Sono stato spesso rimproverato per un certo intellettualismo poco conciliabile con le mie convinzioni socio-politiche, favorevoli alla “popular culture”. Forse perché penso che oggi il relativismo etico e morale si impone come nuova norma sociale, fino a minacciare le basi della libertà individuale, di coscienza. Sono convinto che quella che solitamente definiamo “la realtà” oggi non esiste, non è, che un “derivato”del nostro cervello, che attinge la conoscenza dall’informazione mediatica, spegnendo la capacità di critica, la consapevolezza, rendendo incapaci di discernere fra il vero e il falso, fra il bene e il male, fra il progresso e il disastro ambientale.
Sono i “poteri forti”, i detentori della chiave della comunicazione di massa, manipolano il Popolo, utilizzando alcune regole. Una di queste consiste nell’inventarsi un problema, per causare una certa reazione da parte del pubblico, con lo scopo che sia questo il mandante delle misure che si vogliono far accettare. Oggi, la realtà stessa è linguaggio. Il linguaggio, è dominato dai “poteri forti”pertanto quel che dovrebbe fare un intellettuale è rifiutare tutto ciò che viene comunicato attraverso i canali ufficiali. In questo “marciocontesto” mi chiedo: ma dove sono finiti gli intellettuali, gli anticonformisti, eretici, che con fermezza introducevano dubbi persino alle certezze ideologiche. Forse si sono estinti, essendo figli di di questa società che poco dà in termini culturali e morali? Forse perché ci sono rari modelli da seguire, pochi stimoli per sviluppare e quindi elaborare giudizi critici, idee originali, progettualità politiche innovative? Vorremmo che gli intellettuali fornissero una voce “diversa ” sui grandi temi dell’economia, della politica, della scuola, del sindacato in un momento in cui la connivenza e la compiacenza sembrano caratterizzare i rapporti dei nostri grandi media con il potere politico.
Vorremmo che si facessero da parte i tuttologi, ospiti fissi dei salotti televisivi, i sociologici che periodicamente ci aggiornano sui temi vitali per la società ad esempio l’amore e l’amicizia, i filosofi delle stranezze e tutti coloro che sono troppo accondiscendenti nei confronti del potere del mercato. Vorremmo che gli intellettuali, quelli degni di questo nome, costituissero una specie di “fronte” di democrazia pulsante, richiamando l’attenzione su tutti quei problemi riguardanti non solo l’Italia ,ma l’umanità intera, che i mass- media tendono a marginalizzare. Viviamo in un mondo privo di sollecitazioni idealistiche , ma chi ce la potrà mai fornire una spinta ideale se anche gli intellettuali gettano la spugna. La speranza è che si sveglino ,che si “tuffino”con le loro ferme ingerenze nella politica,che riprendino la capacità di fare pressioni sul potere,rivoluzionando le “idee”. Spesso l’intellettuale rimane solo,ciò è comprensibile,ma gli rimane sempre e comunque la dignità e capacità di autorevolezza.
Non voglio credere che sono finiti i tempi in cui Pasolini lanciava anatemi contro la televisione e il consumismo, o quelli in cui Sartre manifestava con gli operai davanti ai cancelli della Renault. Come dimenticare il lucido monito lasciatoci da José Saramago (scrittore, giornalista, drammaturgo, poeta e critico letterario portoghese, insignito del Premio Nobel per la letteratura) quattro giorni prima della morte. Dinanzi alla moglie e agli amici più fidati quella sera affermò: “Non viviamo una crisi economica, è una crisi morale, per questo sarà tanto più difficile uscirne“. Sì! Saramago, un grande intellettuale che ci mancherà, aveva proprio ragione: la nostra è innanzitutto una crisi morale e se non si imbocca subito la strada giusta a pagare saranno sempre i più deboli, mentre privilegi e diseguaglianze cresceranno a dismisura.
Mi chiedo,dove sono gli intellettuali !
Aldo Mucci