Su “Inviato Speciale”, sulle frequenze di Rai Radio 1, il programma a cura di Roberto Taglialegna.
I numeri parlano chiaro, l’informazione dà fastidio e ogni giorno assistiamo a tentativi di imbavagliarla, riconducendo a “più miti pretese” gli operatori del settore. Giornalisti e blogger sono quotidianamente sottoposti a tentativi di censura, a minacce, a violenze che rischiano di mettere in crisi la libertà di stampa, un diritto sempre più minacciato anche nei cosiddetti Paesi liberi.
La forma meno grave, ma non per questo meno insidiosa, è il ricorso alle querele per diffamazione utilizzate non per far valere un proprio diritto ma soltanto per mettere il bavaglio a quelle voci che risultano poco gradite.
Secondo le stime di “Ossigeno per l’informazione”, l’osservatorio sulla libertà di stampa in Italia, dal primo gennaio al 31 marzo del 2018, erano già 76i giornalisti che avevano subito minacce. Questi numeri rappresentano comunque soltanto la punta dell’iceberg, visto che nella maggioranza dei casi le vittime per non incorrere in conseguenze più gravi, preferiscono evitare di denunciare o di far conoscere il dramma che stanno vivendo.
Se il ricorso alla minaccia di querela è l’espediente più comune per zittire una voce molesta, quello più grave e pericoloso rimane la minaccia o l’atto violento.
È su questi aspetti che si è focalizzata l’attenzione della giornalista Rita Pedditzi, del programma “Inviato Speciale” di di Rai Radio 1, che a Napoli ha intervistato Giancarlo Palombi e Simone Di Meo.
“Non ci fa paura la Camorra, non ci fanno paura le indagini della magistratura per fuga di notizie”, dice Simone Di Meo, un giornalista che in terra di Camorra sfida quotidianamente le ire dei padrini, e non solo quelle loro.
Secondo Di Meo, anche in terra di Camorra si riesce a raccontare di tutto, ma quello che si perde di vista è il cercare di narrare i fatti senza dare giudizi di merito sulle inchieste e sulle storie vere e proprie, precisando inoltre che la criminalità organizzata può essere un ostacolo al lavoro del cronista, fino ad un certo punto.
“Quanti giornalisti ci sono qui minacciati?” chiede la Pedditzi.
La risposta non lascia dubbi in merito al fatto che siano tanti ma che molti preferiscano non denunciare, come afferma Giancarlo Palombi, al quale fa seguito Di Meo che narra di intimidazioni fisiche, telefoniche, via mail, fino ad arrivare all’ultima che lo ha portato a denunciare tutto alla Squadra Mobile di Napoli, avvenuta nel corso della presentazione del suo libro in Calabria, dove un malvivente spalleggiato da una ventina di complici, gli ha impedito di completare un suo intervento nell’ambito di un caffè letterario, minacciandolo e costringendolo a rientrare in albergo scortato dai carabinieri.
Palombi ha invece scoperto per caso di essere vigilato dalla polizia, a causa di telefonate giunte al giornale dove lavorava all’epoca. Il direttore ne diede comunicazione alla Digos che a seguito di indagini predispose il servizio di vigilanza, non un vero e proprio servizio di tutela. Qualche passaggio saltuario della volante sotto casa del giornalista.
Anche Di Meo è stato sottoposto a vigilanza che però non ha mai notato nonostante dagli atti risulti. Entrambi precisano di non aver avuto alcun tipo di scorta o di tutela, salvo questa forma di vigilanza leggera, a quanto sembra invisibile agli stessi tutelati.
“Le vostre cronache, quindi il vostro lavoro, è stato riconosciuto e riportato in Gomorra, di Roberto Saviano” fa notare la giornalista.
Un lavoro riconosciuto per il quale Saviano ha subito la condanna per plagio, poiché diversi passaggi di Gomorra erano stati desunti o riportati fedelmente da inchieste firmate da altri giornalisti. Un racconto ricco di particolari, come il trasferimento dopo l’arresto di un boss, al quale non avevano assistito altri giornalisti, con l’aggiunta di un piccolo dettaglio stilistico, in verità non avvenuto, ma fedelmente riportato in Gomorra. “Abbiamo avuto forse la stessa fantasia in quel momento” – afferma quasi sorridendo il giornalista al microfono della Pedditzi.
Riguardo la questione delle scorte proposta dal Ministro dell’Interno, i due giornalisti, pur ribadendo che Saviano come tutti gli altri giornalisti minacciati debbano essere tutelati, ritengono che il Ministro abbia fatto bene a porre il problema delle scorte poiché andrebbe fatto un ragionamento sull’utilità o meno della scorta ma che una volta assegnata (quindi una volta accertatane la necessità – ndr) deve essere presa come cosa fatta. Si potrebbe invece avviare una riflessione sul fatto che lo Stato non si faccia carico della protezione totale dello scrittore quando questi è impegnato in attività a fini di profitto, affidandone, se non in toto in parte, la protezione all’organizzatore dell’evento.
Intanto, la situazione attuale, è quella che vede taluni personaggi, come Saviano ed altri, tutelati e super scortati, mentre altri, forse ancor più esposti, come i due giornalisti intervistati, senza alcuna forma di tutela.
Gian J. Morici