Settantatré anni fa un commando di partigiani uccise in un attentato a Via Rasella 33 soldati tedeschi. I soldati morti in seguito alle ferite furono in totale 42, ma la rappresaglia nazista si “fermò” a 335 persone.
Almeno 15 dei morti sono tuttora ignoti, perché aggiunti all’ultimo momento da Kappler, una decina rastrellati senza alcuna responsabilità in Via Rasella subito dopo l’attentato, e diversi ebrei già detenuti o arrestati per l’occasione. Nessuno sforzo reale fu fatto per trovare gli attentatori (tutti partigiani del GAP), l’unico impegno dei nazisti fu di trovare dieci italiani da uccidere per ogni soldato tedesco morto, il metodo che Kappler usava per tenere a freno le azioni partigiane.
Impossibilitati a trovare in così breve tempo 335 italiani che potessero essere ritenuti coinvolti nella guerriglia urbana contro i nazifascisti, vennero prelevati anche detenuti comuni da Regina Coeli e detenuti politici da Via Tasso, il carcere speciale fascista in cui venivano rinchiusi e torturati principalmente gli aderenti al PCI. Tra questi c’era anche mio nonno materno, Lorenzo conosciuto per tutta la vita con il nome di battaglia “Peppe”. Era un pesce piccolo, un nessuno, un carbonaio di origine calabrese che manteneva quattro figli portando a spalla sacchi di carbone da cento chili per tutta Roma.
Però era comunista e iscritto al PCI, e per questo fu arrestato e torturato in Via Tasso. Prelevato dal carcere e caricato su un camion, insieme ad un altro pazzo riuscì in qualche modo a buttarsi dal camion in corsa nei pressi di quella che oggi è Piazza dei Navigatori, a pochissimi chilometri dalle Fosse Ardeatine. L’indifferenza dei tedeschi e la necessità di accelerare i tempi per concludere la vicenda probabilmente gli salvò la vita, e grazie a questo io sono qui a raccontarla.
I romani, i romani veri, sanguinano ancora tutti dalla ferita delle Fosse Ardeatine, un atto di cieca violenza nei confronti di persone che nulla avevano a che fare con la strage di Via Rasella. Ogni anno la ricorrenza viene celebrata giustamente da tutte le più alte cariche dello Stato. Ogni anno, da settantatré anni, tutti si raccolgono in quel luogo sacro per i romani e per gli italiani, simbolo di passione e libertà.
Tranne quest’anno il sindaco di Roma, che sta a sciare.