“Da familiare di vittima innocente di mafia, la mia prima reazione dinanzi la condanna dell’Italia da parte della Corte europea dei diritti umani, per aver assunto la decisione di continuare ad applicare il regime carcerario del 41bis a Bernardo Provenzano fino al momento della sua morte, sarebbe stata quella di inserirmi nel dibattito condannando, moralmente, la sentenza in questione”.
Ad affermarlo è Giuseppe Ciminnisi, coordinatore nazionale dei familiari delle vittime di mafia dell’associazione “I cittadini contro le mafie e la corruzione”.
Ho riflettuto a lungo sulle ragioni e sull’opportunità di intervenire, considerato che proprio a causa di una strage voluta da Provenzano, in età adolescenziale ho perso mio padre. Una delle due vittime innocenti di quella che è conosciuta come la strage di San Giovanni Gemini del 1981.
Provenzano – prosegue Ciminnisi – per quella strage venne condannato all’ergastolo. Nel commentare quella sentenza, io, che mi ero costituito parte civile, dichiarai che si era messo un punto importante in quella storia che aveva cambiato la mia esistenza, che era stata ribadita per la seconda volta la verità ed era stata fatta Giustizia.
Ciò premesso, nel ribadire il mio pensiero favorevole al 41bis come strumento utile ad evitare che i boss possano continuare a comandare dal carcere, devo, mio malgrado, ammettere che l’applicazione di misure così dure nei confronti di un uomo – seppur un criminale – che a causa di un tumore e dell’Alzheimer era ridotto a uno stato quasi vegetale e non più in grado di nuocere, rischia di apparire come una vendetta istituzionalizzata da parte di uno Stato che per decenni non ha saputo, o grazie alle collusioni di parte delle Istituzioni, non ha voluto impedire e punire le ingiustizie.
La forza di uno Stato si misura nella Giustizia, non nella vendetta. Quella vendetta – conclude Ciminnisi – alla quale io, da comune cittadino e nonostante il dolore patito, ho rinunciato, confidando nello Stato che non può e non deve agire alla stregua dei criminali che punisce. Altrimenti, ricorrendo alle stesse barbarie, non potremmo dichiararci diversi da loro.”