L’incontro a casa sua a Parigi. Alle sue spalle, una collezione di macchine fotografiche fa bella mostra, accanto ad oggetti e testi di vario genere.
Lo studio nel quale ci accoglie è quello di un professionista affermato. Nulla che tradisca la professione di Georges Starckmann. Un paio di pistole ad avancarica – forse repliche – e la miniatura di un sottomarino sulla mensola della libreria, sono gli unici oggetti che parlano di guerre. Guerre antiche e guerre moderne.
Tutto il resto parla di arte, di cultura e passione per le cose antiche.
Un uomo tranquillo, che discute pacatamente di argomenti ai più incomprensibili, sagacemente spezzati con un sense of humor non comune. Gli anni sembrano non aver lasciato il loro peso su quest’uomo dagli occhi vispi e arguti, tipici di chi nella vita ha visto e vissuto più di quanto la fervida immaginazione possa partorire.
Georges Starckmann è un uomo interessante, capace di catturare l’attenzione del suo interlocutore portandolo a parlare di ciò che lui vuole. Sgusciando come un’anguilla quando l’argomento rischia di portarlo su un piano pericoloso.
Trafficante d’armi, miliardario, agente segreto, avventuriero. Le etichette si sprecano. Ora a servizio della Francia, ora a servizio della potenza di guerra americana.
L’amico personale di George Bush, autore del libro “Noir Canon” con il quale ha svelato alcuni retroscena della sua lunga carriera di mercante d’armi, si appresta a pubblicare un altro libro che riguarda questa professione atipica guardata con sospetto dalla gente comune.
“Noir Canon, è nato dalla necessità di chiarire molte cose non vere che si sono dette sul mio conto”.
Il ghiaccio è rotto e Starckmann inizia a raccontare di sè, ripercorrendo momenti importanti di una vita avventurosa da romanzo.
“Ho partecipato alla liberazione di Parigi. Poi mi hanno proposto un lavoro in Tunisia, dove ho avviato un cantiere di costruzione di mezzi navali. Il mio primo mestiere. Fu durante quel periodo che conobbi delle persone che mi chiesero se ero in grado di poterli aiutare ad estradare armi verso Israele.
Erano gli anni dell’immediato dopoguerra e di armi in giro ce ne erano parecchie, anche in Italia si trovavano quelle lasciate dai tedeschi. Un personaggio chiave dell’epoca era un polacco che durante la guerra aveva lavorato con gli americani. Iniziai a lavorare con lui, fin quando non mi misi in proprio. Le armi venivano spedite dalla Tunisia grazie alle navi che trasportavano ferro e cemento. Poi fu la volta dei servizi segreti francesi. Il mio ruolo principale era quello di evitare che le armi entrassero in Algeria”.
Ripercorre le tappe di un lavoro che – come lui stesso dice – nessuno voleva fare, ricordando che all’epoca in particolare per quanto concerne il periodo che riguardava l’Algeria, l’Italia non aveva un ruolo importante come lo avevano invece la Spagna e la Jugoslavia nel transito delle armi. Ma di rapporti con l’Italia accenna parlando della P2 e degli interessi del Vaticano nella geopolitica e nel settore armiero.
“Il Vaticano, tramite la Banca Ambrosiana, si occupava di questi affari. In particolare due vescovi curavano gli interessi vaticani. Uno di loro era molto attivo nel rapporto con gli ortodossi, mentre l’altro curava gli aspetti relativi ai finanziamenti. Gli investimenti per lo più riguardavano i sistemi di puntamento che venivano finanziati direttamente dal Vaticano.
Un lavoro tranquillo, visto che i servizi italiani non si interessavano a noi perché c’era dentro anche la Marina e il Vaticano. E inoltre c’erano i rapporti con la P2… Certo, se fossimo ancora a quei tempi – quelli della P2 – se ci fossero gli stessi uomini, tutto quello che sta accadendo con le guerre legate al terrorismo, non potrebbe accadere”.
