È ISIS, non lo è… Un tragico “m’ama, non m’ama…” nel quale i petali del gioco non sono quelli della margherita ma le vite umane spezzate in nome di un dio al cui nome a volte si lega il proprio destino e quello di altri innocenti negli ultimi giorni di vita.
“È ISIS, non è ISIS?”. Da settimane, come un mantra, la domanda è sempre la stessa. Ad ogni attacco terroristico, la storia si ripete.
La stampa oggi riporta la sintesi di una relazione dell’Europol su gli ultimi attacchi terroristici avvenuti in Occidente, riconducendo l’escalation di attentati ispirati al Califfato all’opera di “lupi solitari” malati di mente, mettendo in risalto che il rapporto dell’Europol riporta che il responsabile della strage di Nizza “soffriva di disordini psichiatrici ed era sotto cura”.
Con l’etichetta di “folle” abbiamo così sconfitto le nostre paure. Ma è davvero così?
Leggendo la sintesi del rapporto rilasciato dall’Europol, ci si accorge che con troppa facilità i nostri giornalisti hanno voluto minimizzare un dato che in realtà è molto più allarmante di quanto non lo si faccia apparire.
“I quattro attentati terroristici che si sono verificati negli ultimi mesi (Orlando, Stati Uniti d’America; Magnaville, FR; Nizza, FR; Würzburg, DE) evidenziano le difficoltà operative di individuare e interrompere gli attacchi da parte di lupi solitari – si legge nel rapporto – l’Europol sottolinea che tali attacchi rimangono una strategia favorita per lo Stato Islamico (IS) e di al-Qaeda (AQ). Entrambi i gruppi hanno ripetutamente invitato i musulmani che vivono nei paesi occidentali a perpetrare attacchi solitari nei loro paesi di residenza. Tutto ciò è stato fatto per mezzo di numerose pubblicazioni e messaggi pubblicati on-line”.
“Anche se l’IS ha rivendicato gli ultimi attentati – si legge nella nota divulgata ai media – nessuno dei quattro attacchi sembra siano stati programmati, logisticamente supportati, o eseguiti direttamente dall’IS”, nonostante l’organizzazione terroristica abbia approvato gli attentati.
Il dato che merita particolare attenzione, è quello relativo alla rivendicazione da parte dell’Agenzia jihadista A’maq che pretende di avere le informazioni ricevute da una “fonte” non identificata, affermando che gli attacchi erano stati esseguiti da “soldati del Califfato” o da “combattenti dell’IS”, a differenza di precedenti azioni terroristiche rivendicate ufficialmente dall’IS, per le quali erano entrati in azione membri dell’organizzazione terroristica appositamente inviati per compiere gli attentati.
L’Europol, differenzia dunque le due tipologie di rivendicazione, così come in realtà fa lo Stato Islamico. Le rivendicazioni dell’IS, provengono infatti da Raqqa, la capitale del sedicente Califfato, e riguardano gli attentati pianificati a livello centrale e portati a termine da cellule addestrate e in contatto con le milizie islamiche; mentre gli attentati ad opera di “lupi solitari”, seppur in adesione al più recente appello di Adnani, portavoce del Califfato, non vengono rivendicati a livello centrale, ma dai media jihadisti che li utilizzano per la propaganda.
Ed è proprio la propaganda lo strumento utilizzato dal gruppo terroristico che tramite i network jihadisti e i tanti predicatori che agiscono nelle madrasse e nel web, fornisce ai membri e ai simpatizzanti quel senso di appartenenza che si trasforma in un collante psicologico che va ben al di là della cultura e dei valori delle forme di terrorismo che abbiamo conosciuto in Occidente, il cui fine era quello di raccogliere simpatie per la loro causa o rovesciare l’ordine sociale attuale.
Differenze note a chiunque abbia letto il libro di Antonio Evangelista dal titolo “Madrasse – Piccoli martiri crescono tra Balcani ed Europa”, nel quale spiega l’uso strumentale e distorto dell’insegnamento del Corano, finalizzato all’incitamento al jihad.
