Diciamocelo pure, quante volte nel leggere un articolo ci siamo chiesti se il giornalista non fosse un prezzolato, servo di un padrone al quale si è consegnato spontaneamente?
Meretrici da vecchi bordelli che vendono un momento di piacere a padroni laidi, arroganti e spesso semianalfabeti.
Battone da strada – con rispetto per chi esercita il mestiere più antico del mondo – che grazie alle credenziali, troppe volte concesse con grande facilità, accedono alle sale luccicanti di quei lupanare in cui si sono trasformati i centri di potere.
L’Africa è certamente un paese meraviglioso. La stessa storia dell’uomo nasce dal continente africano. Ma qual è oggi la realtà dei paesi africani? Ovviamente non si può generalizzare parlando di alcuni stati come se parlassimo di tutta l’Africa, ma non v’è dubbio che la situazione economica, politica e culturale, un po’ in tutto il continente, non raggiunge i livelli dei paesi più industrializzati.
Sfruttamento e guerre fratricide sono la piaga che mantiene l’intero continente ai livelli minimi, ma a volte anche al di sotto, degli standard utilizzati per definire una popolazione “civile”.
Colpa delle politiche locali, che mortificano preventivamente il proprio paese. Maggioranze ed opposizioni si confrontano ancora oggi secondo criteri tribali che danno spesso luogo a guerre fratricide tra quanti, pur di manifestare la propria avversità politica, non esitano a ricorrere all’uso del machete quale strumento di ripristino della “democrazia”.
Tutto ciò, danneggia prima di tutti quei cittadini che, forse ignari dell’impatto negativo che tali eventi hanno su altri popoli, condividono ragionamenti tanto rozzi, volgari e violenti, che facilitano i processi di “colonizzazione democratica” da parte delle multinazionali e dai governi ai quali fanno capo.
L’Africa è un continente meraviglioso! Ma dove finisce, o dove inizia, la bellezza di un luogo, quando tutto intorno è miseria, inciviltà, violenza; quando cultura e intelletto subiscono e si adeguano anziché imporsi?
Naufraga forse sulle coste o lungo le vie del Vecchio Continente, dove torme di migranti si lasciano alle spalle la loro storia, ma anche guerre e miseria, alla ricerca di un approdo in grembo alla civiltà? E con quali conseguenze visto che l’emarginazione diventa la regola che mortifica una intera collettività?
Bellezza, storia e identità culturale, risuonano parole vuote nelle stive di barche cariche di disperazione e morte. Parole vuote nei centri di accoglienza, nelle carceri dove finiscono in tanti, chi per fame, chi perché criminale era al suo paese e criminale resta altrove; chi per ragioni culturali e di costume sconosce e non rispetta le regole che gli altri popoli si son date.
Giuste? Sbagliate? Non spetta a me giudicarle e non mi vieta di poter esprimere le mie opinioni sui torti di chi si comporta in maniera indegna, secondo i nostri standard.
L’Europa merita tutto questo? Pur nella consapevolezza che quanti avversano ogni scelta in favore dell’accoglienza dei migranti – spesso ricorrendo a formule di pensiero intrise di razzismo – siano in errore, quello che accade mi porta a pensare che pur sbagliando a volte finiscano con l’aver ragione.
Senza fare riferimenti a ciò che è fin troppo ovvio, tanto da essere scontato, come i rischi legati al terrorismo, alla criminalità, alle tante problematiche di un flusso migratorio incontrollato, restiamo nell’ambito di quella stampa serva ricettiva come una troia da bordello. Purchè si paghi, ovviamente, la marchetta…
Nello stagno putrido dell’informazione serva, non è difficile trovare il giornalista che fa della professione meretricio. Tanto più se dalla sua ha il “marchio” di associazioni che certificano la bontà delle “prestazioni”, trasformando facinorosi e venduti in giornalisti perseguitati da regimi dittatoriali.
Purtroppo, evidentemente per negligenza e non per collusioni, anche associazioni di specchiata morale e principi, meritevoli di lodi ed encomi per le attività svolte in favore della libertà di stampa, finiscono con il patrocinare soggetti di dubbie qualità.
Censure, minacce e, ancor peggio, violenze, sono da condannare a prescindere da chi ne sia il destinatario. Fosse anche l’ultimo blogger del più sperduto villaggio africano o il cameriere di un bar che scrive su un tovagliolo la propria opinione. Ma siamo certi che tutti meritino le stesse attenzioni e che vadano indicati quali vittime di governi totalitari che perseguitano e a volte seviziano o uccidono chi fa informazione?
Trovare in Europa appartenenti alle diaspore africane non è difficile. Più difficile trovare giornalisti delle medesima provenienza che non facciano parte alle categorie su menzionate.
Accade così che ci si possa imbattere in giornalisti che in passato hanno ricevuto il “marchio doc” da associazioni come “Reporter senza frontiere” e che grazie a questo abbiano ottenuto di essere accreditati presso istituzioni europee o di carattere internazionale come le Nazioni Unite.
Come non meravigliarsi quando si scopre che questi personaggi equivoci, dopo aver lamentato la censura nel proprio paese, finiscono con l’assumere la difesa di soggetti attualmente processati dinanzi la Corte Internazionale dell’Aja per crimini contro l’umanità?
La spiegazione ufficiale addotta è quella – condivisa purtroppo anche da esponenti di più stati africani – secondo la quale tali presunti crimini andrebbero giudicati nei paesi d’origine.
Già, ma come mai non appena si tratta di accusare un avversario politico si pretende che risponda dei suoi crimini dinanzi una corte internazionale?
Anche il più disattento osservatore, il più superficiale, si rende conto che qualcosa non funziona. Tanto più se la difesa assunta dal giornalista riguarda un presunto criminale processato all’Aja per fatti denunciati anche da organizzazioni come Human Rights Watch e Amnesty International.
E se questa è la mercificazione dell’informazione, che sia per intima natura del giornalista o per becero compromesso, non meno grave e scandalosa è la disattenzione di taluni rappresentanti di governo che utilizzano voli di stato, ma anche mezzi e personale delle Forze Armate, per trasportare vettori della “democrazia del machete”, vestendo di santità improbabili, onestà e verginità inesistenti, i fautori di immonde campagne solidali.
La vergogna non esiste più. Agli appartenenti all’informazione con etichetta doc, è consentito fare ciò che gli stessi per altri avevano condannato.
L’atto estremo di chi consapevole della propria miseria morale, risponde alla realtà con la follia, perpetrando i medesimi crimini che aveva in precedenza denunciato a carico di altri.
L’Europa guarda, e fa a volte da aereo-taxi ad arroganti pronti a crogiolarsi dei propri onanismi cerebrali compulsivi e fetidi peti mentali. Il cittadino paga.
Come pensare di interrompere l’ascesa dei partiti più estremisti quando ad offrire le ragioni ad un’ideologia di fondo sbagliata sono gli stessi giornalisti che appartengono ai popoli per i quali chiedono rispetto?
Se integrazione assume il significato di voler tutelare chiunque, che sia un criminale o meno poco importa; se dovesse portarci all’accettazione di laide menzogne e rutti presuntuosi spacciati per informazione; se dovesse trasformarsi in una colonizzazione identica e contrapposta a quella che l’Occidente operò nel continente africano, non meravigliamoci se aumenteranno gli episodi di razzismo e le violenze.
La “democrazia del machete” lasciamola a chi ha la mente confusa dalle mortifere tempeste delle guerre tribali che sconvolgono il paese dal quale è venuto.
Gian J. Morici