebbero più state caramelle. La sua vita, a differenza dei lampioni, quella sera si spegneva per sempre.
È ancora Messana che narra di come la famiglia, dinanzi al ritardo di Lucia, cominciò a preoccuparsi e di come i fratelli e i vicini si misero alla ricerca della ragazza. Una ricerca durata tre giorni. Fin quando il 9 gennaio, in un casolare abbandonato, trovarono il corpo di Lucia. Era stata strangolata, probabilmente dopo un tentativo di violenza. Messana ricorda come dopo questo fatto che sconvolse la piccola comunità, le mamme tenessero in casa i figli, in particolar modo le bambine.
“Un delitto rimasto senza autore – commenta la giornalista – Un delitto misto all’omertà di un paese, dove qualcuno ha avuto paura di parlare. Una storia di violenza e di troppi silenzi, che non ha visto assicurare la giustizia a una minorenne, in un paese fatto di mille mormorii ma nessun testimone.”
Al Circolo “Raccolta Civica” si ritrovano ogni sera i giovani di allora.
Ci sono Angelo, Lillo, Giuseppe e il maestro Alfano che è stato l’insegnante di quasi tutti loro.
“Io ricordo, da bambino si parlava sempre con un certo timore, quel timore di uscire a una certa ora la sera…”
È il ricordo drammatico della paura del mostro, dell’orco.
È la giornalista che chiede che idea ci si fosse fatta in paese.
“In quei giorni circolavano tutte le voci possibili e immaginabili. C’era un paese in fremito… sconvolto… tutti che si chiedevano, si interrogavano, chi può essere stato…”
La psicosi, l’angoscia che prende d’improvviso dinanzi tanto orrore, raccontata da chi può testimoniare di quei giorni.
“Le voci erano piuttosto confuse. Poi c’era uno fuori dalle righe che portava i carabinieri in giro con una camionetta, dicendo che sapeva dov’era stata portata Lucia. Hanno girato tante case in campagna ma non si è saputo mai niente…”
Le voci. Tanti mormorii annegati nell’omertà della paura.
“Una martire. Una martire innocente. La ricordo da bambina, la vedevo passare davanti la casa dove abitavo io. Passava sempre. Era una ragazza bella, ma povera e quindi attraeva…”
“Lucia per noi ha un significato profondo. Io ero bambino, però è una cosa che è rimasta impressa nella mia memoria. Questa ragazza uccisa non si sa perché, non si sa da chi… e la rabbia, ricordo la rabbia dei miei genitori, di mia mamma specialmente, diceva: Possibile che non debbano trovare l’omicida? Immagina che siamo negli anni ’50… e quindi la mentalità nostra… per cui l’omertà… Però per questo fatto particolare c’era una rabbia enorme…”
“Lucia non solo non ha avuto giustizia – racconta la giornalista – ma nemmeno un funerale. Il corpo senza vita della piccola è stato privato anche della semplice benedizione. Perchè mai, si domanda da allora la comunità. Così, Federico Messana, originario di Montedoro ma emigrato a Milano, ha scritto al vescovo di Caltanissetta. La risposta è arrivata scarna e dopo mezzo secolo. A gennaio di quest’anno, in occasione dell’anniversario dell’atroce delitto, per Lucia è stata celebrata una messa.”
“Ora, da grande, pensavo perché una ragazza che è stata assassinata non è stata portata in chiesa – racconta un testimone al microfono della Pedditzi – Un brutto segnale da parte della Chiesa, anche se la Chiesa era questa a quei tempi…”
Lucia strangolata. Lucia uccisa dal silenzio. Lucia uccisa ancora una volta da chi avrebbe dovuto averne pietà. Una mentalità arcaica che – nonostante la mamma avesse chiesto che venisse celebrato il funerale – non permise neppure la benedizione della salma di una bambina, perché a quei tempi chi era morto di morte violenta, indipendentemente dalle ragioni, non si portava in chiesa.
“Da parte della Chiesa, un arroccarsi nella mentalità medievale. Una bambina di 13 anni… non glielo fecero il funerale…” – afferma il maestro Alfano.
Soltanto una “messa riparatoria” dopo oltre mezzo secolo.
