JUS SOLI E JUS SOLAE, CITTADINANZE E LATINO MACCHERONICO
Una volta il latino, magari un po’ approssimativo, era la lingua della scienza. Ed in tempi meno lontani, è stato la lingua del diritto.
Le tracce di questo passato non inglorioso si hanno più nel linguaggio degli ignoranti, nel gergo e nel dialetto, che in quelli delle persone colte (o considerate tali) le quali hanno subito adottato in luogo del latinorum, un lessico approsimativamente ed efficacemente fuorviante anglosassone che testimonia le “novità” del diritto e le altre questioni alla moda.
Questo fenomeno linguistico ha avuto, ad esempio, una parte non secondaria nella formazione del glorioso dialetto romanesco. Molti strafalcioni delle biascicate giaculatorie chiesastiche e del frasario della Chiesa sono diventate degli splenditi termini insostituibili del dialetto e del gergo immortalato da G.G. Belli: mignotta, terenosse etc. etc.
Altrettanto splendore, anche perché manca un nuovo Gioachino Belli a conferirgli lustro, non ha e non avrà mai la depredazione del lessico anglosassone ed il suo “adattamento” alle esigenze della parlata della gente di Roma e d’Italia.
Ma, intanto, se tramonta l’uso del latino tra quelli che una volta si chiamavano uomini di legge e si perde la memoria delle derivazioni dal latino della Curia e della Chiesa di parole ancora sonanti ed insostituibili (chi sa qualcosa dell’origine della parola “mignotta”??) rivengono fuori magari tra i semianalfabeti pantelematici, oggi prevalenti nel ceto politico, alcuni che hanno fatto tesoro (si fa per dire) nientemeno del latino. Il sentito dire è la base culturale che io ho visto prevalere in personaggi che ho avuto vicino e che sono assunti a fama di icone di una nuova civiltà.
Così ci deve essere stato qualche campione di questa arte del linguaggio simbolico a ridare nuovo lustro, all’espressione “jus soli” per indicare quello che dovrebbe essere, più o meno, il nuovo Editto di Caracalla sulla cittadinanza, stavolta, della nostra povera Repubblica, ai cosiddetti “migranti”.
La fortuna delle riesumazioni di questa espressione della sapienza giuridica dei tempi del “latinorum”, mai ottenuta da altri pur utili e calzanti termini, può far sperare in una ripresa del passaggio dal latino, magari di quello neomaccheronico, se non al linguaggio dei parlamentari e dei politici, a quello della gente cosiddetta “comune”, al dialetto, a questo nostro recettivo e brillante dialetto romanesco.
Così, senza allontanarmi dalla questione cittadinanza in cui lo jus soli ha fatto irruzione a proposito ed anche a sproposito, ho pensato che ben considerando il latinorum ed il dialetto, anzi, il gergo romanesco, si potrebbe avere una definizione, una denominazione sintetica del collezionismo di cittadinanze onorarie procurate dai Cinquestelle al noto Di Matteo Antonino, detto Nino, definizione utile soprattutto in considerazione del fatto che, intanto questo signore è per unanime voto delle Oche del Campidoglio, cittadino onorario dell’Urbe, qualifica cui si direbbe debba accedere qualcosa almeno del dialetto romanesco.
Jus soli? La cittadinanza onoraria ne è l’antitesi, l’ossimoro. Ma il buon uso del sentito dire e delle assonanze, unito ad una buona conoscenza del lessico gergale, dei “dritti” della Capitale, può sfornare il più calzante dei termini capaci di definire opportunamente questi grotteschi conferimenti di ancorché onorarie cittadinanze.
“Jus solae”. Mezzo latino, mezzo gergo della mezza malavita romana.
La “sola” a Trastevere, a Testaccio, a Tiburtino è uno dei termini con i quali si indica la truffa, la “stangata” (per usare la reminiscenza cinematografica).
Casanova, richiestagli dove avesse pescato il titolo di cui facevo uso di “Cavaliere di Seingalt”, rispose puntuale: “dall’alfabeto”.
Un diritto dall’alfabeto per i tioli cavaliereschi e seminobiliari. Un diritto dalle “sole” per le cittadinanze onorarie.
Qualcuno, con quel po’ di coraggio che rimane anche alle persone che hanno paura delle ombre, ha definito “inquietante” il fenomeno di quello strano collezionismo di questo illustre e singolare personaggio. Cittadino di cento Città “jure solae”. Di cui è maestro.
Mauro Mellini