(E IO VADO A SGURGOLA)
Alla fine Nino Di Matteo ce l’ha fatta. Ha conquistato l’ambito posto alla Procura Nazionale Antimafia, che ha sede a Roma, in un antico palazzo a Via Giulia, già sede di un museo di antichi strumenti di giustizia, cioè di tortura, di morte, con la gogna, la ghigliottina del Papa etc.
Posto ambito e conquista faticosa: Di Matteo ha dovuto sudare le classiche sette camicie, facendo due concorsi, per poterci andare. Però non ci andrà, almeno questo si propone. Appena anni fa fu diffusa la notizia della sua partecipazione al primo concorso per uno dei posti di Sostituto Procuratore Antimafia, Di Matteo, di fronte allo sconforto ed all’allarme del suo esercito, anzi, dei suoi eserciti, di fans palermitani, dichiarò subito che con ciò non avrebbe lasciato Palermo e la sua grande battaglia contro lo Stato, reo di “trattativa” cioè di tentar di sottostare ai ricatti della mafia. Avrebbe trovato il modo, pur vincitore del concorso, di restare a Palermo, al suo posto di combattimento. E’ noto che i magistrati “progrediscono” in carriera indipendentemente dalle funzioni effettivamente svolte. Ma nel caso c’era un più specifico espediente che consentiva agli angosciati cittadini di Palermo di starsene tranquilli a godersi il loro “uomo simbolo del processo sulla trattativa”.
La Procura Nazionale Antimafia, i cui compiti, in verità, sono alquanto vaghi e limitati, ha un organico in eccesso. Chi sa perché.
Sta di fatto che, per evitare che numerosi Sostituti stiano a girarsi i pollici, un numero considerevole, altissimo in proporzione del totale, non sta in quell’Ufficio a Via Giulia, ma è applicato” alle varie Procure Distrettuali Antimafia. Per lo più, almeno così era, ma sembra che continui ad andare così, i Sostituti “Nazionali” sono applicati alle Procure Distrettuali di casa loro, dei luoghi di provenienza. Sono in “trasferta”, ma rimangono là dove non si sono mai allontanati. Ci fu, mi par di ricordare una questione sull’indennità di trasferta percepita da quegli inamovibili, ma, naturalmente, non se ne fece nulla. Ma Di Matteo rinunzierà di certo a riscuoterla.
Ora di Matteo, che non è uomo che promette e non mantiene, si sta dando da fare per essere “applicato” a Palermo “al processo trattativa Stato-Mafia” ed a qualche “indagine collegata”.
Se le cose continuano come sono andate finora, l’applicazione, tra “lungoprocesso” e indagini connesse, durerà fino alla pensione.
Ma vediamo come mette la cosa il dott. Di Matteo (il magistrato “cittadino onorario” delle cento città).
Perché qualcosa che non quadra bene, in questa storia di concorsi in carriere automatiche senza “gradi”, di trasferimenti fatta salva l’inamovibilità, così strani per noi profani, tuttavia sembra pur esserci quando ce la racconta l’interessato.
“Non è facile lasciare la Sicilia. La scelta è dovuta per continuare ad impegnarmi nella lotta alla mafia…per far ciò si è dovuto cambiare ruolo ed ufficio”.
Dunque: se non avesse, alla fine vinto il concorso per il nuovo ruolo di Sostituto Nazionale, nell’Ufficio di Via Giulia in Roma, Di Matteo non avrebbe potuto continuare a lottare contro la mafia. Si direbbe, dunque che qualche norma di legge, di regolamento, oppure qualche soperchieria di un Capo, (Lo Voi?), magari un po’ invidioso di tante “cittadinanze onorarie”, gli impedissero a Palermo di lottare contro la mafia e che avessero cominciato ad imporgli di occuparsi di incidenti stradali o di controllo dello Stato Civile e di altra minutaglia indegna di un lottatore famoso.
Ma allora perché Di Matteo, ottenuto il trasferimento, si è precipitato a chiedere di restare dov’è? “non è una fuga dal processo (della “trattativa). Ho preannunziato al Procuratore Capo di Palermo ed al Procuratore Nazionale Antimafia la mia volontà di essere applicato al processo “trattativa” ed a qualche indagine connessa”.
Insomma: “per impegnarsi e continuare nella lotta alla mafia…ho dovuto cambiare ruolo ed ufficio”, ma, al contempo, mostrando di non voler certo “fuggire” ed, invece continuare imperterrito la lotta, ha chiesto di essere applicato all’ufficio in cui è stato finora dove, bene o male dovrà continuare a vedersela con un Capo incapace di bene apprezzarlo.
“Vallo a capì” si direbbe a Roma. Ma noi siamo profani e ci è precluso metter becco in certe astruserie.
Ma Di Matteo ci informa anche di un fatto assai allarmante. Ricordando il difficile percorso della sua nomina a Via Giulia, con la bocciatura al precedente concorso, ha dichiarato “qualche esponente istituzionale (?!?) ha posto…veti e pressioni perché la mia domanda non fosse accolta”. Chi? non lo dice: è notoriamente un uomo assai riservato.
Però anche questo è strano. Perché questi “veti” per il trasferimento in un ufficio, e non al vertice, di così vaghe e non straordinarie funzioni, da cui, oltretutto, è così facile tornarsene dove si è partiti? Questi “esponenti istituzionali” (non tanto difficili ad individuare) proprio non hanno di meglio da fare.
Valli a capì” lo ripeto, si dice a Roma.
Mauro Mellini
P.S. Leggo sulla stampa di oggi che il Consiglio Comunale di Roma ha conferito la Cittadinanza Onoraria della Capitale a Nino Di Matteo.
Ho subito scritto a Virginia Raggi, Sindaco di Roma, che rinunzio alla Cittadinanza dell’Urbe e mi accingo a richiedere, occorrendo a tal fine, quella di Sgurgola Marsicana.
M.M.