Un colpo di pistola sotto l’ascella. Ha posto così fine alla propria esistenza il maresciallo della Guardia di Finanza, S.C. di 43 anni, che lascia la moglie e tre figlie in tenera età.
Si tratta del 45° suicidio tra appartenenti alle Forze dell’Ordine e Forze Armate nel 2019, che sembra essere l’anno nero delle morti, talvolta annunciate, tra chi indossa una divisa.
Annunciate come quella di T.R., del Settimo Reggimento Alpino, che si è tolta la vita nel proprio alloggio nella caserma Salsa di Belluno.
Una morte annunciata, secondo quanto riportato da altri organi stampa, poiché erano note le sue condizioni di salute, tanto che due mesi prima del terribile gesto, la Commissione medico-ospedaliera di Padova l’aveva giudicata “temporaneamente non idonea”. Perché, dunque, domenica pomeriggio si trovava da sola in caserma dove ha messo fine alla propria esistenza? Conoscendo il particolare momento di crisi che stava attraversando la trentenne T.R., cosa è stato fatto per evitare che mettesse in atto il suo insano gesto?
Una domanda, quest’ultima, che potremmo porci quasi ogni qualvolta accadono simili luttuosi eventi.
Non avevamo avuto neppure il tempo di scrivere del triste epilogo della vita del Primo Caporal Maggiore degli Alpini T.R., che giungeva la drammatica notizia di un’altra morte per suicidio. Un poliziotto 52enne della Digos della Questura di Vibo Valentia, con un colpo di pistola decideva di porre fine alla propria vita.
Una lunga scia luttuosa, che in taluni casi forse si sarebbe potuta interrompere intervenendo prima che fosse troppo tardi. Quello di T.R. non è infatti l’unico caso che deve portarci a interrogarci in merito alle misure adottate per aiutare chi sta vivendo un particolare periodo di difficoltà e le cui accertate condizioni psicologiche non lasciano molti dubbi in merito al negativo evolversi della situazione.
Anche quello di G.C. 37 anni, in servizio all’ufficio prevenzione generale della questura di Palermo, suicidatosi nel mese di agosto lungo l’A19, all’altezza di Villabate, non può e non deve essere considerato un evento imprevedibile, visto che per problemi di salute gli erano stati ritirati il tesserino e l’arma d’ordinanza. Doveva essere sufficiente questo a impedirgli di mettere fine alla propria esistenza, o l’averlo messo nelle condizioni di non poter svolgere il proprio lavoro senza averlo aiutato ad affrontare i problemi, non ha fatto altro che dargli un ulteriore motivo per porre fine a un’esistenza ritenuta ormai impossibile?
Sotto il profilo normativo, le carte sono sempre in regola. La causa i problemi personali, nessuna norma che preveda un percorso che aiuti a uscire dal tunnel della depressione, nessuna norma che imponga di non far sentir solo chi vive un momento particolare della propria vita.
Poco importa se – oltre a possibili motivazioni personali – alla base del dramma ci sono servizi stressanti, stanchezza o superiori che guardano al raggiungimento di obiettivi, dimenticando di avere dinanzi delle persone e non delle macchine.
L’unica iniziativa che è stata intrapresa (quantomeno per la Polizia) è l’Osservatorio che dovrebbe aiutare a prevenire i suicidi. A giudicare dai risultati, però, non si può certo dire che non si sia stato un vero fallimento.
La vita di un militare o di un appartenente alle Forze dell’Ordine è difficile per diverse ragioni. Stress, spostamenti che interrompono reti sociali, prolungate separazioni dalle famiglie, traumi, finiscono con il comportare depressione e ansia.
Senza un’analisi per capire i fattori scatenanti, senza uno studio che ci aiuti a comprendere quando, dove e in quali momenti queste persone diventano più a rischio di suicidio, senza una adeguata preparazione ad affrontare il fenomeno mettendo al primo posto la salute e il benessere di uomini e donne in divisa, utilizzando – in mancanza di altri fondi – quel fiume di denaro che si spende inutilmente per auto incensazioni di questo o di quel ministro, di questo o di quel generale, a nulla serviranno le bandiere, se non ad avvolgere le bare di chi abbiamo abbandonato a sé stesso, lasciando che trovi da solo la via d’uscita. Poco importa se sarà un colpo di pistola, un cappio, il gas di una marmitta o un lancio nel vuoto. Al silenzio dello Stato e dei tanti che dovrebbero sentire il dovere di interessarsi dello stato di salute di chi quotidianamente serve l’Italia, risponde solo il silenzio raggelante di una morte che si poteva e si doveva evitare.
Gian J. Morici