Il ricordo serve ma non basta, quando i numeri continuano ad essere quelli di una strage. Celebriamo oggi per la prima volta la Giornata della memoria e dell’accoglienza, voluta dal Parlamento con una legge in onore delle 366 persone che persero la vita 3 anni fa nelle acque di Lampedusa. Ma è un momento di riflessione scomodo, perché ci costringe a misurarci una volta di più con guerre e conflitti per i quali non si intravvedono soluzioni – dalla Siria alla Somalia, dal Sudan all’Iraq – e con gli impegni sulla ricollocazione dei migranti fin qui disattesi dalla gran parte degli Stati europei. Nel Mediterraneo si muore più di prima: quest’anno già 3500 vittime, in aumento rispetto allo stesso periodo del 2015. E a differenza dell’anno scorso, quando era l’Egeo a contare il maggior numero di morti, l’accordo tra Turchia e Ue ha modificato i flussi e ha fatto nuovamente aumentare il numero di vittime sulla rotta dalla Libia. L’Italia continua a prodigarsi in una straordinaria azione di soccorso, ma l’accoglienza non può coinvolgere soltanto un esiguo numero di Paesi europei. C’è bisogno che tutti gli Stati dell’Unione condividano la propria quota di responsabilità, come condividono le risorse che dall’Ue arrivano. I morti di Lampedusa chiedono all’Europa di non dimenticare le proprie responsabilità.