
Oggi, ad Agrigento, molti begano per occupare posti di comando o di lavoro nel sistema dei beni culturali e della Valle dei Templi. Altri corrono a prenotarsi un posto nella gloria sfruttando l’occasione di una politica della toponomastica che sembra usata per dare un contentino a questo o a quello.
Ieri, quando questo patrimonio era in serio pericolo, si era in pochi a difenderlo dagli eventi naturali e dagli assalti della speculazione edilizia e delle aree fabbricabili arrivata fin dentro la Valle, con la complicità di generazioni di amministratori e notabili democristiani e loro alleati di turno.
La frana del 1966 scoperchiò una realtà sconvolgente, disastrosa. I principali responsabili del “sacco di Agrigento” (documentato da lucide inchieste ministeriali e regionali e della stampa nazionale e internazionale), invece di andarsi a nascondere, passarono al contrattacco e misero a soqquadro la città, ordinando l’assalto, la devastazione degli uffici del Genio civile.
In quel drammatico frangente, sul piano politico solo il PCI, agrigentino e nazionale, (altre voci non si udirono) si contrappose, coraggiosamente, (poiché oltre alle ragioni, ci voleva anche coraggio politico e personale) alle ruspe degli speculatori e alla demagogia dei suoi capi, anche professionisti di grido, i quali giunsero a minacciare di far saltare i templi con la dinamite.
Non a caso, unitamente ai dirigenti della Soprintendenza, chiedemmo la vigilanza armata, la”scorta” ai monumenti. Infatti, per un certo periodo, la polizia di Stato vigilò sui Templi dorici di Agrigento. A questo si giunse!
Poi vennero altre frane e altri pericoli (come quelli accennati in questo articolo del 1983), i processi e le assoluzioni per scadenza dei termini, ecc.
Un periodo critico, denso di contraddizioni, di omissioni, di becere complicità, sul quale sarebbe interessante raccogliere un po’ di carte, di testimonianze, per costruire una memoria da trasmettere alle nuove generazioni e che sia di monito a dirigenti e amministratori cui sono affidate le sorti del nostro, inestimabile patrimonio.
Personalmente, farò del mio meglio per documentare l’impegno del PCI ai diversi livelli che- com’è noto- non si fermò alla denuncia, ma fu propositivo e portatore di riforme.
Fra le quali, ricordo la famosa legge regionale n. 80 del 1977, (istituzione della soprintendenza unica) nata, come risultante di un qualificato convegno nazionale interdisciplinare che tenemmo ad Agrigento, a seguito della frana del 1976 che interessò il costone orientale del tempio di Giunone. Per inciso aggiungo che, in breve tempo, riuscimmo a ottenere dal governo nazionale i finanziamenti necessari per intervenire sulla frana e salvare il tempio.
Oggi, vediamo la Cattedrale ancora in bilico fra le chiacchiere e le malferme balze argillose su cui riposa.
Concludo dicendo che i Templi bisogna difenderli sempre e da ogni pericolo, da ogni interferenza. Anche da certe discutibili presenze com’é – a mio avviso- la statua di Mitorai collocata davanti al tempio della Concordia.
Quest’opera avrà i suoi pregi e poteva essere esposta per un certo periodo, ma non può convivere in eterno con i Templi, perché é un corpo estraneo.
Se poi qualcuno ci tiene a mantenerla, magari in omaggio alla potenza dei suoi attributi virili, che almeno si sposti in un sito appartato affinché non interferisca con l’armonia e con la bellezza dei Monumenti greci.
Agostino Spataro