Parliamo di armi, di calibri, di sistemi di puntamento e di mercati. Parlare di armi con Starckmann, è come parlare di una materia scolastica con un insegnante. Stessa competenza e stessa disinvoltura nel discutere di una professione atipica in merito alla quale non è difficile favoleggiare.
“Lo scopo, agli inizi della mia carriera, era quello di fornire le armi a coloro che combattevano il comunismo. I contatti per la fornitura delle armi avvenivano in Svizzera e da lì lavoravo con società che avevano sede a Panama. Per la legge svizzera non c’era alcun problema nel commerciare in armi, purchè le aziende, nonostante avessero sede in Svizzera, non facessero passare su territorio elvetico gli “articoli” commercializzati. A parte gli aspetti fiscali, relativi al pagamento delle tasse non c’erano altri controlli e questo rendeva abbastanza semplice l’approvvigionamento in paesi dell’ex URSS e da tutta l’area balcanica, per rivendere le armi ad altri stati”.
I toni e la semplicità con la quale parla del mercato delle armi potrebbero lasciar supporre che l’argomento siano i famigerati Kalashnikov o al massimo i Manpads o le calibro 12,7. Ma Georges Starckmann non è un trafficante, è un mercante di armi che ha fornito armamenti pesanti.
“Compravo armi a Praga, in Bulgaria, nei paesi ex comunisti, che poi vendevo agli anticomunisti.
Ho commerciato carri leggeri in Spagna, in Brasile e missili anticarro in Germania. Oltre a una grande quantità di mine. Ma io stesso, oltre a commercializzarle, le armi le ho prodotte.
Molte cose sono oggi cambiate nel nostro settore. Non ci sono più molti europei e prevalentemente si vedono siriani, libanesi e giordani, molti dei quali non sanno neanche di che cosa parlano.
Ho buone relazioni con Mosca e gli Stati Uniti ma non ho mai fatto nulla che fosse contrario ai miei principi. Se anche stessi facendo il mercante di armi, non fornirei mai in un paese dove c’è il rischio che le armi possano finire nelle mani di organizzazioni terroristiche. Nel corso della mia carriera ho sempre avuto dei principi che ho rispettato.
Una volta, tanto per fare un esempio, Pinochet mi chiese tre carri T-55 con tutte le attrezzature originali, compreso le divise. Nonostante fosse anche disposto a pagare in anticipo, mi chiesi perché quella richiesta. All’epoca aveva dei problemi con il Perù e capii che voleva simulare una falsa intrusione dei peruviani in Cile per sostenere di essere stato attaccato. Non so chi ci fosse dietro l’operazione, ma risposi che non mi sarei prestato a quel gioco”.
Torniamo a “Noir Canon”, il libro che ha fatto non poco discutere a seguito delle rivelazioni contenute su un mondo ai più ignoto, dove affari, armi e servizi segreti, si mischiano in una girandola di successi e delusioni di una vita da romanzo.
Un libro da leggere, considerato come in molti sono intervenuti per cercare di arginare questa fuga di dettagli che si vorrebbe restassero segreti.
E se “Noir Canon” ha sortito questo effetto, cosa accadrà con il nuovo libro che Starckmann sta scrivendo?
Incontrare il mercante d’armi, sentirne raccontare le storie, lo sciorinare nomi più e meno noti, lascia aperto lo spazio alle domande: Qual è la situazione attuale? Chi compra e vende armi? E soprattutto, a chi le vende?
Starckmann è schivo. Non cerca pubblicità, non ne ha bisogno. Qualche battuta, il suo sense of humor, un sorriso appena accennato e poi devi cercar di leggere tra le parole non dette per capire gli scenari attuali di un gioco che vede sulla scacchiera i russi, gli americani, gli arabi, ma anche i cinesi e i paesi europei, lanciati in una nuova avventura.
Finchè c’è guerra c’è speranza…
Gian J Morici