All’ingresso del paese, in via Cavour, dallo scorso novembre c’è una panchina rossa.
“L’unica cosa che siamo riusciti ad ottenere dal comune quando lo scorso anno avevamo proposto di rifare la sua tomba al cimitero, fare un piccolo monumento – racconta Calogero Messana – ci hanno rifiutato il luogo, però il comune, di propria iniziativa, ha fatto la panchina rossa dedicata a Lucia Mantione, simbolo delle donne vittime di femminicidio.”
“All’ombra di un grande cipresso, nel piccolo cimitero di Montedoro, nella nicchia che raccoglie le spoglie di Lucia – racconta la giornalista Pedditzi – ci sono sempre i fiori e una foto dei genitori che migrarono dopo la tragedia. L’hanno messa i concittadini, quasi a riunire ciò che la mano dell’uomo ha spezzato.”
“Era alta, era bella, era stupenda, aveva due trecce… e forse questo ha fatto innamorare tante persone – ricorda Rosanna, amica di giochi di Lucia, che ha parla da mamma col cuore spezzato, che ha perso un figlio, il carabiniere Giovanni Domenico Salvo – Eravamo quella sera al battesimo di un mio cugino, quando all’improvviso è scoppiato il terrore nel paese: Tutti i bambini a casa… tutti i bambini a casa… è scomparsa una bambina… Quella sera Lucia non è più tornata a casa… ed è stato il dolore immenso di tutti i paesani… I miei ricordi sono quelli di una madre attaccata alla ringhiera della villetta vicino la chiesa, che piangeva disperatamente perché non avevano voluto, per le leggi ecclesiastiche, fare entrare il corpo di sua figlia. Questo fattaccio è rimasto nei cuori di ogni montedorese… ci ha feriti… Nel suo piccolo loculo, nel suo angolino dove Lucia è sepolta, è sempre un pellegrinaggio di tutte le persone. Ricordo il pianto di quella mamma, molto amaro. Una madre che piange i figli l’ho scoperto anch’io, perché anche a me è morto un figlio a trentuno anni… Che dire di Lucia? Lucia è la nostra Maria Goretti!”
Un dolore antico che si rinnova nelle lacrime di chi ha perso un figlio. Una violenza antica il cui dolore si rinnova nella mancata giustizia, in quell’omertà di chi sapeva e ha taciuto, in quella mancata benedizione. Oggi, una panchina rossa ricorda Lucia e con lei le tante Lucia e Florenzia legate tra loro dall’istinto bestiale di chi, questa volta sì, prima di presentarsi dinanzi al Supremo forse non avrebbe diritto neppure a una benedizione…
Gian J. Morici
Commovente e impressionante. Spero che ogni anno si celebri una Santa Messa in ricordo della piccola innocente Lucia che avrà giustizia nel suo esempio alle nuove generazioni ….
Mi ha molto rattristato la tragica fine della ragazzina Lucia Mangione (che fra l’altro porta lo stesso cognome di mia mamma) e soprattutto per come in un clima di paura di immischiarsi nelle cose degli altri e una sorta di omertà di convenienza (tipica delle nostre zone, io sono nato a Milena) Le sia stata negata la giustizia civile e il conforto religioso con un funerale cristiano. Meritano un plauso quanti, come Messana, si stanno adoperando per ricordare Lucia Mangione assassinata negli 1955 a soli 13 anni. Una preghiera per la Sua anima. Alfonso Garlisi
Era un bocciolo di donna innocente non ancora tredicenne che fu violentemente reciso. In una società di poteri strutturati ma inefficienti, arcaici, ingiusti e talvolta collusi, sia civili che religiosi, narrati ormai dalla triste storia di “Luciedda”. Solo il pietoso ricordo degli abitanti di quella piccola comunità ha mantenuto nel tempo il senso intramontabile di giustizia. “Pietas” degna di un poema omerico, di una umanità di fondo, antropologica quindi, cui ci affidiamo come un valore irrinunciabile e di cui vogliamo mantenere il ricordo. Vi preghiamo quindi di mantenerci informati sugli eventuali sviluppi delle nuove promesse indagini sia pubbliche che private. Grazie