Madrasse, così come “La torre dei crani” o l’ultimo libro dello stesso autore, dal titolo CALIFFATO D’EUROPA, rappresentano una testimonianza documentale dell’evoluzione e della crescita dell’estremismo islamico che oggi trova nei network jihadisti lo strumento più efficace per fare proselitismo e organizzare attività terroristiche.
Se è pur vero, così come riporta la nota dell’Europol, che nelle gesta compiute da “combattenti” nonostante il fatto che un certo numero di attori solitari leghino alla religione e all’ideologia i loro atti, il ruolo di potenziali problemi di salute mentale non deve essere trascurato e che anche l’attentatore di Nizza aveva sofferto di un disturbo psichiatrico grave ed era stato sotto trattamento, non va nemmeno trascurato che lo stesso rapporto menziona cambiamenti nel modus operandi dell’IS e che ad una parte significativa dei combattenti stranieri sono stati diagnosticati problemi di salute mentale prima di entrare a far parte dell’IS.
Quanto conta dunque il fatto che una persona, in questo caso un “lupo solitario”, sia più o meno psicolabile, se lo stesso rapporto dell’Europol mette in evidenza il potere motivante del discorso jihadista a determinati segmenti di pubblico?
Mentre in passato i leader terroristici tendevano ad escludere soggetti affetti da una qualsiasi forma di psicopatologia individuale perché questo li rendeva pericolosi per l’organizzazione stessa, grazie ai nuovi metodi di comunicazione, indottrinamento e reclutamento, che non richiedono un contatto diretto con i leader carismatici, né l’appartenenza organica alla struttura terroristica, si è arrivati alla scelta razionale di utilizzare anche l’instabilità di questi soggetti nell’ottica di una strategia ottimale per il raggiungimento degli obiettivi politici e religiosi del gruppo.
Nessun investimento, nessun rischio e massimo risultato. A prescindere da quale sia la provenienza, il livello culturale, le ragioni che lo muovono, il “lupo solitario” è determinato a subordinare la propria identità individuale a una identità collettiva, spesso guidato da un leader carismatico che agisce a migliaia di chilometri di distanza, convincendolo ad abbracciare gli obiettivi del gruppo e ad immolarsi in nome di Allah.
L’adesione, sia pure virtuale o autoproclamata, a un gruppo radicale fornisce un senso d’identità, di potere e di comunità, anche a persone che da sole sarebbero ai margini della società e non sarebbero prese in considerazione da nessuno.
Non deve dunque stupire che ad aderire, sia pure solo ideologicamente, all’organizzazione terroristica, siano anche soggetti con una storia passata di emarginazione e umiliazioni, ai quali lo Stato Islamico prospetta, con i suoi inviti e l’ideologia del gruppo, la possibilità di una vendetta, una rivalsa verso un mondo dal quale si sentono traditi, un momento di gloria e un’eternità che li vedrà tra i prescelti del loro dio.
A prescindere dal contesto sociale nel quale sono nati e cresciuti, a prescindere dal loro livello di conoscenza della dottrina, i terroristi islamici sono dotati di uno spirito di sacrificio che non hanno neppure i loro leader, i cui obiettivi sono spesso puramente politici, a tal punto da esser pronti a diventare martiri per la loro causa. Follia? Forse sì, ma se il fanatismo religioso non fosse tale, sarebbe fanatismo?
La stessa etimologia della parola ci riconduce alla follia, sia che la si riporti al latino “fanaticum”, ovvero invasato da estro divino, sia che la si voglia ricondurre all’arabo “fanā”, l’annichilimento nell’amore per il divino.
Chi di noi porterebbe a termine un attentato kamikaze in attesa che un dio ci conceda in premio delle vergini?
E senza l’input dello Stato Islamico, gli attentati di Orlando, Magnaville, Nizza, e Würzburg, sarebbero avvenuti?
Trovata la risposta a queste domande, avremo la risposta al tragico “m’ama, non m’ama…”, chiarendoci una volta per tutte se è ISIS o non è ISIS.
Gian J. Morici