Il mese di gennaio è il mese delle inaugurazioni dell’anno giudiziario. I magistrati, quelli della Cassazione e quelli delle Corti d’Appello, messe da parte le solite toghe nere più o meno “cordondorate”, si mettono addosso, primi presidenti, presidenti, procuratori generali ed avvocati generali (cioè colonnelli) rabboni rossi bordati di ermellino (pare però che oramai si tratti di imitazioni di plastica ed io mi domando dove le tengano il resto dell’anno), vanno processualmente nelle rispettive aule magne e riferiscono dello “stato della giustizia” alla presenza di autorità che vanno dal Presidente della Repubblica a quelli delle Regioni, a sindaci, consiglieri, assessori, generali etc. etc.
Dimenticavo gli ufficiali dei Carabinieri con la spada, la feluca, ed i pennacchi rossi e blu, come i Pompieri di Viggiù.
Scherzo, naturalmente, ma confesso che sotto sotto, queste cerimonie riescono ancora se non a commuovermi, a provocarmi qualche impressione. Sono, in sostanza, quello che resta di una giustizia che sempre ha coperto con l’ampiezza delle toghe e confuso con il brillar degli ori e con l’agitarsi dei pennacchi, le proprie magagne. E con i discorsi alati dei suoi esponenti e responsabili (che, poi, responsabili non sono).
Sin dall’Unità la Giustizia italiana, faticosamente raffazzonata con un’approssimativa omogeneizzazione tra le magistrature dei vari Stati Preunitari, si è riconosciuta nei pennacchi e nelle uniformi. Sissignori, nelle uniformi. In un libretto stampato nel 1878, benché intitolato “Norme di attuazione dei Codici…” ho trovato la descrizione delle uniformi dei magistrati. Non le toghe (da mettersele sopra) ma “completi” neri, con tanto di bordature di seta, alamari etc. a seconda del grado. E con la spada. I magistrati portavano al fianco una spada con impugnatura di lusso, di varia foggia a seconda che si trattasse di spade di Tribunale, di Appello o di Cassazione con diversa abbondanza di avorio, dorature etc.
Ma anche se non ho documentazione dei riti inaugurali dell’anno giudiziaro dei vari Stati Preunitari, posso dire che i maestri indiscussi di cerimonie come quelle che nei giorni scorsi si sono tenute nei palazzi di giustizia di Roma e di tutta Italia, erano i preti, i monsignori e cardinali ai tempi del Governo Pontificio.
Il fasto dell’inaugurazione dell’anno giudiziario del Supremo Tribunale della Segnatura Apostolica (Palazzo della Rovere a Corso Vittorio) era adeguato allo stile delle cerimonie pontificie. Ce ne dà testimonianza il Belli che così ne sintetizza la funzione ed il livello:
“Che belle ariveree co’ lì galloni!
Quante carrozze, corpo de la pece!
Che cavalli per ddio, tutti frocioni!
C’era un decane a sede s’una sedia
Je fece: che ciavemo? E lui me fece:
Sor Peppe annate su, c’è la commedia!”.
(15 agosto 1830)
Una volta il discorso inaugurale lo faceva solo il Procuratore Generale, snocciolando una serie di dati statistici e ricavandone, per lo più a vanvera, deduzioni possibilmente (ed anche impossibilmente) ottimistiche. Oggi parlano tutti: Presidenti, Procuratori, Capi correnti dell’A.N.M., Avvocati, rappresentanti di partiti e partitini.
Gli esperti riescono a tirar fuori dalla sintesi (si fa per dire) di tutti questi discorsi, rilievi più o meno rilevanti sull’aria che tira nella magistratura. Ma se qualcuno avesse la pazienza di andar a mettere il naso nelle elucubrazioni oratorie degli ultimi decenni, difficilmente riuscirebbe a ricavarne un quadro e nemmeno una caricatura della vita Italiana e del ruolo che vi ha avuto la giustizia (o, l’ingiustizia). Un ruolo che è stato determinante, ma non certo nel senso che qualche oratore prova a descrivere nel suo intervento.
Non mi faccio quindi troppe illusioni se, scorrendo giornali e comunicati di agenzia, ne ricavo l’impressione che anche il Partito dei Magistrati risente di un certo malessere e della caduta di credibilità con la quale la magistratura italiana paga il suo intervento a gamba tesa nella politica. E non è poi espressione di grande saggezza nemmeno quel che sentii dire qualche anno fa ad un magistrato in vena di sincerità “Ci odino purché ci temano”.
Incolore è stata l’inaugurazione in Cassazione. Incolore ed un pochetto servizievole nei confronti del “Governo Nazionale” con la bocciatura della figura di reato di “immigrazione clandestina”.
Non una parola della crisi dell’Antimafia, dell’affarismo paragiudiziario palermitano, delle questioni sui limiti (cioè nell’assenza dei limiti) della giurisdizione, sulla “supplenza” giudiziaria e un’infinità di eccetera.
Più interessanti i discorsi alle inaugurazioni “distrettuali”. A Palermo, Lo Voi, quello che con una tempestiva dichiarazione ha salvato Crocetta dal suicidio, superato il giudizio del Tar sul ricorso degli altri concorrenti che lo volevano estromettere da quella Procura, si è, come si suol dire, levato il sassolino dalla scarpa denunziando gli abusi ed il declino dell’oltranzismo antimafia, temperando peraltro la portata delle sue inequivocabili parole con una esortazione a non esagerare (oggi, con la demolizione dell’antimafia, non con i residui suoi riti cannibaleschi).
Ma, forse, il più interessante è il discorso del P.G. di Cagliari. Uno che viene da Magistratura Democratica, un “insospettabile”, che ha invocato l’esercizio di un effettivo potere di controllo della qualità del lavoro dei magistrati, per arrestare l’ora inarrestabile marcia dei somari ai vertici delle carriere. Parole che non si udivano da quasi mezzo secolo.
E’ vero che, quasi a voler bilanciare questa esplosione di buon senso, ha ritenuto, con una proposizione di pretta marca razzista, di doversela prendere con la “rapacità” dei Barbaricini (quelli della Barbagia, la zona interno del Nuorese). Forse lo ha fatto per evitare di parlare di quella “rapacità” che, magari in altri Distretti, comincia a manifestarsi anche tra i magistrati. In Sardegna, però, non ci sono beni confiscati alla mafia da amministrare.
Segnali di cambiamento? Non sono pessimista se dico decisamente di no, anche perché oramai “cambiamento” è diventato lo slogan di tutti i somari e di altre specie animali. Direi però che un certo malessere compare. La siesta del Partito dei Magistrati, dopo che ha fatto a brani, con la classe politica, le garanzie dei cittadini e tutta la giustizia, non è tranquilla. La turbano rigurgiti acidi per i quali non basta il bicarbonato.
Mauro Mellini